Serena: "Molti passi avanti nel segno dell'unità"

di Davide Canevari

Giordano Serena, alla scadenza del secondo mandato alla presidenza di Assoelettrica, traccia un bilancio dell’attività svolta dalla sua Associazione in questi anni, delinea le prospettive per l’immediato futuro, e commenta le più recenti evoluzioni del sistema energetico nazionale.

Presidente, il suo duplice mandato sta per chiudersi. Anni certo non facili per il mondo dell'energia…
In effetti questi ultimi quattro anni hanno coinciso con profonde modifiche, sia per quanto riguarda la situazione generale del settore elettrico italiano sia – di conseguenza – per ciò che concerne l’Associazione. Privatizzazione e liberalizzazione sono state le parole chiave che hanno guidato il cambiamento; la trasformazione non si è ancora completata, ma è delineata nelle sue linee guida. La nostra Associazione, come detto, sì è evoluta in funzione di questi due processi, che hanno sconvolto – in senso positivo – lo stato precedente delle cose. Il cambio del nome da Unapace a Assoelettrica è stato solo in apparenza formale. Unapace era nata come Unione aziende produttrici e consumatrici di energia elettrica, dunque era cresciuta attorno al mondo degli autoproduttori nel periodo del monopolio Enel. All’inizio degli anni ‘90 c’era stata una prima evoluzione con il coinvolgimento dei produttori indipendenti, che generavano energia elettrica per conto di Enel. Oggi in Assoelettrica sono confluiti anche i grossisti, ma soprattutto i consumatori sono diventati attori che si “siedono” dall’altra parte del tavolo. Un bel cambiamento!

Assoelettrica, oltre a fare (giustamente) gli interessi dei propri associati ha anche portato avanti delle battaglie a vantaggio dei cittadini comuni?
La convergenza degli interessi si è avuta su molteplici aspetti. A partire dall’attenzione sulle emissioni e sull’impatto ambientale dei nuovi impianti. In questi anni abbiamo profuso molti sforzi per favorire la realizzazione di nuovi impianti che permetteranno di ridurre le emissioni di ossidi di azoto, di anidride carbonica, di anidride solforosa. Il processo di modernizzazione e sostituzione del nostro parco centrali si completerà nel 2010 e a quel punto tutti i cittadini potranno beneficiare di una migliore qualità del servizio (in termini di continuità e riduzione del rischio di black out, che era arrivato alle soglie di un problema cronico), di un ambiente più pulito, di minori costi per l’acquisto del kWh. Ci sono altri due aspetti che vorrei sottolineare: la scelta di diffondere sempre di più la conoscenza e la cultura del mondo elettrico, proprio tra i cittadini, e l’attenzione per le energie rinnovabili alle quali abbiamo riservato uno spazio e un ruolo autonomi all’interno di Assoelettrica.

A questo proposito un dubbio. Ma è utile rappresentare i problemi delle rinnovabili attraverso una moltitudine di soggetti, spesso sovrapposti?
La proliferazione delle associazioni in questo settore è evidente; così come il nostro intento di ricompattare le fila. L’obiettivo di riportare all’interno di Assoelettrica tutte le associazioni oggi esistenti è fattibile e certamente da perseguire. Un’Assoelettrica nel ruolo di unico rappresentante dei produttori di energia elettrica (anche da fonti rinnovabili) potrà essere ancora più forte e rappresentativa.

La galassia degli associati rispecchia un mix di fonti in apparenza in contrasto. Come è (stato) possibile mettere d'accordo interessi diversi?
Prima ancora di scendere nel dettaglio delle fonti utilizzate, tutti gli associati sono produttori e quindi hanno istanze in comune. Certo, quando si valutano i sistemi di generazione qualche differenza emerge e quindi si rende necessario un ruolo di mediazione. Basti pensare al discorso dei certificati verdi, che per i produttori di energia rinnovabile sono un guadagno (e quindi si vorrebbero estendere e aumentare) e per la generazione tradizionale un costo. Anche per questo è necessario poter contare su una Associazione unita e forte: non solo per relazionarsi con l’esterno ma anche per favorire il dialogo tra gli associati. D’altra parte molti degli associati sono già oggi realtà pluri-combustibile e pluri-tecnologiche; altri che fino adesso hanno sfruttato solo il termoelettrico stanno seriamente pensando all’eolico o alle biomasse.

