Villani: “Reti resilienti per contrastare il climate change”

Villani: “Reti resilienti per
il contrasto al climate change

di Paola Sesti


LA RESILIENZA NEL SETTORE ELETTRICO NON SOLO RIDUCE I DANNI ALLE INFRASTRUTTURE E I DISAGI PER LE PERSONE, MA PORTA A UN UTILIZZO PIÙ EFFICIENTE E SOSTENIBILE - ANCHE DAL PUNTO DI VISTA ECONOMICO - DELLE RINNOVABILI, IL CUI SVILUPPO È FONDAMENTALE NEL PREVENIRE GLI EFFETTI DEL CAMBIAMENTO CLIMATICO. L'ESPERIENZA DI CESI

L’incremento della generazione da rinnovabili non programmabili porta come conseguenza una necessaria trasformazione del sistema elettrico, unita al bisogno di una ancora maggiore affidabilità della rete e dei suoi componenti. A ciò si aggiunge il cambiamento climatico e i sempre più frequenti eventi estremi. Ne abbiamo parlato con Domenico Villani, Executive Vice President della Divisione Testing, Inspection e Certification di CESI che riunisce tutti i laboratori del Gruppo per le attività di testing, da Milano a quelli di IPH GmbH (Berlino) e FGH E&T (Mannheim) in Germania, fino a quelli di Kema BV in Olanda e ZKU in Repubblica Ceca.

Cosa significa resilienza per il settore elettrico?
Con resilienza si intende la capacità di un sistema, nel nostro caso una rete elettrica, di adattarsi agli eventi e di reagire per recuperare il funzionamento normale in tempi rapidi, ancora di più a seguito della maggiore imprevedibilità e intensità dei fenomeni stessi. Stiamo parlando sia di accadimenti esterni, come quelli metereologici, ma anche di quelli causati dall’interferenza umana o dall’hackeraggio oppure di quelli dovuti alla massiva introduzione di fonti rinnovabili intermittenti così come di altri fenomeni. Vista la pluralità di tali eventi, non possiamo pensare a una soluzione unica, panacea per la rete elettrica, che garantisca in modo deterministico il funzionamento perfetto in ogni situazione e condizione si presenti. Ecco, quindi, la necessità di evolvere verso modelli di reti resilienti con caratteristiche di robustezza ma anche di flessibilità e capacità di adattamento, che si basano sulle tecnologie e sulla gestione innovativa dei dati.

Il cambiamento climatico, con la difficoltà nella determinazione degli eventi, soprattutto della loro intensità e ampiezza, è sicuramente una delle cause principali che mettono a rischio il funzionamento normale delle reti elettriche.
Negli ultimi quarant’anni, gli eventi climatici che hanno avuto un impatto significativo si sono in media triplicati. In particolare, gli effetti dei fenomeni metereologici estremi sulle infrastrutture critiche, tra le quali spiccano i sistemi elettrici, sono molteplici. L’aumento delle temperature influenza le prestazioni del fotovoltaico mentre frequenti siccità, lo scioglimento dei ghiacciai e l’aumento dell’intensità delle precipitazioni – le cosiddette bombe d’acqua – possono influenzare la produzione idroelettrica e anche le performance delle centrali termoelettriche. In questo senso, nel 2020 solo in Italia si è verificato un aumento dei nubifragi del 22 per cento rispetto al 2019, stando al report dell’Europe- an Severe Weather Database (ESWD). E l’Italia non è l’unico scenario; basti pensare a quanto accaduto a luglio scorso in Germania, Regno Unito e Cina. In un tale contesto, le infrastrutture di trasmissione e distribuzione dell’energia sono soggette sempre più a rischio di danneggiamento ma anche a lavorare fuori della normalità, a causa di carichi di consumo non previsti o a configurazioni di rete estreme.

