Baldini: "Biomasse? Una risorsa che non deve restare in ombra"
di Dario Cozzi

Dal 4 maggio ricopre l'incarico di presidente di Itabia (Italian Biomass Association). Sanzio Baldini, che succede a Giuseppe Caserta, è professore ordinario di Utilizzazioni Forestali presso il DAF (Dipartimento Tecnologie, ingegneria e scienze dell’ambiente e delle foreste) dell'Università della Tuscia a Viterbo. Con il numero uno dell'associazione fondata nel 1980, Nuova Energia fa il punto sul presente e il futuro, soprattutto, delle biomasse.

Itabia collabora con i Ministeri e altri Enti pubblici nazionali e locali. Quali sono i progetti in cui è attualmente impegnata l'associazione?
Attualmente l’impegno più importante riguarda la stesura del “Rapporto sulle biomasse per l’energia e l’ambiente”, che il ministero dell’Ambiente ha fortemente voluto, in occasione anche della Conferenza mondiale sulle biomasse che si è tenuta a Roma nel maggio scorso, e per la quale è stato predisposto un dossier che sintetizza gli aspetti peculiari del Rapporto. Recentemente il ministero delle Infrastrutture e dei trasporti ha finanziato uno studio su “Valutazioni tecniche ed economiche per l’uso di biocarburanti nell’alimentazione di veicoli per il trasporto merci”.
Inoltre Itabia collabora alla creazione di filiere bioenergetiche in due progetti Probio con la Regione Basilicata (di cui uno a carattere interregionale); insieme a Renagri, ad un progetto Probio con la Regione Lazio.
Per due anni consecutivi (2002 e 2003) Itabia ha redatto il “Rapporto sullo stato della bioenergia”, con il finanziamento del ministero delle Politiche Agricole e Forestali; inoltre ricordiamo l’apporto che Itabia ha dato in qualità di segreteria tecnico-operativa del “Gruppo di Supporto tecnico-scientifico Bioenergia”, istituito dal MiPAF per la gestione dei programmi regionali e interregionali sulle biomasse per l’energia.

Nonostante il lavoro di Itabia e altre associazioni svolgete per le biomasse, queste continuino a essere ignorate rispetto ad altre fonti rinnovabili?
È vero, spesso le biomasse non compaiono nell’elencazione delle fonti rinnovabili. Stenta così anche il favore dell’opinione pubblica, che non sa cosa sia l’energia da biomasse e magari ha un caminetto in casa… Esistono alcuni programmi di finanziamento specifici per l’utilizzo di biomasse. Ad esempio, il Probio, Programma Nazionale Biocombustibili, ha finanziato per il triennio 1999-2001 una serie di progetti dimostrativi, con un budget – però - veramente limitato. Nel 2001, invece, il ministero dell’Ambiente ha istituito il “Programma Tetti Fotovoltaici”, per il quale sono previsti contributi in conto capitale fino al 75% dell’investimento. Vorrei ricordare anche che con il D.lgs 173/98 , all’art. 1 sono previsti aiuti per la trasformazione energetica dei sottoprodotti all’interno delle aziende agricole, ma che poche Regioni hanno aperto il bando per l’utilizzo di questi fondi, perché spesso troppo esigui. Sicuramente manca una pubblicità incisiva. Vede, Itabia è stata la prima associazione in Italia ad occuparsi di biomasse, ma purtroppo - avendo a disposizione poche risorse finanziarie - sono state impegnate poche “risorse umane” nella ricerca. Nonostante questo, moltissime cose fatte da Itabia ritengo siano rimaste nei tanti cassetti degli Enti con cui ha collaborato. Aver avuto più soldi avrebbe significato anche, ad esempio, entrare con un bollettino divulgativo nelle case dei cittadini.

Biomasse e rifiuti, rifiuti e biomasse. Per quanto si siano spesi fiumi e di inchiostro, l'opinione pubblica ha ancora idee confuse sulle differenze.
Purtroppo questo è uno dei motivi per cui l’utilizzo delle biomasse stenta a decollare: confusione, soprattutto a livello legislativo, nelle definizioni di biomasse e rifiuti. Quello che più ci interessa divulgare è il concetto di “rinnovabilità”, che non può, evidentemente, essere associato all’intero insieme delle sostanze presenti nei rifiuti. Questa caratteristica può essere però legata ai cosiddetti “rifiuti speciali”, non trattati, derivanti dalle attività agricole, forestali e zootecniche.

Si realizzano pochi impianti a biomasse rispetto a quelli previsti. Crede che ciò sia da ricollegarsi alla contiguità con i rifiuti?
Ormai non si parla più di “inceneritori”, ma di “termovalorizzatori”, e le tecnologie per la valorizzazione energetica dei rifiuti - ne sono esempio alcune realtà europee - hanno raggiunto alti livelli. Gli impianti termoelettrici a biomasse hanno tecnologie avanzatissime, e peraltro utilizzano una risorsa rinnovabile che non immette ulteriore CO2 in atmosfera; ma questo forse sfugge ai cittadini, che non hanno la possibilità di verificare a priori gli effetti benefici di un impianto di conversione energetica a biomasse. Vorrei portare ad esempio le esperienze degli impianti di teleriscaldamento in Alto Adige, che stanno prendendo piede grazie soprattutto al consenso sociale delle popolazioni che, a seguito di una efficace campagna divulgativa, hanno aderito in pieno all’iniziativa.

