Bocchi: "Fotovoltaico 3.0? Meno speculativo e più diffuso"

Bocchi: “Fotovoltaico 3.0?
Meno speculativo e più diffuso”

di Paola Sesti



LA GENERAZIONE DISTRIBUITA SU COPERTURE CIVILI E INDUSTRIALI RAPPRESENTA UN IMPORTANTE MERCATO, ANCORA PARZIALMENTE INESPRESSO.
UN POTENZIALE DA SFRUTTARE PER RAGGIUNGERE GLI OBIETTIVI DI DECARBONIZZAZIONE DELLA UE

I grandi impianti a fonti rinnovabili da soli non saranno sufficienti al raggiungimento degli obiettivi previsti dall’Unione Europea per il 2030. Forse è necessario un ritorno ai fondamentali della produzione di energia, offrendo un supporto maggiore alle forme di generazione distribuita. Parte da questo spunto l’incontro e la chiacchierata con Enrico Bocchi, COO di Emeren, start-up di sviluppo fotovoltaico con sede a Londra e da poco approdata sul mercato italiano. “È vero, siamo giovani ma abbiamo un team di professionisti che insieme somma più di 100 anni di esperienza nel settore delle rinnovabili. Come sviluppatori attualmente gestiamo una pipeline di progetti fotovoltaici in Italia ed Europa meridionale – ground-mounted, rooftop e carports – per un totale aggregato di circa 4 GW. Vogliamo essere l’anello di collegamento tra investitori e off-takers”.

Che cosa vi aspettate per i prossimi 5 anni in Europa e in Italia?
Da qui al 2025 la generazione distribuita su coperture civili, commerciali e industriali credo potrà raggiungere tra i 680 e 1.300 TWh l’anno; un importante mercato potenziale ancora parzialmente inespresso, il cui contributo occupazionale su base europea può superare il 9 per cento della forza lavoro attualmente impiegata nel settore. Per quanto riguarda il nostro Paese, l’elettricità che può essere generata coprendo appena il 2,5 per cento dell’area occupata dagli edifici è paragonabile alla capacità fotovoltaica aggiuntiva che l’Italia ha previsto di installare entro il 2030 (IECP). Inoltre, il 2020 ha visto l’introduzione, con il cosiddetto Decreto Rilancio, dell’Ecobonus 110%, a testimonianza di come la riqualificazione sia di fondamentale importanza nelle strategie di ripartenza post-pandemia. Questi schemi incentivanti hanno aperto la strada ad altre possibilità di massimizzare i vantaggi economici del ricorso a installazioni fotovoltaiche, in particolare per il settore commerciale e industriale.

È questo il potenziale inespresso che cercate di valorizzare?
In larga parte sì. Diversi studi dimostrano che il potenziale del fotovoltaico integrato sugli edifici è significativamente maggiore di 50 TWh/anno, in quanto la porzione di area edificata che può essere coperta da pannelli fotovoltaici raggiunge il 15-20 per cento. E c’è un secondo filone di lavoro: l’infrastrutturazione delle aree di parcheggio sparse per l’Italia e l’Europa, attraverso l’installazione di pensiline fotovoltaiche a supporto della mobilità elettrica.

Qual è lo stato di salute del fotovoltaico nel nostro Paese?
Il FV italiano sta vivendo un grande momento di euforia, che tuttavia lo mantiene su logiche, rendimenti e linee di investimento prettamente speculativi. La pandemia ha bloccato gran parte dell’economia globale, con conseguenti shock alla domanda di energia, alle catene di approvvigionamento e ai mercati dei capitali. La crisi non ha lasciato intatto alcun comparto. Tuttavia, sebbene i contorni di un’economia post-pandemica non siano ancora chiari, c’è più di un segnale che mostra che il settore delle rinnovabili sia al centro della rinascita: in Europa sembra attraversare un nuovo Eldorado, con il fotovoltaico in prima linea. L’attività di sviluppo di nuovi impianti sta riprendendo, con i principali investitori estremamene attivi su questo fronte. Ma questa fase non durerà a lungo e, ciò che più conta, non si trasformerà da speculativa a strategica. A meno che...

A meno che...?
A meno di non ricominciare dai fondamentali, cioè dalle infrastrutture. In seguito a ogni grande crisi che colpisce le fondamenta di un’economia, la ricostruzione e l’ammodernamento delle reti infrastrutturali è stata alla base della ripresa. È stato così nel secondo Dopo-guerra e sempre dalle infrastrutture si è ripartiti a valle della recessione degli anni 2000. Questa crisi non fa eccezione. E perché dovrebbe? Allo stesso modo, occorrerà un forte intervento degli investitori istituzionali per contribuire alla ripartenza, intesa come nuova crescita dal punto di vista economico, sociale e demografico. La pandemia ha evidenziato alcune criticità del sistema, offrendo così l’occasione di stimolare interventi a favore dell’innovazione, in primis sulla sostenibilità e sugli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra, nel quadro degli Accordi di Parigi sul clima. Un chiaro esempio di innovazione applicata alle infrastrutture riguarda la mobilità elettrica.

In che senso?
Avendo una lunga esperienza nel mondo delle telecomunicazioni sono consapevole di quanto l’infrastruttura sia determinante dal punto di vista strategico. Lo dimostra la corsa al 5G, in cui l’evidente vantaggio competitivo è l’ownership dell’infrastruttura. E lo dimostra anche la rete di viabilità, un investimento vincente per la ripartenza. Nell’ottica della nuova ripresa economica post-Covid, pensare a un upgrade dell’infrastruttura di viabilità attraverso la sua elettrificazione, cioè una rete di stazioni di ricarica di veicoli elettrici che supportino la mobilità del futuro, è una strategia competitiva che riteniamo determinante, ed è il motivo del focus sulle pensiline come strumento di creazione di un nuovo modello di business infrastrutturale.

