Il fotovoltaico capovolto

Il fotovoltaico capovolto

di Paola Sesti

STEFANO CRUCCU, FONDATORE DI SOPOWERFUL, RACCONTA IL SUO MALAWI. UN PAESE IN CUI SOLO IL 4,5 PER CENTO DELLA POPOLAZIONE NELLE ZONE RURALI HA ACCESSO ALL’ELETTRICITÀ, PER IL QUALE LA TECNOLOGIA SOLARE PUÒ FARE LA DIFFERENZA TRA LA VITA E LA MORTE.
E NON È UN MODO DI DIRE

“Oggi è stata una giornata abbastanza intensa, trascorsa sempre in ufficio: 7 lunghe chiamate, una ventina di email... Non che mi dispiaccia, però ogni volta che passo un giorno seduto alla scrivania e con il laptop penso che non sono fatto solo per questo. Preferisco lavorare sul campo. Ma tutto serve”.
Inizia così la chiacchierata di Nuova Energia con Stefano Cruccu, fondatore di Sopowerful, e può sembrare un esordio singolare se non si aggiungono alcune informazioni di contesto. Sopowerful è una fondazione nata nel 2019, la cui missione è riassunta in uno slogan: il solare dove conta di più. Realizza infatti sistemi fotovoltaici di taglia medio-piccola, focalizzandosi sulle applicazioni per l’assistenza sanitaria, l’istruzione e l’accesso all’acqua.
Per ora in Malawi, nei prossimi mesi anche in Libano e Tanzania.

Questo, in poche parole, è Sopowerful. Per provare a raccontarne la storia, è necessario cominciare da quella umana del suo fondatore. Padre italiano, madre olandese, ingegnere cresciuto nei Paesi Bassi, Stefano lavora da oltre un decennio nel settore fotovoltaico. Nel 2019 si trova a Monaco di Baviera, in una realtà multinazionale che sviluppa progetti eolici e fotovoltaici. Una bella azienda, una bella carriera e anche diverse opzioni interessanti in prospettiva.

E poi, che cosa accade?
Fermandomi per avere maggiore consapevolezza delle scelte e delle conseguenti decisioni che avrei dovuto prendere, mi sono reso conto di un altro desiderio che apparentemente era già lì ed era nato viaggiando e venendo in contatto con realtà molto diverse da quella in cui ero cresciuto.
C’è un detto che recita Once you become aware of something you can’t become unaware of it: puoi anche provare a prenderti in giro, però quando diventi consapevole di qualcosa, non puoi più esserne inconsapevole. Nel mio caso, dopo un po’ di settimane e un po’ di lotte interne, ho trovato il coraggio di ascoltare questo desiderio, questa chiamata – ci sarebbero almeno altre dieci parole per definirlo! – e ho lasciato l’azienda in cui lavoravo.
Un paio di mesi dopo – a fine 2019 – è nata Sopowerful. La mission è stata chiara fin da subito: solar where it matters most, dove fa la differenza più grande. Non che in Europa non lo faccia. In Occidente parliamo, giustamente, di transizione energetica, però se premiamo l’interruttore la luce si accende e non cambia se l’energia è pulita o meno. Mentre per quasi un miliardo di noi – alcuni indicano 800 milioni, ma poco cambia – non è così, perché non ha accesso all’elettricità.

Perché il Malawi?
Un ex collega, di ritorno da un viaggio in Malawi, aveva per caso – tra virgolette – conosciuto il responsabile di una piccola clinica locale che non aveva accesso all’energia elettrica. Sapendo quello che avevo intenzione di fare, mi ha girato il contatto. Dopo tre telefonate ho avuto chiara la sensazione che avrei potuto spendere sei mesi a creare un masterplan fatto bene, il dettaglio della strategia, la pianificazione accurata del progetto. Oppure...

Oppure?
Potevo andare lì e provare a imparare facendo. Così, alla fine del 2019, sono partito. È stato come entrare in un altro mondo. Ricordo di essere arrivato alla clinica a fine pomeriggio; era già buio e due pazienti venivano accolti alla luce di una candela e con la torcia di un telefonino. La maggior parte dei medicinali non c’era; serve un frigo per conservarli e senza elettricità la faccenda è un po’ ardua... Questa scena mi ha fortemente colpito, ma mi ha anche motivato. Perché ho capito di essere in un luogo dove c’era realmente un bisogno e un potenziale. Due mesi dopo, il progetto era realizzato. Sono riuscito a fare la raccolta fondi, a trovare un installatore capace e poi il resto è storia.
Il primo passo è stato importante. Consapevolmente in quei due mesi ho scelto di vivere non in città ma proprio nel villaggio in cui si trova la clinica, per imparare il più possibile sulla cultura e sulle usanze, integrarmi, allenarmi a calcio con la squadra del posto.

Testimonianze di esperienze in altri ambiti – sempre in Africa – riportano che quando la comunità locale non viene coinvolta, si rischia di mettere in piedi iniziative meritevoli che a distanza di 6 mesi non esistono più.
Come riuscite a tutelare quello che realizzate?

È una delle questioni più rilevanti nel continente africano e vale anche per installazioni fotovoltaiche. Purtroppo ne abbiamo viste diverse anche recenti – montate tre o quattro anni fa – che non sono state manutenute e si trovano in uno stato che definirei pietoso. Per questo, fin dall’inizio ci siamo detti: non dobbiamo essere ingenui. Il contesto è sfidante e serve un approccio che limiti il più possibile questi rischi.[...]

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