Maugeri: "Eccessiva ossessione per la fine delle risorse"

abstract in inglese

di Davide Canevari


“Ancora oggi non vedo reali alternative alle fonti fossili tradizionali. Certo,a livello mondiale ci troviamo di fronte a una grande spinta sulle rinnovabili pulite. Ma questo sforzo, motivato da ragioni ambientali e dalle preoccupazioni sui cambiamenti climatici, anche in futuro tenderà solo a compensare il declino relativo di altre fonti pulite come il grande idroelettrico e il nucleare”. Inizia così la riflessione di Leonardo Maugeri, direttore Strategie e sviluppo Eni, sulle evoluzioni del quadro energetico mondiale, in atto in questi anni.

Ma il nucleare non stava attraversando una fase di Rinascimento?
Nonostante quanto riportato anche da importanti riviste internazionali lo scorso settembre, e per quanto il dibattito su questa fonte si sia innegabilmente riacceso, non credo che il Pianeta stia vivendo una nuova era del nucleare. Non c’è tempo, da qui al 2030, per un recupero di questa fonte. Le nuove realizzazioni non riescono infatti a compensare la perdita di potenza installata degli impianti che si stanno chiudendo o che saranno chiusi nei prossimi anni: così, rispetto alla domanda crescente di energia a livello mondiale, il nucleare sta perdendo quote mercato. Lo stesso problema esiste per l’idroelettrico, che trova un forte ostacolo nelle opposizioni alla realizzazione di nuove grandi dighe. C’è poi una seconda questione: la siccità o la minore piovosità che hanno contraddistinto questi ultimi anni, in Paesi a forte vocazione idro come ad esempio il Brasile, hanno causato un forte deficit di generazione elettrica, costringendo queste stesse nazioni a rincorrere ipotesi alternative. Un elemento chiave nello scenario mondiale – aspetto di cui pochi sembrano rendersi conto – è dunque il perdurante predominio delle fonti fossili, anche in proiezione futura. Petrolio, carbone e gas rischiano di rosicchiare ancora qualche punto nel paniere mondiale dell’energia, passando dall’attuale 78 per cento all’80-82 per cento entro i prossimi 15-20 anni.

"ANCHE SE LE RINNOVABILI COSTASSERO POCHISSIMO
E FOSSERO COMPETITIVE,
RIMAREBBE UN GRANDE
PROBLEMA: QUELLO
DELLA DENSITÀ ENERGETICA"

In attesa che le rinnovabili diventino davvero competitive…
Guardi, se anche queste fonti costassero pochissimo e fossero competitive, rimarrebbe un grande problema; quello della densità energetica, ovvero dei volumi di energia che oggi ci possono dare il sole, il vento e le altre rinnovabili.

Ci dà qualche numero?
Per installare un kW fotovoltaico occorrono 8 metri quadri di pannelli. Per i 3 kW – valore di riferimento per il contatore di una famiglia media italiana – ne servono 24. Una ipotetica centrale da 500 MW, considerata di medie dimensioni se fosse alimentata da fonti fossili tradizionali, occuperebbe da 700 a 1.000 ettari di terreno. Quando un impianto a gas naturale della stessa potenza non va oltre i 6 ettari, considerando anche le aree di rispetto. Il rapporto è di 1:100 e può benissimo arrivare a 1:200.

Per il vento il problema è lo stesso?
Per raggiungere i 500 MW di eolico si può immaginare una fila di turbine lunga un centinaio di chilometri. Questo nell’ipotesi di impiegare le più moderne e potenti macchine oggi esistenti,con generatori da 5 MW ciascuno. Se posiziono delle pale in sequenza, come ordine di grandezza, occorre una distanza media tra ciascuna di loro pari a 6-10 volte il diametro dei rotori. Questi modelli hanno rotori da 120 metri di diametro e quindi il calcolo è subito fatto:ciascun generatore di questa taglia deve distare dal successivo e dal precedente di circa un chilometro.

Nel confronto, stiamo ancora parlando solo di potenza installata e non di energia generata.
Infatti, e tra i due parametri c’è un abisso poiché con le fonti tradizionali una centrale può funzionare 8.000 ore/anno. Le rinnovabili, invece, hanno tempi di utilizzo molto minori. Per questo non possono essere le soluzioni ai macro problemi.

E cosa ci dice delle altre rinnovabili?
Maree e geotermia sono lontanissime da poter offrire un contributo significativo al paniere energetico mondiale. Le biomasse, che il mondo consuma oggi in
maniera massiccia (un decimo dei consumi di energia primaria), sono costituite per la gran parte (circa il 70 per cento) da legno, residui vegetali e perfino sterco essiccato. Si tratta di materie prime relativamente sporche, tipiche di popolazioni povere.