Torniamo alla scelta di diffondere sempre di più la conoscenza e la cultura del mondo elettrico, proprio tra i cittadini…

La giornata dell’energia elettrica è stata l’espressione più completa e visibile degli sforzi che stiamo facendo in questa direzione, per cercare di comunicare e far conoscere l’energia elettrica ai vari livelli: il mondo della scuola, i cittadini… L’obiettivo finale è quello di superare il concetto, purtroppo diffuso, secondo cui tutta l’industria elettrica è un nemico che va combattuto. Certo, per fare cultura occorre tempo, molto tempo; e anche risorse. Non si può certo pensare di poter cambiare la visione della gente comune con un singolo evento. Ci conforta, al riguardo, vedere come anche le grandi imprese elettriche presenti in Italia si stiano muovendo in questa direzione, superando la classica comunicazione di propaganda e puntando, invece, sulla conoscenza. Anche nei prossimi anni dovremo confermare questi sforzi.

Come (e perché) si è arrivati all’ingresso di Enel in Assoelettrica?

Abbiamo annunciato l’ingresso di Enel due anni fa, anche se si è concretizzato qualche mese dopo. Certamente si è trattato di un passo significativo, visto che prima della liberalizzazione Enel sedeva dall’altra parte del tavolo rispetto a Unapace.

Anche per questo poteva essere un’operazione molto delicata e difficile.

In effetti delicata lo è stata; però non difficile. L’ingresso di Enel è avvenuto dopo la cessione delle Genco, quando già in Assoelettrica erano presenti aziende di una certa dimensione; il che ha attenuato ciò che altrimenti avrebbe rappresentato una pesante sproporzione. Insomma, l’adesione di Enel non ha sconvolto i giochi. In positivo ha portato competenze tecniche e “volume” in termini di generazione, due elementi che hanno aumentato le opportunità dell’Associazione.

Negli anni delle sue presidenze il governo è stato stabile rispetto al passato, però a livello locale non è certo mancato il turn over...

Certamente il cambiamento continuo degli interlocutori rende le cose più difficili. Il settore è complesso e con forti connotati tecnologici; alla componente politica e istituzionale serve quindi un tempo di apprendimento prima di poter decidere in maniera serena e corretta. È chiaro che se questo tempo viene meno a causa di un turn over frenetico, tutto si complica. Devo dire che per quanto riguarda il governo, le cariche all’Autority, le direzioni dei ministeri dell’Ambiente e dell’Industria, siamo stati fortunati poiché c’è stata una continuità assoluta e positiva. Positiva è stata anche l’attenzione generale per il settore elettrico mostrata dalle forze politiche, di governo e di opposizione. Purtroppo la situazione è stata molto più dinamica a livello locale, fattore che ha inciso fortemente sugli iter autorizzativi.

Che cosa avrebbe voluto fare per la sua Associazione e non è stato possibile fare?
Il mio rammarico è quello di lasciare incompiuto il processo di unificazione delle varie associazioni oggi esterne ad Assoelettrica.
Unapace rappresentava il 25 per cento della capacità di generazione. Oggi siete al 90. Mi sembra già un buon risultato.
Al di là della quota di generazione rappresentata, la vera sfida è quella di portare in Assoelettrica le altre associazioni; e poi di coinvolgere anche le ex municipalizzate.

