Clerici: "Sì alle rinnovabili, ma con il nucleare"
di Davide Canevari

Le centrali di potenza in Europa hanno i “capelli bianchi”. Il 30 per cento del parco attualmente in esercizio ha già passato i 30 anni di vita; e un ulteriore 13 per cento ha un’età compresa tra i 26 e i 30 anni. Questo significa che nel 2020-2025 oltre l’80 per cento della potenza ad oggi installata sarà in funzione da almeno un terzo di secolo, come emerge dallo studio Wec “Il futuro ruolo del nucleare in Europa” coordinato da Alessandro Clerici. Volendo leggere questi dati in chiave più propositiva – ma non meno inquietante – si potrebbe anche dire che nei prossimi 20-25 anni il Vecchio Continente avrà bisogno di nuove installazioni per complessivi 800 mila MW. A tanto ammonterebbe il fabbisogno stimato per coprire l’inevitabile aumento della domanda di kWh (anche in un’ipotesi conservativa di crescita media dei consumi di energia elettrica al tasso dell’1 per cento annuo) e la necessaria sostituzione degli impianti più obsoleti.
Caricare una simile responsabilità sulle spalle di eolico e solare sarebbe pura fantascienza. Inevitabile il ricorso anche alle fonti tradizionali; nucleare compreso. Prende spunto da questo dato di fatto l’incontro con Alessandro Clerici (senior advisor al ceo di ABB Italia e presidente Fast), che – ancora una volta – invita a mettere sul tavolo i numeri “veri” e a valutare le possibili soluzioni alternative con il dovuto pragmatismo.

Ottocentomila MW sembrano una cifra astronomica, difficile anche solo da immaginare. Sarebbe davvero possibile installare una simile potenza in meno di un quarto di secolo?
Negli ultimi due anni – 2006 e 2007 – la Cina ha connesso in rete 200 mila MW di nuovi impianti, l’80 per cento dei quali alimentati a carbone. E per i prossimi 12 anni è prevista la costruzione di almeno ulteriori 50 mila MW all’anno, solo considerando le centrali alimentate a carbone. Il piano europeo – pur ambizioso – non appare quindi impossibile da realizzare. Considerando i lunghi cicli di vita delle infrastrutture energetiche e gli sviluppi tecnologici, per rispondere a questa esigenza occorre però – inevitabilmente – dare spazio a tutte le risorse energetiche e a tutte le tecnologie; nessuna deve essere demonizzata o idolatrata.

Vale anche per il nucleare?
L’opzione nucleare non può essere trascurata. Se non ci sarà un auspicabile cambio nella politica relativa all’uscita anticipata dal servizio delle centrali nucleari tedesche, tutta l’Europa si troverà a dover fronteggiare una drammatica riduzione dell’offerta, con aumenti del prezzo del kWh e delle emissioni di anidride carbonica. Ad oggi, una estesa applicazione del nucleare è l’unica via per controllare le emissioni di anidirde carbonica, avere bassi costi per l’elettricità (ossia competitività) ed elevata sicurezza degli approvvigionamenti. Ripeto, comunque, che il nucleare non va inteso come la soluzione, ma come una delle opzioni. Ogni tecnologia dovrà trovare la propria nicchia in funzione dei suoi costi reali, includendo nella valutazione le esternalità.
Nel contempo, i costi delle soluzioni disponibili – e gli eventuali incentivi – devono essere monitorati “dinamicamente” e con grande attenzione.

