"Chiosando" sul piano triennale per il finanziamento della ricerca di sistema elettrico

di Ugo Farinelli

Nei mesi di aprile e maggio 2008, l’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas ha pubblicato sul proprio sito la proposta di Piano triennale 2009-2011 della ricerca di sistema elettrico nazionale per avviare la consultazione in proposito, raccogliendo commenti e suggerimenti sulla sua formulazione. Questa procedura (che per l’Autorità è ormai una prassi ben consolidata) è un esempio positivo di trasparenza che permette di raccogliere e valutare i pareri degli esperti esterni e degli altri “soggetti interessati”, i famosi stakeholder. Mentre attendiamo con curiosità il risultato di questo processo partecipativo, può essere utile fare qualche considerazione sia sul quadro di questo piano, sia sul contenuto della proposta che è stata presentata dall’Autorità.
La ricerca di cui si parla qui è quella finanziata con la bolletta elettrica, secondo quanto previsto dal decreto legislativo 16 marzo 1999 n. 79, che prevede tra gli oneri generali afferenti al sistema elettrico anche “gli oneri generali concernenti le attività di ricerca”. Il razionale di questo provvedimento è chiaro: finché il sistema elettrico era gestito da un ente pubblico monopolistico, l’Enel, che aveva responsabilità di funzionamento e di sviluppo dell’intero sistema, era logico che questo ente si prendesse anche il compito di svolgere le relative attività di ricerca e sviluppo, finalizzate non solo allo svolgimento al meglio delle proprie attività produttive (come succede, o dovrebbe succedere, per qualunque azienda) ma anche degli aspetti di servizio pubblico. E così, l’Enel aveva in passato svolto una notevole attività di ricerca, sia direttamente con proprie strutture, sia soprattutto attraverso le sue società di ricerca, il Cesi e il Cise. Nel momento in cui l’Enel diventa solo uno degli attori del sistema elettrico nazionale, senza mandati pubblici e in concorrenza con altri soggetti imprenditoriali, è logico che sia molto meno stimolato a svolgere attività che in gran parte sono a beneficio di tutti gli attori, e quindi anche della concorrenza. Ne deriva la necessità di un meccanismo pubblico di finanziamento e di esecuzione della ricerca di sistema elettrico, in particolare per gli argomenti di più lungo respiro e di maggiore interesse generale.

Negli Stati Uniti la situazione era diversa: le aziende elettriche, pure in concorrenza tra loro, avevano costituito tutte insieme l’EPRI (Electric Power Research Institute) cui affidavano in buona parte le loro attività di ricerca, con modalità variabili da caso a caso. Tuttavia neppure l’EPRI è passato indenne attraverso la crisi di deregolamentazione del mercato elettrico, che ha visto contrarsi negli anni ‘80 e soprattutto ‘90 le spese di ricerca delle utility americane, tese a mantenere la concorrenzialità sul breve termine. Quindi, tra le tante voci che vedremmo volentieri scomparire dalla bolletta elettrica non c’è quella della ricerca, che rappresenta un piccolo onere ma che può fornire un contributo molto utile. La spesa complessiva prevista dal precedente Piano triennale 2006-2008 è stata di 350 milioni di euro, di cui 150 milioni nell’anno 2006, sui temi riportati nella Tabella 1. Il prelievo in bolletta, dell’ordine di un millesimo di euro al kWh, è stato successivamente diminuito dall’Autorità, nel tentativo di ridurre l’impatto dell’aumento del prezzo del petrolio (e soprattutto del gas) sulla bolletta elettrica. Stupisce ritrovare sul documento di piano triennale una giustificazione di questo genere: “Anche per il futuro sarebbe ottimale, perdurando gli elevati costi dei combustibili fossili, non aumentare i prelievi sulla tariffa…” che sarebbe come dire “se anche in futuro avremo bisogno di più ricerca, facciamone di meno”. Mah...

C’è invece la curiosità del perché questo meccanismo sia stato adottato per l’elettricità e non per il gas: non esiste forse anche un sistema gas in Italia, con i suoi problemi di approvvigionamento, di stoccaggio, di tecnologie di trasmissione, di distribuzione e di utilizzo? Credo che un’iniziativa in questo senso sarebbe molto utile. La gestazione del Piano che oggi viene proposto dall’Autorità non è stata semplice, ma non vogliamo qui entrare nel processo di formazione, quanto piuttosto esaminare qual è il risultato fino a questo momento, e come potrebbe essere migliorato con il processo di consultazione in corso. Il Piano prevede soprattutto ricerche di medio-lungo termine con obiettivi fortemente innovativi (sperando che le ricerche a più breve ritorno economico trovino finanziamenti direttamente dalle imprese elettriche). Anche sulla base delle osservazioni della Commissione europea, preoccupata soprattutto di ingiustificati favori all’industria nazionale, viene introdotta comunque una distinzione tra una parte di ricerca considerata ad alto rischio, finanziata dal Piano al 100 per cento e affidata a organismi pubblici (come Cesi Ricerca, Enea e Cnr) e Università, e temi di ricerca e sviluppo industriale, con ritorni di mercato a medio termine e co-finanziate dagli organismi esecutori (in prevalenza privati).