Anche l’incremento della generazione da FER non programmabili pone delle sfide alle reti elettriche.
Se il settore energetico può unire investimenti pubblici e privati per realizzare infrastrutture e nuove centrali elettriche green, ora più che mai è necessario attivare iniziative di verifica delle tecnologie per la generazione distribuita, lo storage, l’efficienza energetica e la mobilità elettrica. Incrementare la flessibilità della rete, infatti, è fondamentale per potervi integrare le rinnovabili non programmabili. Per il nostro settore, dunque, resilienza ha un duplice significato: da un lato, rendere il sistema più resiliente ci aiuterà a contrastare le conseguenze del cambiamento climatico, riducendone sia i danni sulle infrastrutture sia i disagi per le persone. Dall’altro, rendere la rete più flessibile porterà a un utilizzo più efficiente e sostenibile, anche dal punto di vista economico, delle fonti energetiche rinnovabili, il cui sviluppo è fondamentale nel prevenire gli effetti del cambiamento climatico.

La qualità delle infrastrutture di rete in Italia – e più in generale in Europa – sembra essere complessivamente buona. Si può dire lo stesso degli Stati Uniti? È ancora fresco nella mente il blackout del Texas... Che cosa è effettivamente accaduto?
Gli USA sono una federazione di Stati con filosofie di gestione delle reti ancora molto distanti tra loro. La cultura energetica del Paese, inoltre, si è concentrata molto sulla generazione di energia e sui meccanismi di gestione di domanda/offerta e molto poco sulle infrastrutture di distribuzione e trasmissione. Oggi, gli Stati Uniti si trovano di fronte all’esigenza fondamentale di rinnovare completamente il sistema. Un punto di partenza sono le fonti rinnovabili, come l’eolico e il solare, unite alla capacità di trasportare l’energia dal luogo di produzione verso i centri di consumo.

L’Amministrazione Biden sembra avere preso coscienza delle problematiche legate alle infrastrutture di rete nel Paese.
È così. Il nuovo American Jobs Plan propone infatti di investire cento miliardi di dollari nel settore energetico, con l’obiettivo anzitutto di creare una rete più resiliente, ma anche con la volontà di ridurre le bollette per la classe media, migliorare la qualità dell’aria e la salute pubblica, e creare posti di lavoro nel settore dell’energia pulita. Un investimento necessario, visto che nel 2020 gli Stati Uniti hanno subito ben 22 eventi climatici estremi, pagando un prezzo totale di 95 miliardi di dollari in danni ad abitazioni, aziende e infrastrutture pubbliche. Inoltre, uno studio del Dipartimento dell’Energia ha stimato che le interruzioni di corrente costano all’economia statunitense fino a 70 miliardi di dollari l’anno.

Quanto accaduto in Texas è stato emblematico da questo punto di vista.
Il freddo estremo ha avuto un impatto negativo sulla produzione di energia e sull’approvvigionamento di carburante. Le stesse temperature gelide (sotto gli 8 °C durante la tempesta) hanno creato una forte domanda di energia, che ha superato del 30 per cento il picco invernale previsto e ha raggiunto i livelli estivi. A causa dello squilibrio della fornitura, l’Electric Reliability Council of Texas (ERCOT, l’operatore di rete) ha utilizzato procedure di emergenza che includevano la riduzione dei carichi. È stato necessario, infatti, eliminare circa 10 GW di carico energetico quando la differenza tra la fornitura totale di energia e la domanda è scesa sotto 1 GW. Siccome circa due terzi delle famiglie texane utilizzano l’elettricità come fonte primaria di calore per le proprie case, il venir meno di questo carico ha lasciato milioni di persone al buio e senza riscaldamento.

Che cosa si sarebbe potuto fare in questo caso?
Un coordinamento efficiente tra i TSO americani avrebbe permesso di mettere in atto le iniziative necessarie per gestire il sistema in una situazione di stress estremo. Questo è ciò che, fondamentalmente, è mancato. Il Texas, infatti, è uno Stato-isola, privo di sostanziali interconnessioni e che, pertanto, non ha potuto ricevere energia elettrica dai vicini. Onde evitare che disagi del genere si ripetano va perseguita una piena integrazione del sistema elettrico pan-statunitense, come già previsto da diversi studi che, a oggi, non si sono ancora concretizzati in progetti di interconnessione tra i sistemi energetici orientale, occidentale ed ERCOT.