È un messaggio lanciato in particolare alle nuove rinnovabili?
Fotovoltaico ed eolico sono tecnologie indispensabili per una produzione di energia elettrica pulita. Nel mondo – e ultimamente anche in Italia – hanno avuto un impressionante incremento percentuale negli ultimi anni, fondamentalmente dovuto a forti sussidi. A questo punto, però, sarebbe il caso di porsi alcune domande.
Quando risulteranno davvero competitive, valorizzando i vantaggi e minimizzando gli svantaggi (volatilità, costi addizionali al sistema elettrico)? Per stimolare gli investimenti in ricerca e sviluppo, al fine di incrementare la loro efficienza e ridurne i costi, è davvero efficace l’attuale politica della feed-in tarif (in Italia, 20 anni per il fotovoltaico) che va a gravare sulle bollette degli utenti finali? Non varrebbe la pena di rivedere in parte il sistema di incentivazione, considerando anche incentivi per la ricerca che non vadano a finire in tariffa e che in funzione della competitività raggiunta assicurino una certa quota di mercato all’investitore?
Una eccessiva o esclusiva enfasi sulle rinnovabili, a parte l’incremento del costo di produzione e una distorsione del mercato con sussidi che durano vari lustri, potrebbe dare un segnale negativo agli investitori per lo sviluppo delle indispensabili centrali convenzionali, con possibili drammatici impatti sulla capacità di offerta europea di energia elettrica per servire la domanda futura. Ricordiamoci che la produzione di energia elettrica mostra peculiarità che non vanno dimenticate.

Proviamo a riassumerle.
L’elettricità non può essere immagazzinata: ad ogni istante la produzione deve essere uguale alla domanda. L’andamento della domanda, però, varia continuamente nel tempo: durante la giornata, nel corso della settimana e durante le stagioni. Si può fare qualcosa per appiattire queste variazioni, ma non molto nel medio termine. È quindi indispensabile avere un adeguato mix di centrali di base, mid merit e di picco. Per quanto riguarda la produzione di energia elettrica, alcune tecnologie sono possibili ed economiche solo come base-load (per esempio il nucleare), altre come picco (turbine a gas). Occorre quindi valutare con attenzione il mix delle fonti scelte e la loro eventuale volatilità.

Si torna quindi a centrare l’attenzione sulle reali potenzialità delle rinnovabili?
Certo. Alcune energie rinnovabili (penso all’eolico o al fotovoltaico) sono molto volatili e non hanno la possibilità di assicurare con certezza al pool una “impegnativa potenza” per le varie ore del giorno successivo; anche se risultassero economiche, non potrebbero pertanto diventare una risorsa produttiva importante.
Tali rinnovabili non possono quindi funzionare senza una adeguata capacità di riserva convenzionale e senza un forte sistema di trasmissione e distribuzione. E questo genera dei costi addizionabili, attribuibili alle stesse rinnovabili.

Eppure l’Europa e l’Italia ci credono. Basta guardare agli obiettivi del 20 per cento che si è data la Ue. E a quel 17 per cento che il nostro Paese si è posto come traguardo. Proviamo a trasformare la percentuale in MW di installazioni da realizzare?
Per raggiungere gli obbiettivi della Ue entro il 2020 ricordo che la proposta preliminare dell’Italia prevede, tra i vari interventi, circa 10 mila MW di eolico e 8.500 MW di fotovoltaico. Senza considerare le altre rinnovabili, il solare termico, i biocombustibili, e guardando solo all’eolico e al fotovoltaico, ai costi presenti e con gli attuali incentivi sarebbero necessari 60 miliardi di euro di investimenti per assicurare una produzione addizionale annua di circa 30 TWh e un risparmio in termini di anidride carbonica emessa di circa 15 milioni di tonnellate.
Quindi, il costo medio per ogni tonnellata di anidride carbonica evitata sarebbe pari a circa 550 euro. Sulle bollette dei consumatori italiani gli incentivi attualmente previsti porterebbero al 2020 un aggravio pari a circa 6,5 miliardi di euro/anno. E questo senza considerare i costi addizionali per il sistema di trasmissione e di distribuzione e per la capacità di riserva da centrali convenzionali che andrebbe comunque prevista.