Ma ha ancora senso parlare in Italia di municipalizzate quando alcune di queste realtà sono diventate dei colossi attraverso alleanze internazionali?
Tecnicamente può essere un errore chiamare municipalizzate certe realtà. Ma è pur vero che tutte, pur essendo diventate delle società per azioni, sono ancora fortemente legate al territorio di origine e hanno come azionista di riferimento il pubblico. Insomma, mantengono ancora una loro precisa identità.

Quale testimone lascia a chi subentrerà nel suo incarico? Si aspetta – e si auspica – una politica di continuità?
A breve sarà designato il nuovo nome, ma non sta certo a me fare previsioni. Di sicuro sarà una persona di notevole spessore; in questi anni Assoelettrica è cresciuta e all’interno di Confindustria ha ormai un grande peso e allo stesso tempo ha grandi possibilità di fornire un suo contributo costruttivo.

In Italia i tempi per la realizzazione di un impianto sono paragonabili, se va bene, a quelli che impiega un satellite per atterrare su Marte. Perché?
Dobbiamo riconoscere che per le centrali elettriche qualcosa è cambiato negli ultimi anni: i processi autorizzativi sono migliorati; non dimentichiamoci che nel periodo 1995-2000 ottenere il permesso per una centrale da 800 o da 1.000 MW era praticamente impossibile. Oggi il D. L. salva centrali del Ministro Marzano ha fatto sì che per alcuni impianti in soli due o tre anni si possa effettivamente ottenere il via libera. Certo, esistono ancora progetti che, invece, richiedono il triplo del tempo, ma qui entrano in gioco le opposizioni in ambito locale, i ricorsi sempre in agguato, i possibili blocchi dell’ultimo momento che magari non impediscono la costruzione dell’impianto, però dilazionano i tempi di costruzione. La situazione è invece ancora molto difficile per le reti elettriche e per i terminal di gassificazione del GNL. E questo è un assurdo poiché il sistema nazionale di generazione sta riconvertendosi sempre di più al gas e i terminal sono strategici – in termini di autonomia e sicurezza – come supporto ai pochi gasdotti che oggi alimentano il nostro Paese. Non solo, il loro impatto sul territorio è di fatto solo in termini visivi. Eppure Rovigo è stato in ballo sette o otto anni e per gli altri siti identificati in Italia i tempi non sono minori…

Nel nostro Paese, per “fare energia” occorrono più soldi o più idee? O qualcosa d'altro?
Credo che l’esigenza primaria sia quella di una legislazione più stabile e non concorrente tra Stato e Regione. Quando si tratta di costruire una nuova centrale il vero problema non è quello di trovare i soldi, anche se in gioco ci sono grosse immobilizzazioni di capitale; piuttosto di dare sufficienti garanzie in termini di credibilità a chi deve finanziare. Anche in questa ottica va letta, ad esempio, la scelta della Borsa elettrica. È uno strumento che assicura alle banche la possibilità di muoversi in un mondo più consono alle loro esigenze, più facile da interpretare. Per una istituzione finanziaria è più trasparente il meccanismo di Borsa di quanto non lo sia quello delle tariffe garantite.

A suo parere, è meglio che “non passi” o che “passi lo straniero”?
A dire il vero lo straniero è già passato, se per straniero si intendono le altre nazioni europee. Al di fuori dell’Europa, invece, l’attenzione per l’Italia si è un po’ raffreddata. Anni fa c’era stato un picco di interesse da parte degli americani; sono arrivati e poi se ne sono andati. Quanto alla presenza di francesi, spagnoli, belgi, inglesi, tedeschi, è ormai un dato di fatto ed è certamente positivo. Certo in questo – come in altri settori – occorre la reciprocità; anche l’Italia dovrebbe muoversi di più e meglio nel contesto europeo.