Le pensiline possono costituire un nuovo modello di business?
Sì, perché rappresentano la nuova frontiera dell’energia fotovoltaica applicata alla mobilità, un’infrastruttura nell’infrastruttura, configurandosi quali elementi chiave dalla molteplice funzione. Da un lato, producono energia che contribuisce all’incremento della produzione ceduta in rete o delle unità di autoconsumo. Dall’altro, quando equipaggiate con colonnine di ricarica, concorrono in maniera decisiva alla diffusione dei veicoli elettrici che scontano ancora una scarsa capillarità dei punti di ricarica, non ancora sufficiente a permettere la parità rispetto alle auto con motore a combustione.
Infine, grazie alla tecnologia V2G (Vehicle-to-Grid), si assiste a una interessante sinergia tra la produzione di energia rinnovabile e la ricarica dei veicoli elettrici. Infatti, quando l’auto è collegata alla colonnina, quindi alla stessa rete alimentata dalle pensiline, è in grado di compensare – in modalità aggregata agli altri veicoli elettrici
lo sbilanciamento di rete, agendo come un sistema di storage.

Come Emeren vedete un grande potenziale anche nella generazione distribuita su coperture...
Dal punto di vista finanziario, le installazioni fotovoltaiche su tetti C&I – Commercial and Industrial – rappresentano un valore aggiunto perché offrono un’opportunità di investimento a rischio ottimizzato. Inoltre rispondono alla crescente volontà da parte delle aziende di prendere parte in maniera concreta alla transizione energetica e di considerare sempre più organico alla propria strategia competitiva il deployment di policy di sostenibilità ambientale, economica e sociale (i cosiddetti criteri ESG Environmental, Social and Governance). D’altronde, la generazione distribuita si configura come risposta – e in parte come soluzione – alla difficoltà oggettiva di accedere ai meccanismi di incentivazione messi a punto dal governo nel quadro del decreto FER-1. Difficoltà che ha radici da un lato nella lentezza dei processi autorizzativi, dall’altro nella nebulosità della legislazione, che presenta variazioni su base regionale. È pur vero che le nuove semplificazioni normative presumibilmente agevoleranno l’iter autorizzativo degli impianti fotovoltaici a terra. D’altro canto, le istallazioni su tetti sono annoverabili tra gli interventi di edilizia libera, risultando pratiche decisamente più snelle dal punto di vista burocratico.

La generazione distribuita non è comunque priva di aspetti problematici e complessità.
Le installazioni fotovoltaiche diffuse sono soggette a fenomeni propri degli impianti granulari e disomogenei tra loro. Innanzitutto le diseconomie di scala, in quanto le dimensioni dell’impianto, essendo subordinate all’area di copertura disponibile, possono comportare un aumento eccessivo dei costi di sviluppo. Inoltre, bisogna considerare anche la relativa parcellizzazione degli investimenti, risultanti dalla frammentazione stessa degli impianti. Infine, si assiste a una moltitudine di negoziazioni con imprenditori da piccoli a enterprise che, se per un verso possono configurarsi come un vantaggio, rappresentano anche un limite perché portano alla necessità di disporre di processi e risorse tipici dei business legati ai volumi. A maggior ragione nel contesto italiano, dove le figure aziendali degli energy manager stentano a decollare, è talvolta difficile trovare linearità nella negoziazione.

Nonostante le difficoltà, per quale motivo questi investimenti risultano comunque appetibili per i grandi player finanziari?
Questo tipo di investimento risulta più attrattivo per i fondi di investimento perché permette loro di investire immediatamente il capitale, con un ritorno molto più rapido rispetto agli impianti installati su terreni. Gli attuali 20-24 mesi necessari in media per ottenere l’autorizzazione per gli impianti a terra saranno ridotti drasticamente grazie all’imponente sforzo del governo in materia di semplificazione normativa e alla creazione del ministero ad hoc, il MiTE; tuttavia non ci aspettiamo un immediato beneficio. Per questo motivo puntiamo sullo sviluppo sui tetti, in quanto la procedura semplificata riduce a 90 giorni l’orizzonte autorizzativo, rispondendo all’esigenza di fast track capital deployment da parte dei fondi di investimento. Inoltre, attraverso un accurato business modelling, possiamo promettere agli investitori un kicker di qualche decina di basis points sull’IRR, il che rende i nostri asset estremamente attrattivi per un mercato di capitali in ogni caso competitivo. Gli investitori istituzionali potranno così beneficiare di un discreto aumento dei rendimenti derivanti dal loro portafoglio su sistemi FV installati su coperture.

Che forme assumerà la nuova era del fotovoltaico 3.0?
Il fotovoltaico 1.0 del primo decennio del 2000 è stato scandito dal Conto Energia, che ha dato seguito a una lunga fase speculativa. Quello a cui stiamo assistendo ora è il fotovoltaico 2.0, un nuovo Eldorado anch’esso avente una componente speculativa legata al basso costo dei capitali e agli schemi incentivanti. Per trasformare questi investimenti da speculativi a strategici è necessario avviare un nuovo capitolo, il fotovoltaico 3.0 appunto. Ci immaginiamo questa nuova era come costituita da un modello innovativo di generazione distribuita che guarda agli esempi di successo internazionali. Emeren si è data proprio questo obiettivo: competere sul mercato delle rinnovabili con un approccio nuovo.

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