Per l’ambiente questo e altro, se ne vale la pena…
Il dibattito dovrebbe proprio centrarsi su questo aspetto: esistono soluzioni che possono garantire risultati analoghi con investimenti minori? Soluzioni non necessariamente alternative, magari – però – complementari? Inevitabile, ancora una volta, chiamare in gioco il nucleare. L’installazione di 4.000 MW di centrali nucleari richiederebbe un investimento non superiore agli 8 miliardi di euro (rispetto, come visto, agli oltre 60 richiesti da eolico e fotovoltaico). Questa potenza installata sarebbe in grado di assicurare una produzione media annua pari a 30 TWh (la stessa dell’alternativa eolico più solare). Questa soluzione permetterebbe di risparmiare circa un miliardo di euro all’anno rispetto ai prezzi di produzione attuali. Il costo del kWh nucleare prodotto sarebbe infatti inferiore a 50 euro/MWh, includendo il costo per il ciclo del combustibile, del decommissioning e di quanto dovuto al “cimitero finale delle scorie”. Il prezzo medio dell’energia oggi nel pool è attorno ai 75 euro/MWh. In più, andrebbero considerati i minori oneri per le evitate emissioni di anidride carbonica. Sì dunque alle rinnovabili; ma con equilibrio e con maggiore consapevolezza dei costi che generano. Magari facendo anche un serio raffronto con i benefici che si possono ottenere investendo nell’efficienza energetica. L’efficienza energetica deve essere perseguita con alta priorità, con una chiara volontà politica e con leggi appropriate.

Davvero i margini di miglioramento sono così elevati? In un articolo pubblicato sul numero scorso di Nuova Energia – Efficienza energetica a tutti i costi! – si evidenziava che, comunque, già oggi l’Italia è un Paese virtuoso nel contesto europeo.
Lo confermo. Ma le opportunità sono comunque enormi. Prendiamo il caso dei motori elettrici. In Europa e in Italia consumano circa il 50 per cento dell’energia elettrica prodotta, e l’illuminazione qualcosa come il 17 per cento. Questi due settori, assieme, sono responsabili dei due terzi dei consumi elettrici globali. Quanto alle soluzioni possibili, basterà un esempio. In Italia ci sono circa 20 milioni di motori elettrici. Solamente installando 2,5 milioni di inverter sul 50 per cento dei motori che alimentano pompe e ventilatori si otterrebbe un taglio dei consumi pari a 10 TWh all’anno e un risparmio in termini di emissioni di anidride carbonica di 5 milioni di tonnellate. Il tutto a fronte di un costo di un solo miliardo di euro.
Si ottiene così lo stesso risultato garantito da una massiccia campagna di diffusione del solare o dell’eolico, con costi specifici 20 volte inferiori. Una ulteriore riduzione dei consumi per complessivi 20 TWh/anno si otterrebbe facilmente da qui al 2020 con un semplice rimpiazzo di motori che escono dal servizio con motori ad alta efficienza e con un rinnovamento graduale dei sistemi di illuminazione.

Resta il fatto che lo sforzo della Ue per promuovere le rinnovabili, ma anche il risparmio, non può che essere lodato. Ed è un esempio virtuoso su scala mondiale.
L’ambiente – e in particolare l’aspetto legato alle emissioni di anidride carbonica – richiede un approccio globale. Convengo che sia positivo e degno di esempio quanto la Ue ha fatto e sta facendo: ogni goccia è importante. Ma bisogna anche avere il coraggio di dire che la “goccia” dell’Europa sta diventando sempre più piccola nell’Oceano globale. Oggi il settore della produzione elettrica immette ogni anno in atmosfera circa 10 miliardi di tonnellate di anidride carbonica su un totale stimato di 27 (il settore trasporti è il secondo emettitore, con 5,5 miliardi di tonnellate). Per altro la quota di CO2 da produzione elettrica è in costante aumento. L’Europa dei 25 con le sue centrali emette circa 1,3 miliardi di tonnellate di anidride carbonica all’anno. Ridurre del 20 per cento questo ammontare vorrebbe dire risparmiare meno di 300 milioni di tonnellate/anno. Quindi circa l’1 per cento delle emissioni totali mondiali. E questo mentre, come visto, la Cina in due soli anni ha messo in funzione 160 mila MW di nuove centrali a carbone che emettono 1,3 miliardi di tonnellate di anidride carbonica per anno! Lo sforzo che l’Europa si prefigge da qui al 2020 è stato vanificato in pochi mesi dalla Cina.

