Acerbi: "La sostenibilità si fa anche in autostrada" |
di Dario Cozzi Lo scorso 3 aprile è stato consegnato ad Infrastrutture Lombarde il progetto definitivo dell’autostrada Cremona-Mantova, un nuovo asse viario che correrà al centro della Pianura Padana. Il progetto ha confermato e sviluppato le molte soluzioni che avevano caratterizzato la proposta originaria, segnalando questa nascente infrastruttura come profondamente innovativa nel rapporto con l’ambiente che la andrà ad ospitare.“Nel concepire l’opera – commenta Francesco Acerbi, direttore generale di Stradivaria – abbiamo scelto di minimizzare gli impatti del tracciato sul territorio”.
Questo cosa significa in concreto? I 30 chilometri di raccordo autostradale che stiamo per realizzare alle porte di Brescia sono un chiaro esempio di quanto abbiamo in mente. I cantieri saranno aperti quest’anno, ma già da due autunni abbiamo iniziato ad attuare opere di ![]() Altero … dunque miglioro? Sì, attraverso misure compensative: per 1 ettaro di territorio “sottratto” dalla strada ci sarà un ettaro di territorio migliorato in termini di capacità ambientale. La scelta dell’ambientalizzazione preventiva è fortemente innovativa. Con piacere stiamo notando che anche altre società hanno deciso di introdurla nella
Quali sono gli altri punti di forza del progetto? La ricerca costante della fluidità e della sicurezza, elementi che contribuiscono a contenere emissioni e rumori. Ciò avverrà, ad esempio, semplificando le modalità di entrata e di uscita. I caselli standard spariranno e le auto saranno “intercettate” sugli svincoli con un sistema di lettura di strumenti di bordo (ad esempio telepass)o della targa, con pagamento simile a quello dell’Ecopass a Milano. Il meccanismo di pedaggio indiretto semplifica le procedure, aumenta la fluidità, dà continuità al traffico e occupa decisamente meno spazio. Un casello, infatti, insiste su una superficie di 15-20 mila metri quadrati. Altro aspetto importante riguarda l’impiego di tecnologie per la produzione di energia – necessaria al fabbisogno dell’autostrada – che fanno ricorso a risorse prodotte in loco. A regime saranno operative due centrali da 1 MW ciascuna alimentate a biomassa. Inoltre, dove sono disponibili superfici piane ben esposte al sole, installeremo pannelli fotovoltaici. Infine, abbiamo intenzione di sfruttare due piccoli salti per la generazione idroelettrica. Nel complesso, quindi, l’apporto delle rinnovabili dovrebbe essere di circa 3 MW. Approfondiamo la questione biomasse. Abbiamo chiesto agli agricoltori che coltivano aree contigue al nuovo tracciato di non produrre a scopo alimentare nella “fascia di rispetto”. Continueranno a coltivare gli stessi prodotti di oggi, semplicemente li destineranno alla generazione energetica e non alla tavola, avendo la garanzia di ritiro del prodotto e una royalty sull’energia generata bruciando la loro materia prima. Questo approccio risponde a tre requisiti che ci siamo imposti: il primo è quello di cambiare destinazione alla minor superficie possibile, metabolizzando nel contempo una quota delle emissioni generate dal traffico; il secondo consiste nel sottrarre all’alimentazione prodotti che potrebbero contenere maggiori concentrazioni di inquinanti. Infine volevamo assicurare una garanzia reddituale. Limitando la prassi dell’acquisto del terreno, l’agricoltore può rimanere proprietario della fascia di rispetto, con il vincolo di destinazione d’uso: ricaverà un valore dal soprasuolo se destinato a bosco, o avrà la certezza di vendere la biomassa che ha prodotto. Altri aspetti da sottolineare? L’impiego di materiali per il contenimento degli inquinanti, e l’uso di prodotti catalizzanti nelle zone di sosta. Tutti questi interventi non si traducono in un aggravio di costi? Abbiamo stimato che la nuova tratta costerà tra gli 11 e i 12 milioni di euro a chilometro. Non è vero che l’attenzione all’ambiente comporta una lievitazione delle spese. La tutela – o meno – degli aspetti ambientali non dipende da una questione economica. Non teme che la sindrome Nimby possa comunque complicarvi la strada? Abbiamo incontrato qualche fenomeno di opposizione, ma non così pervicace da arrivare al rifiuto totale. Dal mio punto di vista la collettività può essere divisa in tre parti. Un primo ristretto gruppo di “idealisti”, che rifiuta a priori ogni processo di sviluppo in cui la mobilità su gomma abbia un ruolo, cerca di trasferire tale atteggiamento di rifiuto su un secondo gruppo, più ampio e composto
Nella nostra esperienza, il secondo gruppo è sempre più propenso a voler trattare la questione in prima persona e a promuovere un aperto confronto di interessi (chiedono una quota di tutele e iniziative di maggiore precauzione). La vera sfida è quella di saper ascoltare le proposte che giungono dal territorio e che spesso sono costruttive e positive proprio perché avanzate da chi il territorio lo frequenta e lo conosce meglio del proponente. La quota “sindromica” si sta riducendo; cresce l’esigenza che le cose siano fatte. Bene, ma che siano fatte.
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