Inutile far finta che non sia una finta liberalizzazione |
di G.B. Zorzoli Dal 1999 a oggi, quando il governo vuole dimostrare il proprio impegno a favore della liberalizzazione del settore elettrico, che tipo di azione sceglie? Quasi sempre la stessa: decide di abbassare in anticipo rispetto alle scadenze fissate a livello europeo la soglia di accesso alla categoria dei clienti idonei.
Lo ha fatto di nuovo in occasione del decreto sulla competitività. Per l’ultima volta. Non per improvvisa resipiscenza, semplicemente perché con l’estensione dell’idoneità anche ai clienti domestici non c’è più spazio per altre iniziative del genere. Così per il futuro ci saranno per lo meno risparmiate ulteriori repliche di una scelta inutile, anzi controproducente, quella di aumentare la domanda in un mercato in cui l’offerta non cresce di conserva. Il ripetersi nel tempo di decisioni apparentemente inspiegabili, eppure reiterate anche al mutare della maggioranza di governo, ha le sue radici nella mai risolta contraddizione fra esigenze del mercato e proprietà pubblica di gran parte della produzione elettrica (considerazioni analoghe valgono per altro anche nel caso del gas). Da noi, invece, le cose sono andate diversamente. La trasformazione in società per azioni di Enel ed Eni, decisa nell’estate del 1992, aveva lo scopo dichiarato di consentirne la privatizzazione, come conferma la successiva costituzione di un Comitato ministeriale per le privatizzazioni, riguardante anche altri enti pubblici e aziende controllate dallo Stato. Nell’estate del 1992 si era infatti verificata una grave crisi della lira, costringendo il primo governo Amato a drastici interventi per migliorare lo stato dei conti pubblici, fra cui, appunto, la decisione di vendere una serie di partecipazioni azionarie. Scelta comprensibile e assolutamente necessaria, che ha però marchiato con un apparentemente indelebile vizio d’origine il successivo processo di apertura dei mercati dell’energia elettrica e del gas naturale. Il problema del ruolo dominante (eufemismo per quasi monopolio) dell’Enel nella generazione di energia elettrica ed esclusivo per quanto concerne la sua importazione è stato di conseguenza risolto con una limitazione solo apparentemente antimonopolistica. Uno sostanziale: date le caratteristiche di variabilità temporale della domanda elettrica, nei momenti in cui essa è elevata diventa determinante nella determinazione del prezzo anche la qualità dell’offerta. Di questo non si è tenuto conto (o meglio, non si è voluto tenere conto) nel definire le tipologie degli impianti che l’Enel avrebbe dovuto cedere e nel fissare gli obblighi di trasformazione imposti agli acquirenti. Di qui un enorme squilibrio a favore dell’Enel per quanto concerne la proprietà degli impianti mid-merit. È positivo che in materia l’Autorità abbia aperto un’indagine, ma il problema non è tanto quello di verificare se vi siano stati abusi quanto piuttosto di mettere in opera norme e regole virtuose, le uniche in grado di indurre comportamenti virtuosi. A tal fine sarebbe innanzi tutto necessario ripartire fra un numero sufficiente di produttori gli impianti mid-merit esistenti, in modo da assicurare un’adeguata competizione nelle ore in cui la domanda è elevata: cosa diversa dalla più volte ventilata ipotesi di una quinta Genco, che non potrebbe contenere un numero sufficiente di impianti mid-merit, in quanto in tal modo si passerebbe da un loro quasi monopolio a un loro quasi duopolio. In secondo luogo occorrerebbe passare in tempi non troppo lunghi dalla formazione dei prezzi in Borsa secondo il criterio del marginal price a quello basato sul pay as bid. Il trasferimento al ministero dell’Economia del compito di redigere il decreto sulla competitività, con le connesse decisioni in materia energetica, ha avuto l’effetto opposto, sminuendo di fatto anche il confronto dialettico che, se pur storicamente squilibrato a favore dell’Economia (e del Tesoro prima), esisteva all’interno della compagine governativa ogni qual volta si dovevano affrontare scelte relative alla liberalizzazione del settore.
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