Cosa che non sembra fare…
Da parte di alcuni stati ci sono ancora resistenze e barriere all’ingresso. Non si può comunque dire che senza questi limiti molte realtà nazionali sarebbero comunque pronte a fare shopping. Quello dell’energia è un settore, come detto molte volte, dove servono grandi capitali e strutture industriali consolidate alle spalle. Non ci si può certo immaginare la piccola o media impresa nazionale che decide di comprare una centrale nucleare oltre confine. Così purtroppo ad essersi mosso in Italia è di fatto solo Enel, sia pure con un certo ritardo.

Una delle premesse della liberalizzazione stava nell’allargamento del mercato con la comparsa di un maggior numero di operatori. Qualcuno, però, sostiene che il punto di arrivo sarà quello di pochi grandi operatori con i piccoli nella migliore delle ipotesi rimasti tali.

Non ci si può meravigliare troppo di questa situazione. Per costruire una nuova centrale a ciclo combinato da 1.000 MW serve circa mezzo miliardo di euro e un operatore per competere adeguatamente deve avere un parco centrali per lo meno di alcune migliaia di MW. Insomma, non è un settore fatto per piccoli numeri o per gli investimenti contenuti. A maggior ragione nell’ottica e nella necessità di operare su scala europea si andrà quindi verso l’affermazione di pochi grandi operatori e di piccole realtà in ambiti di nicchia o di mercati locali. D’altra parte il vero problema non è il numero di soggetti sul mercato, ma la quantità di energia disponibile. Solo se l’offerta è superiore alla domanda si può innescare un meccanismo virtuoso di concorrenza. Se invece la coperta è corta, la domanda è inferiore all’offerta e anche l’ultimo MWh prodotto è necessario per tenere in piedi il sistema, allora sarà sempre il costo maggiore a fare il prezzo. E in quel caso la presenza di troppi operatori di piccole dimensioni diventa un ostacolo in più. La vera sfida è sulla nuova produzione, con nuove tecnologie e costi di generazione più contenuti.

Dalle premesse alle promesse. Le tariffe sarebbero diminuite. Visto il contrario, che cosa non funziona? Senza dare tutte le colpe al petrolio...
Il mix dei combustibili italiani resta sbilanciato sulle fonti più costose, e con gli aumenti del prezzo del greggio registrati negli ultimi mesi la situazione si è aggravata. Inoltre va detto che i nuovi impianti cominceranno a far sentire il loro effetto solo nel corso del 2005 e soprattutto il prossimo anno. Se comunque guardiamo all’andamento di lungo periodo, non mancano le sorprese positive

A cosa si riferisce?

Ai risultati di uno studio Eurostat che ha valutato la variazione dei prezzi pagati dai cittadini europei dal 1996 alla fine del 2004. Ebbene, per le telecomunicazioni su scala continentale c’è stata una diminuzione dei costi del 20 per cento, in Italia del 17. Per i trasporti, invece, i cittadini europei hanno visto una crescita del 19 per cento, gli italiani del 20. I valori per il gas sono, rispettivamente, del 31 e del 29; per i carburanti del 32 e del 77 per cento; per gli affitti del 18 e del 31; per le spese alimentari in ortaggi del 17 e del 33. L’Italia si è quindi sempre comportata peggio dell’Europa.

Ci tiene sulle spine con il dato sulle tariffe elettriche…
Sì, perché è un dato a sorpresa in contro tendenza: aumenti del 7 per cento per le famiglie europee e solo del 3 per cento per le italiane. Questo valore dà una misura degli sforzi che abbiamo fatto nel recente passato. E nei prossimi anni, ripeto, l’entrata in funzione dei nuovi impianti più efficienti darà sicuramente una spinta ulteriore al ribasso.