Questi ultimi dovrebbero essere affidati tramite bandi pubblici. Per quanto riguarda invece la parte finanziata al 100 per cento, il meccanismo di affidamento non è chiaro (potrebbe essere attraverso bandi o attraverso accordi di programma) ma nei vari progetti dovrebbero essere coinvolti, oltre al soggetto esecutore, i vari soggetti interessati: imprese produttrici, istituzioni pubbliche e regolatori, organizzazioni dei consumatori. Il Piano triennale 2009-2011 – per il quale è previsto un certo meccanismo di collegamento con il piano precedente per non rischiare di lasciare in sospeso attività di ricerca interessanti e non concluse nel triennio 2006-2008 – si basa su una previsione di disponibilità di finanziamenti di circa 64 milioni di euro all’anno senza aumentare i prelievi sulla tariffa. Tuttavia l’entità del finanziamento potrebbe in qualche modo essere correlata alla qualità delle proposte ricevute.

Le sei aree prioritarie di intervento che sono state individuate per il prossimo triennio sono elencate nella Tabella 2. Anche se la descrizione delle attività di ricerca proposte è molto schematica, e mancano del tutto obiettivi quantitativi che potrebbero ancorare queste attività a una realtà che è comunque in rapida evoluzione, è tuttavia possibile fare alcune osservazioni, in parte di carattere generale, in parte sui contenuti specifici del Piano proposto.

Prima di tutto non appare sufficientemente chiarito il rapporto con le diverse iniziative internazionali nel campo della ricerca energetica cui l’Italia partecipa attivamente. Mi riferisco per esempio alla Piattaforma europea delle tecnologie fotovoltaiche; al Carbon sequestration leadership forum; al Generation IV international forum; alle iniziative europee e nell’ambito della International Energy Agency (IEA) sull’idrogeno e sulle celle a combustibile; a varie iniziative della IEA nel campo dell’efficienza energetica. Ciascuna di queste iniziative ha un proprio programma, una tempistica (scandita dalle road map), i propri obiettivi qualitativi. La generica predisposizione alla collaborazione internazionale espressa dal Piano triennale è un po’ poco rispetto a piani già così determinati e definiti.

La parte sulle infrastrutture di trasporto e distribuzione dell’energia elettrica è abbastanza estesa e puntuale, ma è forse insufficiente a coprire gli aspetti di “sistema” cui si richiama il Piano triennale nel suo titolo; era forse più indovinato il titolo di “Governo del sistema elettrico” dell’attuale Piano triennale per richiamare gli aspetti complessivi: per esempio gli studi sulla evoluzione della domanda elettrica, sul confronto tra domanda e offerta, e più in generale sulla profonda evoluzione che ci si attende dal sistema elettrico, in termini di generazione distribuita (e non solo da fonti rinnovabili), di cogenerazione di piccola taglia, di smart grid, di adattamento alle nuove tecnologie: quindi anche modellistica, simulazione, scenari di medio e lungo termine, studi di sensibilità e di robustezza delle varie soluzioni, e anche indicazioni sulle future priorità della ricerca energetica. Francamente perplessi lascia la proposta relativa alla separazione e sequestro dell’anidride carbonica, da effettuarsi su un impianto sperimentale per la sintesi di combustibili liquidi e gassosi a partire da combustibili solidi (carbone, rifiuti, biomasse).

I motivi di perplessità sono molti. Il primo è che l’inserimento di un impianto per la produzione di combustibili in un piano destinato al settore elettrico appare piuttosto singolare. Un impianto per la liquefazione del carbone (se di questo si tratta) avrebbe inoltre costi molto elevati, che non risulta siano già coperti da altri finanziamenti; la separazione e il sequestro dell’anidride carbonica rappresenterebbero solo uno degli aspetti, e non il principale, delle difficoltà tecnologiche ed economiche da superare, e concentrare tutto lo sforzo su questo tema in un impianto carico di altre incognite non appare molto saggio. Infine, la soluzione di riferimento proposta per il sequestro della CO2 è quella del deposito in mare profondo, soluzione oggi scartata, almeno per il momento, in tutti gli altri Paesi, a causa delle incertezze sugli effetti che può avere sugli ecosistemi del fondo marino. Sembra comunque che la scala di un progetto di questo tipo vada assai al di là delle possibilità economiche e delle ambizioni tecnologiche del Piano triennale.