"LE ATTUALI QUOTAZIONI
DEL PETROLIO SONO IL FRUTTO
DEGLI SCARSI INVESTIMENTI
EFFETTUATI NEL PASSATO
"

Un secondo grande tema, parlando dell’evoluzione del quadro energetico mondiale, è quello dei prezzi, che si trascina la questione della disponibilità effettiva delle fonti.
Personalmente, sono uno dei sostenitori del fatto che le attuali quotazioni del petrolio siano il frutto degli scarsi investimenti effettuati nel passato. Ma questo è un problema che non riguarda solo il greggio. Nel settore uranio, ad esempio, è avvenuto lo stesso fenomeno, sia pure con dinamiche molto più sostenute. All’inizio del 2000 l’uranio costava 13 dollari al chilo; nel maggio del 2007 era arrivato a 200 dollari al chilo. Sette anni fa l’uranio costava così poco che nessuno si azzardava non solo a fare esplorazioni per trovare nuovi giacimenti, ma anche a sviluppare quelli già conosciuti. E oggi si pagano le conseguenze di quelle scelte; così la Russia, che pure ha importanti miniere all’interno del proprio territorio, è costretta a importare uranio dal Kazakistan e da altri Paesi. È chiaro che nei settori minerari parliamo pur sempre di stock fisici limitati, e quindi destinati prima o poi ad esaurirsi. Ma nessuno sa al mondo quale è la reale consistenza delle riserve, e per le informazioni che abbiamo oggi possiamo comunque affermare che c ’è ancora una grande quantità di fonti fossili, tale da coprire la domanda di tutto il 21 ° secolo.

Se lei parla con gli antinuclearisti, però, almeno per l’uranio le daranno un orizzonte temporale molto più limitato.
Peccato che le stime sulla disponibilità, pubblicate sul Libretto Rosso dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, siano state fatte sull’ipotesi di un prezzo pari a 40 dollari al chilo; non di cinque volte superiori come in realtà oggi è. E questa disparità basta per far saltare tutti i calcoli. Continuo a pensare che ci sia una eccessiva ossessione per la fine delle risorse.

"QUELLO CHE ABBIAMO
DI FRONTE
NON É UN PROBLEMA
DI ESAURIMENTO,
MA DI PREZZI
"

Sono i geologi che accusano gli economisti di considerare le risorse inesauribili e di legare le valutazioni solo a parametri economici.
Il fatto è che il primo allarme sulla fine delle risorse è stato lanciato proprio da un grande economista, William Stanley Jevons, che nel 1865 pubblicò in Inghilterra il libro The coal question (sempre Jevons fu il primo a intravvedere il paradosso dell’efficienza energetica, ovvero che l’aumento dell’efficienza non diminuisce i consumi, ma li aumenta). Quello che abbiamo di fronte non è un problema di esaurimento, ma di prezzi. E la questione non riguarda solo il petrolio ma moltissime altre materie prime (per le quali, però, nessuno ha mai paventato scenari di prossimo esaurimento).

Cosa ha portato, dunque, ai prezzi di oggi?
Negli anni scorsi abbiamo attraversato un ciclo storico contraddistinto, per gran parte delle materie prime, da un surplus di produzione e quindi da prezzi molto bassi. Ricordo che negli anni Novanta sono state chiuse decine di miniere d’oro perché non risultava redditizio estrarlo. In questo scenario, per anni, l’industria petrolifera ha fatto una cieca politica di cost cutting e di falsa efficienza (intesa più che altro come taglio delle teste) con gravi perdite di know-how e riduzione dell’attrattività del settore per i giovani. Basti dire che nel 2004 negli Usa si sono laureati poco più di 400 ingegneri minerari; un numero irrisorio! Oggi stiamo pagando le conseguenze di quelle scelte poiché non c’è né il materiale umano né quello tecnologico per invertire il trend in poco tempo. Molti progetti stanno slittando non per mancanza di risorse ma di materiale umano e mezzi tecnologici. Credo che bisognerà attendere la fine di questo decennio per una stabilizzazione dei prezzi e per un riequilibrio della situazione. Magari potrà esserci un ulteriore slittamento temporale di uno o due anni. Poi, però, vedo il ritorno a una fase di maggiore equilibrio.