Sembra una beffa.
Già, una beffa che nasconde due grossi rischi potenziali: la perdita di competitività, con eccessive penalizzazioni specie per le industrie energy intensive; e la rilocalizzazione delle industrie in nazioni dove l’efficienza di produzione dell’energia elettrica è inferiore a quella europea. Con il risultato di aumentare ulteriormente le emissioni (l’opposto dell’obiettivo voluto). Occorrerebbe quindi dare priorità a un approccio politico, per portare intorno al tavolo di Kyoto Cina, India, Stati Uniti e gli altri maggiori contributori alle emissioni. I discorsi limitati alla sola Europa sono fuorvianti. Insomma, il 20-20-20 è un simpatico slogan di marketing ma non è chiaro come implementarlo. Tra l’altro, se l’obiettivo principale è davvero quello di ridurre le emissioni, perché non dare obiettivi di riduzione di un x per cento ad ogni Paese lasciando poi ad ogni nazione la scelta di un appropriato mix di rinnovabili, di efficienza energetica, di nucleare, eccetera? Inoltre, considerando l’alta volatilità dimostrata per il valore dell’anidride carbonica dall’emission trading scheme (e quindi la ben poca certezza di lungo termine per gli investitori di centrali), non è forse utile pensare ad una stabile carbon tax rivedibile con cicli lunghi?

Torniamo ancora al tema rinnovabili. I concetti di indipendenza e di sicurezza degli approvvigionamenti, così cari all’Europa (e all’Italia), sono un ulteriore volano per lo sviluppo di queste fonti?
Il Libro Verde della Commissione europea si fonda su tre pilastri: competitività (ovvero energia a costi “abbordabili”), sicurezza degli approvvigionamenti e qualità dell’energia fornita (per l’industria, i trasporti, il riscaldamento e l’illuminazione per clienti domestici e commerciali), sostenibilità ambientale. I tre pilastri devono coesistere dialetticamente tra loro e devono essere adeguatamente bilanciati, in modo da evitare perdita di competitività e vulnerabilità. Così, ad esempio, è possibile essere dipendenti ma non vulnerabili. Questo avviene se una nazione importa risorse energetiche a prezzi “ragionevoli” e attua una adeguata diversificazione per origine e tipologia delle risorse.
Al contrario, una nazione che producesse una parte consistente dei propri bisogni energetici a costi proibitivi (mi riferisco, per esempio, a tecnologie in fase di sviluppo e la cui penetrazione e costi sono ancora incerti), sarebbe vulnerabile anche se indipendente. Nel dare una assoluta priorità alle rinnovabili come soluzione di base per i problemi ambientali occorre dare anche il giusto peso ai dati relativi a costi e implicazioni sulla competitività.

Alcuni esperti del settore pongono l’attenzione anche sulla criticità della rete. Condivide le preoccupazioni?
Sono convinto che per ottimizzare sviluppo e utilizzo sia delle risorse convenzionali sia di quelle rinnovabili e del nucleare a livello europeo, e per massimizzare la sicurezza degli approvvigionamenti, sia fondamentale anche avere al più presto una rete di trasmissione europea veramente integrata. Non penso solo all’hardware, ovvero alle interconnessioni, ma anche all’armonizzazione di leggi e procedure. In un mercato libero la trasmissione è molto più importante di quanto lo siano generazione, trasmissione, distribuzione in un monopolio integrato.

Ma i consumi di energia, a livello mondiale, sono davvero destinati a crescere all’infinito?
Negli ultimi dieci anni la popolazione mondiale è aumentata del 12 per cento, la domanda di fonti primarie di energia è cresciuta con un tasso quasi doppio (20 per cento) e i consumi di elettricità con una velocità ancora più elevata (più 32 per cento). Nei prossimi 40 anni, anche considerando i programmi di efficienza energetica – in atto e previsti – e i possibili sviluppi tecnologici, a livello mondiale andremo comunque incontro a un raddoppio della domanda di energia; mentre il fabbisogno di energia elettrica potrebbe addirittura triplicare. Consideriamo che, ad oggi, ancora 1,6 miliardi di persone non hanno accesso all’elettricità…
E, soprattutto, che l’energia in generale e quella elettrica in particolare sono ormai essenziali per lo sviluppo economico, per la prosperità, la salute e la sicurezza dei cittadini. E che il prodotto interno lordo è legato strettamente non solo alla disponibilità dell’energia in termini di quantità, ma anche ai suoi costi e alla qualità della fornitura.