Fortunatamente, nel nostro continente siamo in condizioni sostanzialmente migliori...

Sì, grazie al potenziamento delle infrastrutture e all’orientamento verso un mercato sempre più integrato. Il sistema elettrico europeo, infatti, mitiga fenomeni come quelli avvenuti in Texas sia attraverso connessioni tra Stati e regioni, sia grazie all’adozione di tecnologie moderne come quelle HVDC. Un percorso di sviluppo, quello europeo, che mira a un’infrastruttura di rete molto più robusta, con tecnologie che consentono non solo di migliorare lo scambio energetico e il trasporto di energie bulk tra i punti di generazione a quelli di consumo ma anche il disaccoppiamento tra i diversi sistemi, evitando così in caso di guasto, il propagarsi a domino dei fenomeni. In questo senso, le utility e gli operatori italiani ed europei hanno sempre giocato un ruolo primario a livello mondiale nello sviluppo delle reti e dei sistemi elettrici.

L’Europa ha rappresentato per decenni il fulcro dello sviluppo delle principali tecnologie del settore elettro-energetico.
Enel, Terna e altri operatori europei costituiscono il front end dello sviluppo e dell’implementazione di queste tecnologie. In particolare, Enel investirà a livello mondiale, tra il 2021 e il 2030, 60 miliardi di euro nelle reti di distribuzione, di cui circa il 70 per cento dedicato a migliorarne ulteriormente qualità e resilienza. Il 60 per cento degli investimenti sarà incentrato sulle infrastrutture di rete europee. Mentre il piano di sviluppo decennale di Terna, presentato lo scorso luglio, prevede investimenti sulla rete italiana per 18,1 miliardi di euro, un aumento del 25 per cento rispetto al precedente piano decennale. Tali investimenti serviranno a migliorare resilienza, efficienza, sostenibilità e integrazione delle rinnovabili nelle reti di trasmissione nazionale.

Un ruolo da protagonista lo ha senza dubbio la tecnologia. Ad oggi, quali strumenti possono essere messi in campo per aumentare la resilienza del sistema?
Come sottolineato nel recente report dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA), The World’s Roadmap to Net Zero by 2050, gli investimenti nelle infrastrutture di rete e nelle tecnologie abilitanti risultano fondamen- tali per trasformare il sistema energetico e renderlo più resiliente. Per questo ci aspettiamo che l’investimento annuale nelle reti di trasmissione e distribuzione passi, a livello globale, dagli attuali 260 miliardi di dollari a 820 miliardi di dollari nel 2030. Con la rapida elettrificazione di tutti i settori, l’e- lettricità diventa sempre più strategica per garantire la sicurezza energetica in tutto il mondo. Ciò significa che la flessibilità del sistema elettrico quadruplicherà entro il 2050, sia per bilanciare eolico e solare con i modelli di domanda in evoluzione, sia per garantire la resilienza nei confronti di eventi metereologici estremi.

Innovazioni tecnologiche, meccanismi di investimento, sistemi affidabili e robusti: sono tre temi interdipendenti?
Per incrementare la resilienza delle reti è necessario un nuovo framework che preveda la cosiddetta smartizzazione del sistema, accompagnata da un aumento della robustezza e della decentralizzazione delle soluzioni. In questo senso sono fondamentali tecnologie e capacità di autoriparazione per prevedere, rilevare e reagire in modo proattivo ai cambiamenti della rete. Per esempio, l’introduzione di sensoristica IoT consente di determinare più rapidamente l’evoluzione di fenomeni locali e di reagire prontamente in modo intelligente ed efficace. Allo stesso tempo, consente di raccogliere informazioni che, gestite in aggregato, facilitano azioni predittive e scenari decisionali importanti. L’intelligenza artificiale permetterà, da par suo, una miglior distribuzione dell’energia, un recupero del funzionamento e una riconfigurazione rapida delle reti. La gestione armonizzata di crunched data, disponibili a tutti i livelli, faciliterà invece le azioni di manutenzione predittiva ma anche la possibilità di gestire scenari di recovery del sistema, mentre le soluzioni di storage aiuteranno a mitigare l’intermittenza delle fonti rinnovabili garantendo un backup nell’immediato. Chiaramente, testare queste soluzioni al fine di verificarne il corretto funzionamento risulta fondamentale per poterle applicare in maniera efficace e conveniente.

