Ercolani: "Per le riserve strategiche serve un approccio coordinato"

Ercolani: “Per le riserve strategiche
serve un approccio coordinato”

di Paola Sesti

IL COMPLESSO E DELICATO RAPPORTO TRA SISTEMI DI DIFESA E TERRE RARE; ELEMENTI CHE SI TROVANO IN BASSE CONCENTRAZIONI E MESCOLATI TRA LORO, IL CHE RENDE TECNICAMENTE DIFFICILE E COSTOSA, ANCHE AMBIENTALMENTE, LA LORO SEPARAZIONE

L’elenco dei prodotti che impiegano terre rare è lungo. Smartphone, dischi rigidi per computer, macchinari per risonanza magnetica, motori per veicoli elettrici, catalizzatori, magneti permanenti, sono solo alcuni degli articoli contenenti una (o più) di queste 17 sostanze pure, fondamentali per applicazioni civili e militari ad alta tecnologia.
Elementi che non sono propriamente rari in sé, ma che si trovano generalmente in basse concentrazioni e mescolati tra loro, il che rende tecnicamente difficile e costosa, anche ambientalmente, la loro separazione.

Nel settore militare sono utilizzati nelle armi a guida di precisione e nelle tecnologie satellitari, nei veicoli senza pilota e nei sistemi di comunicazione avanzati. Insomma, sono di importanza strategica per la piena funzionalità delle forze armate moderne, sempre più interconnesse. Anche per questo, un numero crescente di Paesi ritiene che garantire l’accesso a questi elementi sia essenziale per la stabilità economica e militare futura. Alcuni mesi fa il Senato degli Stati Uniti ha presentato un disegno di legge bipartisan che propone il divieto, per gli appaltatori della difesa, di procurarsi metalli rari dalla Cina, invitando altresì il Pentagono a creare entro il 2025 una riserva strategica di questi elementi.
Un tema di sicurezza nazionale, quindi.

E proprio sul complesso e delicato rapporto tra sistemi di difesa e terre rare Nuova Energia ha inteso fare il punto con Alessandro Ercolani, amministratore delegato di Rheinmetall Italia. Non prima di aver sfruttato la sua competenza ed esperienza per delineare brevemente il contesto.

Quando ha inizio l’estrazione di terre rare a scopo industriale?
Dagli anni ‘60 del Ventesimo secolo. Fino agli anni ‘80, gli Stati Uniti sono stati leader nella produzione mondiale di terre rare, principalmente impiegate per la produzione di magneti permanenti. Da lì in poi l’estrazione si è spostata - inesorabilmente e totalmente - in Cina, a causa di costi di manodopera inferiori e, soprattutto, grazie a standard ambientali molto permissivi.
La caratteristica principale delle terre rare è che, in natura, non si trovano in forma pura, ma tendono a legarsi tra loro e ad altri minerali. L’estrazione e la separazione sono quindi difficili, laboriose e altamente inquinanti: un processo molto impattante sull’ambiente. Ad oggi, la Cina è il principale esportatore di terre rare e il Paese con il know-how più sviluppato nel campo dell’estrazione e lavorazione di questi particolari elementi.

Come si è arrivati al monopolio cinese?
I 17 elementi che compongono l’insieme delle terre rare contengono due grandi aspetti di complessità, quali l’estrazione e la separazione, a cui si aggiunge anche la filiera produttiva. Quando acquistiamo un prodotto dobbiamo quindi tenere conto di dove sono state estratte le materie prime che lo compongono, chi le ha lavoravate e chi lo ha costruito.
Se guardiamo i dati estrattivi globali di terre rare, nel 1975 gli Stati Uniti estraevano 14.500 tonnellate I 17 elementi che compongono l’insieme delle terre rare contengono due grandi aspetti di complessità, quali l’estrazione e la separazione, a cui si aggiunge anche la filiera produttiva.
Quando acquistiamo un prodotto dobbiamo quindi tenere conto di dove sono state estratte le materie prime che lo compongono, chi le ha lavoravate e chi lo ha costruito. Se guardiamo i dati estrattivi globali di terre rare, nel 1975 gli Stati Uniti estraevano 14.500 tonnellate

Da cosa deriva questa prevalenza dell’area asiatica?
Da un mix tra distrazione, miopia e caso. La Cina ha rappresentato il cuscinetto sociale ideale, la risposta facile alla crisi degli anni ‘80 attraversati da problema della delocalizzazione e della necessità di abbassare il costo del lavoro. Questo ha portato tutte le aziende ad aprire sedi nel Paese e allo stesso tempo ha fatto crescere in tutto il mondo la domanda di prodotti a basso costo.
La Cina ha iniziato ad estrarre nel 1985 e ha capito che il settore avrebbe potuto avere un valore aggiunto con la crescita delle telecomunicazioni e dei computer. Non c’è stato un piano strategico: si sono create le condizioni favorevoli e a un certo punto è successo.

Quando ci si è accorti di questo monopolio totale?
Nell’aprile 2010, nell’analizzare le filiere produttive e progettuali a livello globale, gli USA iniziano a riscontrare un problema di staticità dei componenti. Un’analisi del GAO (US Government Accountability Office) sul mercato mondiale delle terre rare evidenziava che la Cina estraeva e commercializzava il 97 per cento delle terre rare, il 97 per cento di ossidi di terre rare, l’89 per cento di leghe di terre rare, il 75 per cento di magneti al neodimio-ferro-boro (NeFeB) e il 60 per cento di magneti in samario-cobalto (SmCo).
Dati che indicavano appunto un monopolio totale e di dimensioni raramente osservate nella storia economica recente. Per la produzione dei magneti permanenti basati sulle terre rare (neodimio, samario-cobalto) la situazione era leggermente migliore, ma la Cina aveva comunque capacità produttive superiori a tutte le altre maggiori potenze economiche unite insieme. [...]

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