Gas naturale, cercasi partner per l'Italia: Algeria e Russia a confronto
di Dario Giardi - Formez

La programmazione energetica in Italia, per molto tempo, si è affidata alla continuità di modelli di sviluppo economico che poi si sono dimostrati non adeguati ad affrontare i cambiamenti epocali. Come evidenziato da alcuni analisti di settore, è significativa la regolarità con cui praticamente tutti i documenti programmatici prodotti dal dopoguerra in poi hanno frainteso la natura e l’intensità dei cambiamenti in atto, che dovevano di lì a poco incidere profondamente sulla trasformazione del sistema energetico nazionale.
Fin dall’inizio del XX secolo si era cercato di valorizzare l’energia idroelettrica, che negli anni ‘30 consegnò all’Italia una posizione di primato in Europa, e di altre fonti domestiche di energia. Alla fine degli anni ‘40, la scelta di una politica di libero scambio portò all’abbandono di fonti d’energia povere (quali la torba, gli scisti bituminosi e i residui agricoli) a favore dell’energia idroelettrica, di cui il Paese poteva vantare un enorme patrimonio,e considerata il “carbone bianco”.
Il carbone in quel periodo copriva il 50 per cento del fabbisogno primario e i costi conseguenti erano piuttosto elevati. Prevalse pertanto un orientamento per la diversificazione delle fonti primarie, in particolare la sostituzione con il petrolio e l’energia idroelettrica. L’impiego prevalente del petrolio fu il frutto di una intuizione sulla convenienza economica di questa fonte energetica, soprattutto per l’importanza crescente dei prodotti derivati attraverso un incremento della capacità di raffinazione.
Al tempo stesso, tuttavia, non si riuscì a dare una chiara valutazione dell’incidenza che negli anni tale fonte avrebbe avuto nel bilancio energetico nazionale, soprattutto per il massiccio impiego nella produzione di energia termoelettrica. Infatti si diede il via ad intensi programmi di investimento nell’energia termoelettrica in vista di una futura sostituzione dell’idroelettrico [...].

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