Leggere, parlare, ascoltare, tacere

Leggere, parlare, ascoltare, tacere

di Carletto Calcia

CHI SOPRAVVIVE AL TEMPO POSSIEDE LA CAPACITÀ DI CONFRONTARE SITUAZIONI REMOTE CON QUELLE ATTUALI E DI ESPRIMERE UN GIUDIZIO. QUESTO VALE PER IL MODO DI VIVERE, DI COMUNICARE E DI STRINGERE RELAZIONI

La cultura si sviluppa continuamente, supportata da nuovi contesti tecnologiche, che si sovrappongono ai comportamenti e che li influenzano.
La lettura, che un tempo avveniva sui tradizionali libri, oggi può servirsi anche di apparecchi digitali. Il senso prevalente di urgenza e brevità non facilita il ricordo di ciò che si è letto.

La capacità di ricordare è infatti condizionata dall’uso di questi supporti. Esistono ancora tuttavia alcune regole per ottimizzare i ricordi; regole che privilegerebbero le letture su carta e non sugli strumenti digitali. Si dovrebbero di preferenza effettuare riletture, evitando letture saltuarie.

Anche parlare comporta alcuni ripensamenti. In passato, lo stile promuoveva l’eleganza piuttosto che la brevità. Oggi si tende a parlare a un ritmo sostenuto e ad alta voce, spesso con volumi eccessivi di parole. Il numero di parole e il tono elevato non convincono circa la qualità della comunicazione.

Le frasi complicate non ottengono solitamente il risultato previsto. Il loro accoglimento si riduce con l’aumento del numero di parole. Servono frasi il più possibile brevi, che omettano i termini non necessari ed evitino i luoghi comuni. Ogni parola pronunciata deve dire qualcosa.

Anche le migliori frasi rischiano inoltre di perdere efficacia se pronunciate in tono monotono. Parlare a coloro che hanno vissuto grandi difficoltà a causa della pandemia, e ancora oggi sono coinvolti da gravi situazioni legate a perduranti incertezze e rischi, merita un particolare tratto di intelligenza emotiva e di empatia, che dovrebbe esprimersi con la parola.

Ogni frase dovrebbe essere non solo gentile e adatta all’importanza del tema trattato, ma formulata in modo da convincere l’interlocutore di un senso di rispetto e di comprensione.

A questo proposito ricordo un colloquio con un mio capo straniero, un vero gentiluomo, colto e raffinato. Quando gli esposi la mia opinione ricevetti questa risposta: “Io sarei piuttosto del parere che…”. Avrebbe potuto dirmi: “Non sono d’accordo”, ma la sua signorilità lo convinse a usare una frase che suonasse meno dura per me. Questo stile potrebbe essere vincente anche e soprattutto oggi. Sarebbe gradito alle persone e faciliterebbe i rapporti. […]

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