Nel panorama energetico mondiale, quali sono gli “attori” o le dinamiche emergenti?
Certamente India, Cina e i Paesi dell’Asia sono attori ormai emersi, non solo emergenti. Sullo sfondo vedo un altro fenomeno molto importante, che riguarda numerosi Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa, nazioni che stanno registrando consumi energetici esponenziali. Questo può creare nel futuro una serie di dilemmi: molti di questi Paesi avranno infatti bisogno di crescenti quantitativi di gas naturale per far fronte ai loro consumi interni. Anche perché in quest’area del Pianeta il gas naturale non è utile solo per alimentare iconsumi energetici e industriali, ma viene anche iniettato nei giacimenti di petrolio, al fine di favorire l’estrazione di maggiori quantitativi di greggio. Il caso dell’Iran è emblematico: si stima che nel 2020 l’Iran pomperà nei propri giacimenti di petrolio 40 miliardi di metri cubi di gas naturale; poco meno della metà del consumo nazionale italiano!

Qualcuno potrebbe però dire che se si è costretti ad usare il gas per estrarre il petrolio, allora non è poi così remota l’ipotesi di un esaurimento.
Ma sbaglierebbe. I Paesi del Golfo Persico, e molti altri, sfruttano allo spasimo i giacimenti più vecchi o perché non hanno investito nella ricerca di nuovi oppure, come nel caso dell’Arabia Saudita, perché hanno preferito lasciare alle future generazioni i pozzi più appetibili.

Quel gas iniettato, è “perso per sempre” oppure, grazie all’innovazione e alla ricerca tecnologica, in futuro potrà essere ancora utilizzato?
Non è perso per sempre, ma finora non è mai stato recuperato. Non c’è un solo progetto, a tutt’oggi, non una sola evidenza, delle possibilità di poterlo recuperare. Il costo è così elevato che oggi non troverebbe una giustificazione.

Oggi è davvero più conveniente pompare il gas nei giacimenti petroliferi di quanto non lo sia venderlo a una Europa affamata di energia?
L’Agenzia internazionale per l’energia ha fatto una stima del valore del gas naturale dell’Iran, avendo come parametro di riferimento il prezzo del brent di 28 dollari al barile. Posto che sia uguale a 1 il prezzo del gas naturale venduto al consumatore finale iraniano (a prezzo politico), se quello stesso gas fosse venduto sul mercato internazionale varrebbe 20. Iniettato in giacimento vale, addirittura, 80.

Conviene quattro volte di più iniettarlo che esportarlo!
Questo è quanto ci dice lo studio dell’Aie. E, come detto, potrebbe diventare un fenomeno importante e deve essere tenuto in grande considerazione anche quando si parla di approvvigionamenti per l’Europa.
Chi oggi vende gas naturale alla Ue cosa farà domani? Per il gas, trasporto logistica e stoccaggio incidono molto sul prezzo finale al netto delle tasse, grosso modo per un 50 per cento. l costo finale del gas, quindi, più ancora che dalla materia prima è influenzato dai costi di trasporto e dalla lontananza dei luoghi di consumo da quelli di produzione. Oggi tutti parlano di Gnl come di una soluzione avveniristica. Ma la tecnologia di liquefazione del gas è un brevetto che risale ai primi anni Venti dello scorso secolo. Solo che, per decenni, non se ne è mai parlato perché era considerato una follia economica. Ancora nei primi anni Novanta, quando in America parlavo con i petrolieri di vecchia generazione, era ricorrente in loro l’espressione “maledetto gas”. Perché se scoprivano giacimenti di petrolio e gas, per estrarre il primo dovevano estrarre anche il secondo, e questa era considerata una seccatura o un problema, non certo una risorsa aggiuntiva.

Tutto ciò succedeva pochi anni or sono, non in un passato remoto…
Infatti, ed è per questo che non si capisce perché oggi si debba dire che tutte le risorse sono a un passo dalla fine. Il catastrofismo sembra essere una malattia endemica...

Che ruolo può giocare l'Europa negli scenari energetici mondiali?
Mi sembra difficile vedere un ruolo attivo per l’Europa in campo energetico. Certamente l’Unione europea può incidere in termini di politiche pubbliche. Avendo però sempre presente che in campo energetico alcune scelte possono essere pericolose e controproducenti se non affidate a dei veri esperti. Questo, ovviamente, vale per tutti i Paesi e non solo per la Ue.

Ci può fare un esempio?
Prendiamo gli Stati Uniti e gli incentivi per lo sviluppo delle colture tradizionali, in particolare cerealicole, destinate alla produzione di biocarburanti. Basterebbe calcolare quanti ettari di terra servirebbero per sostituire il 20 per cento della benzina che consumano gli Usa per capire che, nonostante gli incentivi, i biofuel non riusciranno a intaccare minimamente i consumi statunitensi di energia. In aggiunta, le coltivazioni intensive di terreni a mais provocano notoriamente erosione del terreno, richiedono un uso eccessivo di fertilizzanti, causano problemi idrici immani. Infine il sussidio ai produttori Usa si accompagna al dazio sul bioetanolo importato, sfavorendo così, per esempio, le produzioni brasiliane che hanno un minore impatto ambientale e incidono meno sulla catena alimentare. Questo è un esempio tipico di intervento pubblico nell ’energia che non sembra ben calibrato. E che ha forti conseguenze anche all’esterno degli Stati Uniti e su settori apparentemente non correlati con l’energia. Penso alla recente crisi della tortillas in Messico.