Qual è il contributo attuale e potenziale delle foreste italiane agli usi energetici delle biomasse?
Dalle stime da noi effettuate, considerati tutti i parametri, in Italia il grado di accessibilità dei boschi è molto basso, sia per l’orografia sia per la scarsa viabilità forestale. Dalle operazioni di manutenzione del bosco, nell’ipotesi auspicabile in cui esse siano effettuate in misura maggiore di oggi, è possibile destinare ad uso energetico circa 15 milioni di metri cubi, che corrispondono a un potenziale energetico di circa 3 Mtep.

Si sente parlare in alcune regioni di "rottamazione delle vecchie caldaie" per incentivare l'uso di sistemi più moderni. Qual è il suo giudizio?
Partendo dalla certezza che bruciare il legno ha sempre effetto nullo sul bilancio della CO2, è vero però che i tradizionali caminetti hanno un basso rendimento, in termini di calore prodotto per unità di combustibile. Alcune regioni, come la Toscana e il Piemonte, hanno recentemente stanziato dei fondi per la sostituzione di caldaie a legna obsolete con impianti tecnologicamente avanzati, che hanno ormai in Italia un mercato in forte espansione. Ritengo siano iniziative da ripetere anche in altre regioni, soprattutto dove la risorsa legnosa a livello locale è prontamente disponibile.

Biomasse sono anche le coltivazioni energetiche e cioè specie coltivate ad hoc per la produzione di energia. Quali sono le prospettive?
In Italia gli impianti a ciclo breve di specie legnose (pioppo, salice, robinia pseudoacacia ed eucalipto ) sono ancora a livello sperimentale e stentano a decollare per due motivi principali: la carenza di incentivi agli agricoltori nelle maggiori spese da sostenere per l’impianto e la manutenzione di tali coltivazioni, e la difficoltà all’interno delle aziende agricole stesse ad adeguare il parco macchine necessario alla raccolta di questa tipologia di biomasse. In realtà la potenzialità sarebbe interessante: degli oltre 2 milioni di ettari di terreni ex-agricoli ormai abbandonati, almeno 500 mila potrebbero essere destinati per tali coltivazioni, con una produttività di 6 milioni di metri cubi, vale a dire, in termini energetici, quasi 2 Mtep.

Biomassa: unica rinnovabile che deve essere prodotta e trasportata prima dell’utilizzo ma nello stesso tempo con disponibilità continua. Pro e contro?
Non sono del tutto d’accordo nel dire che la biomassa deve essere prodotta: il legno che può provenire dai boschi e dai residui agricoli e agro-industriali è già disponibile e in grandi quantità. Piuttosto, la problematica legata a questa tipologia è la continuità di approvvigionamento, che è stagionale, e la tempistica legata alla necessaria stagionatura del materiale, altrimenti troppo umido per essere destinato ad usi energetici efficienti. Una corretta gestione dell’intera filiera, che preveda l’approvvigionamento nelle diverse stagioni (in inverno dagli interventi nei cedui e dalle potature, anche del verde urbano, e nel resto dell’anno dai residui delle manutenzioni delle fustaie), è il giusto approccio al sistema delle biomasse.

Quando si parla di impianti a biomasse per la produzione di energia elettrica si afferma che uno dei vincoli alla loro diffusione è legato alla disponibilità e al costo del combustibile. Pare che alcuni degli impianti in esercizio utilizzino biomasse provenienti da altri Paesi, anche molto lontani.
I gruppi industriali che gestiscono gli impianti termoelettrici a biomassa presenti in Italia sono continuamente impegnati nella programmazione dell’approvvigionamento della biomassa per i loro impianti. Il dover trattare con decine di fornitori locali sugli aspetti tecnico-economici delle forniture di biomassa costituisce un impegno non indifferente per gli amministratori degli impianti; a ciò si aggiunge il fatto che la biomassa non è disponibile tutto l’anno, ma segue flussi determinati dalle epoche di taglio, di raccolta e da altri fattori.
In alcune realtà si sono quindi avviate politiche commerciali che prevedono l’acquisto di materiale proveniente da Paesi extracomunitari, per lo più Africa, Sud America e Canada. I quantitativi sono molto elevati, si parla di 10.000 - 30.000 t/anno, e tale biomassa ha un costo sensibilmente più basso di quella locale. Questa politica in qualche modo è stata indotta dalla speculazione di alcuni operatori locali italiani, che hanno sfruttato la possibilità di vendere ciò che prima veniva scartato; il dato è preoccupante per due motivi: la mancata gestione programmata del territorio limitrofo agli impianti a biomassa e l’ingresso incontrollato di patogeni da Paesi terzi.

Le opposizioni agli impianti a biomasse si basano su timori per gli effetti delle emissioni sull'ambiente. Cosa c'è di vero e cosa di falso?
Necessariamente la costruzione di un impianto deve “invadere” un nuovo sito e provocare emissioni in atmosfera che, anche se nulle nel bilancio globale, sono percepibili a livello locale (i cosiddetti “pennacchi” di vapore). Certamente vi sono degli aspetti connessi - come il trasporto della biomassa, che aumenta il carico di traffico e di emissioni sulla viabilità locale - che è necessario valutare nella progettazione di un impianto. Torno a ribadire però l’importanza dell’informazione della popolazione su alcuni punti fondamentali. Si è consapevoli o no del fatto che la domanda di energia è sempre crescente? Come contiamo di approvvigionarci di energia se non aumentando la quota di produzione di essa tramite fonti energetiche rinnovabili? Inoltre i cittadini dovrebbero assumere il fatto che la produzione di energia da biomassa è un “prodotto secondario”, rispetto ai vantaggi ambientali che derivano dalla manutenzione corretta dei boschi.