Che ruolo ha l’attività di testing nel garantire l’affidabilità delle reti e dei componenti?
La resilienza di una rete passa attraverso il concetto di robustezza e questo significa prevedere soluzioni di ridondanza delle infrastrutture, così come l’adozione di componenti e sistemi in grado di sopportare le avversità esterne, siano esse climatiche o causate dall’interferenza dell’uomo, come l’hackeraggio. I test per verificare lo stato e la resistenza dei componenti sono dunque importantissimi nel processo di messa in sicurezza e di modernizzazione delle reti. Infatti, test rigorosi e imparziali sono l’unico modo per dare a tutte le parti interessate la certezza che i sistemi funzioneranno correttamente, quando ne- cessario. Prove e ispezioni sui componenti della rete sono fondamentali su due piani: da un lato, possono supportare lo sviluppo di reti più resilienti, in maniera predittiva; dall’altro, tali azioni sono fondamentali nel verificare che le infrastrutture esistenti siano in grado di sopportare fenomeni di stress estremo.

Ci può fare qualche esempio?
Gli esperti della Divisione di Testing, Inspection e Certification di CESI effettuano test in ambiente climatico controllato in cui sono in grado di valutare la resistenza dei componenti al gelo o a temperature estremamente elevate. In aggiunta, attraverso prove di stress meccanico, le nostre strutture sono in grado di simulare nubifragi, inondazioni e bombe d’acqua per verificare la resilienza delle componenti elettromeccaniche. La presenza di fenomeni climatici estremi porta inoltre a cambiamenti dell’ambiente in cui i componenti sono normalmente chiamati a operare. Ad esempio, correnti d’aria particolarmente ricche di agenti salini o inquinanti possono variare le caratteristiche di tenuta dielettrica dei componenti, creando così delle inaspettate scariche elettriche. Questo genera malfunzionamenti dei dispositivi, della rete o addirittura inneschi di incendio. Da non dimenticare anche gli effetti indotti da terremoti o dalle trombe d’aria, che implicano sempre più l’esigenza di introdurre componenti resistenti a effetti estremi di questa natura e quindi opportunamente testati anche da questo punto di vista. Al fine di svolgere queste attività di verifica, disponiamo anche di celle e camere climatiche di diverse dimensioni, dove possiamo raggiungere – 60 °C e +180 °C. Le camere più capienti hanno dimensioni di 400 m3 e 700 m3, dove è dunque possibile alloggiare trasformatori e altri componenti di media e alta tensione. Disponiamo anche di una tavola vibrante che consente, in modo completamente programmabile, di simulare terremoti, impatti da corpi esterni, forti venti e altro ancora.

Rinnovabili e HVDC?
In Olanda abbiamo un laboratorio specifico per emulare il comportamento delle reti in condizioni di intenso utilizzo di fonti rinnovabili. Il Flex Power Grid Lab di Arnhem ci permette infatti di emulare e testare l’integrazione nella rete non solo di risorse rinnovabili, ma anche di batterie, colonnine di ricarica, sistemi di storage e auto elettriche con una connessione vera e propria ma programmabile di energia. Siamo, inoltre, protagonisti nel mondo in diversi progetti di interconnessione, in modalità HVDC. Quest’ultima tecnologia è fondamentale per incrementare la resilienza del sistema elettrico. Infatti, una delle caratteristiche di questo tipo di interconnessione è quella di poter disaccoppiare le reti connesse. Il disaccoppiamento consente di non avere reazioni a catena: un guasto grave da un lato della interconnessione non si propaga facilmente dall’altro lato. Tali interconnessioni rappresentano di fatto la banda larga dell’energia: permettono di trasportare grandi quantità di elettricità su lunghe distanze e con costi e perdite di energia molto bassi.