Ma cosa c’entra il serbatoio di un’auto a biofuel con la tavola da pranzo?
La corsa americana ai biocombustibili ha provocato un aumento del prezzo del mais giallo, usato negli States per produrre bioetanolo. In Messico la tortilla, alimentazione di base per la popolazione, soprattutto quella meno abbiente, si fa con il mais bianco. E dunque in apparenza c’è poco legame tra i due prodotti. In realtà i messicani, che importavano il mais giallo dagli Usa per alimentare i propri allevamenti, ad un certo punto non hanno più trovato convenienza nell’import. E hanno iniziato ad usare il proprio mais bianco anche per le stalle. Il picco di domanda che ne è derivato ha portato i prezzi del mais bianco alle stelle. Uno sfacelo, con la gente in piazza e rischi di sollevazioni popolari, al punto che il presidente Felipe Calderón, nel gennaio 2007, ha dovuto imporre i prezzi amministrati. E questi sono soltanto i primi segnali, le prime avvisaglie. Quando si parla di politiche energetiche è importante evitare slogan e pericolose fughe in avanti. E occorre fare bene i conti.

Sta pensando anche all’obiettivo di risparmio energetico che si è data l’Europa per il 2020?
Una riduzione del 20 per cento delle emissioni in atmosfera di anidride carbonica, è certamente appetibile. Ma se si traducono le percentuali in numeri... Se in Italia dovessimo applicare pedissequamente questo obiettivo vorrebbe dire effettuare un taglio di 170 milioni di tonnellate di anidride carbonica/anno. Ad oggi il settore termoelettrico e quello della raffinazione nel loro complesso producono 163 milioni di tonnellate/anno. Come a dire: chiudiamo tutti gli impianti energetici del nostro Paese e ancora non abbiamo raggiunto l’obiettivo. Servirebbe, dunque, uno sforzo di realismo nel tradurre percentuali e obiettivi in numeri. Le scelte di politica energetica sono delicatissime e si rischia di fare grandi danni se i problemi non sono studiati a fondo.

Allo stesso modo, se pensiamo al dibattito sul costo dei carburanti, spesso si rischia di cadere nella demagogia.
Penso proprio di sì. La benzina, che è attaccata da più parti per il prezzo alla pompa, rimane uno dei beni più economici; e anche uno dei generi che meno è cresciuto in termini di costi nel medio e lungo periodo. Il prezzo medio annuo della benzina senza piombo, praticato in Italia da tutte le compagnie petrolifere, tenendo anche conto degli sconti e dei prezzi degli impianti self-service, è stato pari a 1,083 euro/litro nel 2000 (come da rilevazioni del ministero dello Sviluppo Economico). Quest’anno è stato pari a 1,284 (media progressiva aggiornata al 25 settembre). L'incremento percentuale è stato, pertanto, del 18,6 nel periodo preso in esame.

Ovvero poco meno del 2,5 per cento annuo.
Certo. Come sono cresciuti,nello stesso periodo di tempo, le quotazioni delle case, degli alimentari, e di molti altri beni di consumo. Eppure la benzina viene ancora usata come un capro espiatorio.

"DOBBIAMO IMPEGNARCI
IN UNO SFORZO GIGANTESCO
NELLA RICERCA...
"

Crede nel contributo della ricerca?
Certamente. Dobbiamo impegnarci in uno sforzo gigantesco nella ricerca per puntare a tecnologie innovative che rendano le fonti alternative al petrolio effettivamente “alternative” nel medio-lungo periodo. Ma tale sforzo deve essere orientato anche a rendere meno inquinanti e perniciose per il clima le tradizionali fonti fossili. E poiché i risultati della ricerca scientifica non potranno essere immediati, è necessaria in parallelo un’azione incisiva sul fronte dell’efficienza energetica, che non potrà essere lasciata al volontarismo dei singoli, ma dovrà essere puntellata da leggi e vincoli precisi.

Un’ultima domanda. Come sono cambiate le cose dopo l’allargamento e la spinta verso Est?
Dal punto di vista energetico non ha avuto effetti sensibili. Siamo tutti Paesi costretti ad importare risorse; abbiamo solo allargato la sfera di chi ha bisogno.