Peccato, l'Italia sta perdendo il "treno" dell'hub

di Edgardo Curcio

treno a pedaliAvrà una capacità di 10 miliardi di metri cubi l’anno il gasdotto di 260 chilometri, dal confine italiano al nodo austriaco di Haidach. Il progetto del consorzio austrotedesco è guidato con il 45 per cento da E.ON Ruhrgas e partecipato da Energie Oberosterreich e Salzburg AG con il 15 per cento ciascuna,d a Rohoelaufsuchungs con il 10 e da Kelag e Tigas con il restante 15 per cento in parti uguali.

Tauern Gas Leitung (Tgl), questo il nome del gasdotto, avrà un costo di 600 milioni di euro, sarà in grado di funzionare in entrambe le direzioni ed entrerà in funzione nel 2014. La condotta correrà da Tarvisio a Salisburgo e sarà collegata al Tag. In Austria il gasdotto sfrutterà il sistema di stoccaggio e la rete di Rohoelaufsuchungs, che consentirà il trasporto fino al nodo tedesco di Bnickhausen. Il Tgl non è legato direttamente al previsto aumento di capacità di gas dell’Italia, ma dovrebbe consentire agli operatori di trasportare più gas in Germania, da fonti diverse da quelle attuali (principalmente evitando fonti russe).

In un comunicato diffuso a metà gennaio, Salzburg AG ha fatto sapere che il percorso del Tgl sarà determinato entro la fine di quest’anno, dopo la conclusione dello studio di fattibilità già avviato. Lo studio raccoglierà dati geologici e ambientali e sulla disponibilità dei terreni. Una particolare attenzione sarà data al coinvolgimento delle popolazioni locali, con le quali nelle prossime settimane si svolgeranno una serie di incontri. Il Tgl consentirà di integrare le reti tedesche e austriache con i gasdotti dall’Algeria e dalla Libia, migliorando la sicurezza degli approvvigionamenti per’Europa centrale.

L’obiettivo del consorzio a guida E.ON, insomma, è portare in Europa parte del gas delle condotte Eni Transmed e Green Stream e del terminale Gnl di Rovigo (Edison, Qatar Petroleum, ExxonMobil), nonché quello del rigassificatore in progetto sull’isola croata di Krk da parte di una società controllata dalla stessa E.ON che avrà una capacità di 10 miliardi di metri cubi. Il progetto farà perno sul sistema di stoccaggio di Haidach, di proprietà Winger (società partecipata Gazprom e Basf), sistema che dovrebbe passare dagli attuali 1,2 miliardi di metri cubi ad oltre 2,5 miliardi entro il 2011.

Con questa importante iniziativa, che dovrebbe convogliare una grande quantità di gas dall’Europa meridionale all’Europa centrale, dove è previsto un deficit nei prossimi anni di oltre 50 miliardi di metri cubi di gas, sembra stia sfumando la possibilità/opportunità per l’Italia di creare nell’Adriatico un hub del gas destinato a rifornire l’Europa centrale nei prossimi anni.

Fino a qualche anno fa, infatti, tutti gli studi e le previsioni da parte dei vari istituti, nonché le dichiarazioni di alcune delle principali aziende italiane, davano per scontato che la posizione geografica del nostro Paese, le condotte di gas già in essere (tra cui il Transmed dall’Algeria e il Green Stream dalla Libia), nonché la realizzazione di un certo numero di impianti di rigassificatori, potessero dare al nostro Paese una indiscussa priorità nel divenire un hub strategico per il gas destinato all’Europa centrale.

Ancora ai primi di gennaio appariva sul Sole 24 Ore un articolo dal titolo “L’Italia si candida per diventare hub del gas in Europa” nel quale, citando uno studio di A.T.Kearney, si affermava che a partire dal 2012 il nostro Paese avrebbe potuto esportare gas nel resto dell’Europa e quindi avrebbe potuto trasformarsi in uno “snodo strategico” per l’approvvigionamento di gas naturale verso l’Europa centrale.

L’ipotesi cui faceva riferimento lo studio era che, da un lato, ci sarebbe stata una crescita della domanda di gas in Europa molto alta, e cioè prevista arrivare a 650 miliardi di metri cubi nel 2020 (+30 per cento rispetto ad oggi) e, dall’altro lato, che era in atto un imponente programma di nuove iniziative in Italia per far arrivare gas naturale sotto forma gassosa attraverso una serie di nuove condotte da vari Paesi, e sotto forma liquida, attraverso navi gasiere e relativi nuovi impianti di rigassificazione da realizzare in diverse località delle nostre coste. Lo studio parlava quindi della possibilità - sulla carta -di mettere a disposizione alcune decine di miliardi di metri cubi di gas per l’esportazione dal nostro Paese, come bilancio tra domanda e offerta di gas, a partire dal 2012-2014.

Giocavano a favore di questa tesi anche le nuove condotte di gas in fase di progettazione dall’Algeria (Galsi) e dalla Grecia (IGI) che avrebbero aumentato il flusso di importazioni, nonché l’imponente struttura di stoccaggi di gas che il nostro Paese dispone soprattutto in Pianura Padana, che avrebbe potuto lavorare non solo per la modulazione del nostro sistema di fornitura di gas ma anche, in parte, per quello di trasporto e smistamento del gas all’estero.