La varietà di prove che si svolgono nei vostri laboratori è estremamente vasta. Al termine viene rilasciata una certificazione? Valida su tutti i mercati?
Assolutamente sì. Il certificato KEMA Labs è diventato un passaporto per il riconoscimento delle qualità dei prodotti che vengono venduti sul mercato. Al termine delle attività di prova, KEMA Labs rilascia diversi tipi di rapporti di test, in relazione agli accreditamenti posseduti e alle esigenze del cliente. Esiste una normativa internazionale a cui possono poi aggiungersi specifiche prescrizioni a livello nazionale. In generale, possiamo dire che a livello europeo esiste una buona standardizzazione e c’è un accordo di mutuo riconoscimento tra gli enti di accreditamento, tale per cui un laboratorio che agisce in un Paese può svolgere attività che sono ritenute valide in tutto il continente. Diversa è la situazione negli Stati Uniti, dove esiste un quadro regolatorio specifico. Inoltre, in molti Paesi che non appartengono a queste due regioni, o laddove il quadro normativo è meno chiaro, la validità di un certificato di prova è spesso legato alla reputazione del laboratorio stesso e quindi accettato dal mercato in quanto tale. A questo proposito CESI può da sempre contare sul fatto che il proprio marchio è riconosciuto come una garanzia di qualità in tutto il mondo e ciò è stato ancor più rafforzato dalla recente acquisizione dei laboratori KEMA.

Gli investimenti sulle reti elettriche stanno decisamente assumendo una veste sempre più digital...
Secondo uno studio della IEA, la quota di spesa relativa all’infrastruttura digitale è cresciuta in maniera esponenziale negli anni, raggiungendo nel 2019 il 15 per cento degli investimenti totali sulle reti elettriche, con una crescita annua pari a circa l’8 per cento. La digitalizzazione diventerà sempre più importante con la diffusione delle risorse distribuite e l’elettrificazione dei consumi finali, permettendo anche alle utility di risparmiare su costi operativi e di manutenzione nell’intera filiera, puntando sull’automazione dei processi, sul digital enablement e l’advanced analytics. Secondo un’analisi di McKinsey, infatti, le utility potranno conseguire risparmi fino all’11 per cento nella generazione, con l’applicazione di algoritmi di predictive maintenance e ottimizzazione di impianti; fino al 26 per cento di risparmi su trasmissione e distribuzione con modelli di prevenzione di guasti, gestione della vegetazione e riduzione delle perdite; e fino al 25 per cento di riduzione di costi per customer e retail attraverso analytics per la soddisfazione del cliente e efficientamento delle interazioni tra cliente e utility.

In che modo la tecnologia digitale coinvolge l’attività di testing?
In KEMA Labs ci impegniamo a garantire ai nostri clienti il supporto necessario anche quando non possono essere fisicamente presenti nei nostri laboratori. Il 5G consente di abbattere drasticamente i tempi di latenza imposti dai precedenti sistemi di scambio dati. Stiamo così implementando il Laboratorio del futuro che consentirà di essere interconnessi in modo cyber-fisico in ogni istante a una delle nostre piattaforme di laboratorio stando in fabbrica, in ufficio o in casa e di poter eseguire una prova fisica, emulando infiniti modelli di apparati o di sistema da remoto. La tecnologia digitale ci ha consentito di affrontare la pandemia svolgendo prove in remoto, sfruttando la realtà aumentata fruita attraverso visori speciali, facendo interagire il cliente, da remoto, con i nostri tecnici presenti in laboratorio e realizzando tutte le attività necessarie a testare i prodotti. Il 5G, come detto, garantisce tempi di risposta molto rapidi e un’affidabilità molto alta; caratteristiche cruciali per i sistemi di protezione delle reti elettriche e per la risposta dinamica dei componenti. In termini di digitalizzazione, quindi, le tecnologie di quinta generazione sono fondamentali nella salvaguardia del sistema elettrico.

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