Oggi la situazione è in larga parte cambiata. Ferme la autorizzazioni per nuovi rigassificatori, essendo in costruzione solo quello di Rovigo e in fase di progettazione quello di Livorno di Endesa, Iride e Belleli; fermi i potenziamenti previsti per nuovi stoccaggi di gas (anzi in diminuzione nel 2007 per la fermata dello stoccaggio di Ripalta); ancora in discussione i tracciati dei nuovi gasdotti che dovrebbero portare gas dall’Algeria e dalla penisola Balcanica; buio completo sui futuri indirizzi e consensi in merito al reale potenziamento della capacità di offerta di gas nel nostro Paese.

Tutto ciò fa ritenere improbabile una copertura in tempi brevi della domanda di gas in Italia con un certo margine di sicurezza e, in tempi più lunghi o meno brevi, della possibilità prospettata qualche anno fa di riesportare gas dall’Italia verso l’Europa centrale.

D’altronde il mercato non aspetta le dispute politiche e le contestazioni dei comitati del no. Se si intravedono opportunità economiche le imprese, soprattutto le più grandi come E.ON Ruhrgas, Gazprom, Gaz de France e altre, progettano, investono e costruiscono rapidamente nuove infrastrutture per colmare i deficit di un mercato in forte crescita come quello del gas naturale in Europa. Quindi si moltiplicano i progetti (come quelli dell’isola di Krk) e le strade per portare gas dove è richiesto.

L’Austria, che rappresenta insieme al nostro Paese la parte meridionale dell’Europa, si affretta così a divenire il punto centrale di intersezione, raccolta e smistamento di tutte le grandi reti che trasportano gas naturale verso l’Europa, reti che sono collegate ai grandi centri di produzione della Russia, del Turkmenistan, del Caspio ma anche alle condotte che vengono dal Nord Africa o da impianti di rigassificazione dell’Adriatico.

Il fabbisogno europeo di gas per il 2020, stimato in 650 miliardi di metri cubi, verrà così coperto con nuovi approvvigionamenti da diverse provenienze in modo da non far mancare questo prezioso combustibile ai settori industriali, civili e termoelettrici di mezza Europa che utilizzano sempre più gas nei loro apparati per rendere più competitivo il sistema economico e industriale e meno inquinato l’ambiente, con una collaterale forte riduzione di emissioni di anidride carbonica.

Le previsioni sulla futura offerta di gas in Europa sono peraltro caratterizzate da una grande incertezza che deriva da diversi fattori. Il primo elemento è il forte declino della produzione interna di gas e cioè olandese, inglese e italiana, ma anche di altri Paesi europei. Il secondo fattore deriva dalla forte incertezza sugli approvvigionamenti dalla Russia. C’è infatti la possibilità che essa destini una parte sempre maggiore delle sue esportazioni verso l’Asia, in particolare Cina, riducendo i quantitativi destinati all’Europa.

A questo aspetto di natura strategica e politica si aggiunge anche il timore che la produzione di Gazprom non possa aumentare di molto nei prossimi anni, sia per mancanza di investimenti nello sviluppo e nella produzione di nuovi campi a gas, sia in parte anche per il naturale declino degli attuali giacimenti, in produzione da decine di anni.

In questo quadro va segnalato il progetto Nabucco, patrocinato dall’Unione europea e partecipato da cinque compagnie gassifere e cioè la turca Botas, la bulgara Bulgargas, la rumena Transgas, l’ungherese MOL e l’austriaca OMV. Il progetto, ancora allo studio, dovrebbe utilizzare il gas proveniente da produttori indipendenti dell’Asia centrale (Kazakhstan, Uzbekistan e Turkmenistan) e forse anche dall’Iran, per arrivare via Turchia, Bulgaria e Ungheria... fino all’Austria e rifornire così l’Europa centrale.

Ma Gazprom, che non vede di buon occhio il progetto Nabucco, ha già annunciato due progetti in concorrenza allo stesso, e cioè l’estensione del Blue Stream che da Ankara andrà verso ovest e la realizzazione, insieme con Eni, del South Stream che attraversa il Mar Nero e si dirigerà verso la Romania per arrivare sempre all’Europa occidentale.

Il Tgl che verrà realizzato da E.ON Ruhrgas ha sulla carta meno ambizioni e minore capacità di trasporto degli altri progetti elencati, che però devono fare i conti con costi più elevati (per la maggiore distanza dalle fonti di approvvigionamento) e con l’accordo (non facile) di transito nei vari Paesi, che hanno regimi e ideologie molto diversi uno dall’altro.

In questo ambito il Tgl promosso e operato da una grande società europea del settore del gas, ha il vantaggio di utilizzare non solo gas già trasportato da Paesi terzi e giunto praticamente alla frontiera austriaca, ma anche di utilizzare GNL proveniente dall’Adriatico che non ha quindi gravi problemi di attraversamento di frontiere. Quindi se l’Austria si propone come hub centrale per il gas europeo ha certamente molte buone carte da giocare.

Peccato che anche in questo caso il nostro Paese, per l’insipienza dei nostri politici e per un falso ambientalismo dei nostri concittadini, stia perdendo una grande opportunità di sviluppo economico e di crescita industriale in un settore strategico come quello del gas naturale.