Lei ha sempre “difeso” la Borsa elettrica. Quale risposta darebbe a chi afferma che il prezzo lo fa uno solo?
Affermo quello che ho sempre detto. La Borsa innanzitutto è uno strumento di trasparenza; altrimenti non ci sarebbero neppure state le polemiche sul competitor dominante che fa i prezzi. La Borsa è anche un elemento di competitività. Chi si attendeva miracoli sulle tariffe, ovviamente sbagliava in partenza; però non si può dire che l’effetto sia stato vano. Se guardiamo all’andamento dei prezzi di Borsa a livello europeo, vediamo un avvicinamento tra l’Italia e il resto dell’Europa; addirittura a fine maggio - inizi di giugno, sulla Borsa italiana si sono avuti prezzi inferiori rispetto a quelli spagnoli.

Se la sente di affermare che, senza la Borsa, oggi le nostre bollette sarebbero più salate?
Ne sono convinto; oggi pagheremmo tutti di più se non fosse stata introdotta.

Oggi in Italia sembrano tutti pazzi per il gas naturale. Quali rischi e quali opportunità?
Siamo un popolo anomalo, che da sempre persevera nel comportarsi diversamente dagli altri partner europei. Effettivamente fino a qualche anno fa avevamo un mix energetico unico in Europa nel suo genere perché troppo dipendente dall’olio combustibile. Ora andiamo verso un possibile sbilanciamento a favore del gas naturale. In Italia nel gennaio 2004 gas naturale e olio combustibile garantivano il 69 per cento della produzione elettrica nazionale, rispetto al 12 per cento della Germania, al 5 della Francia, al 40 per cento della Gran Bretagna - che però i combustibili fossili li ha in casa, al 27 per cento della Spagna. Allo stesso tempo carbone e nucleare assicuravano il 62 per cento di produzione alla Spagna, l’83 alla Germania e alla Francia, il 56 all’Inghilterra, mentre l’Italia poteva contare sul 13 per cento del solo carbone.

Una anomalia assoluta, quindi, che non dovrebbe correggersi nell’immediato futuro…
Le nostre proiezioni al 2010 per l’Italia segnalano il seguente mix: 18 per cento di rinnovabili, 16 per cento di carbone, 14 di importazioni, 47 per cento di gas in impianti a ciclo combinato, 5 per cento di gas e olio combustibile tradizionale. Sì, rispetto al resto d’Europa l’anomalia rimarrà. Almeno prendiamoci l’impegno di diversificare maggiormente le fonti e le aree di approvvigionamento del gas naturale, grazie alla realizzazione dei terminal di rigassificazione.

Capitolo rinnovabili. Qual è il suo punto di vista e quali sono le sue reali aspettative per l’immediato futuro?

Le fonti rinnovabili sono ancora legate ai sussidi, senza i quali non possono stare in piedi. Lo stesso idroelettrico, se si pensa agli investimenti necessari per realizzare una diga, ha costi non comparabili con quelli di un ciclo combinato. Va però detto che al di là delle considerazioni ambientali, che premiano naturalmente le rinnovabili, noi italiani non abbiamo combustibili fossili; quindi ogni kWh prodotto con il vento, il sole, l’acqua o le biomasse è un contributo alla riduzione dell’import di petrolio. Anche per questo le rinnovabili vanno promosse. Certo, rimanendo sempre con i piedi per terra.

Ovvero?
Sapendo che hanno anche dei lati negativi: i costi, l’affidabilità e la discontinuità che nel caso dell’eolico o del solare non può essere gestita dal produttore. Insomma, pensare che le fonti rinnovabili da sole possano coprire tutto l’incremento di domanda di energia elettrica del nostro Paese nei prossimi anni sarebbe un errore; così come credere che possano diventare dei sostituti del termoelettrico. Dobbiamo fare il possibile per diffonderle, tenendo però presenti queste considerazioni. Aggiungiamo pure un altro elemento: oggi non è così facile realizzare nuovi impianti, anche quando sono “verdi”. I rifiuti sono considerati quasi alla stregua del nucleare, l’eolico ha visto le chiare opposizioni di regioni quali Sardegna, Puglia, Sicilia; le biomasse non se la passano meglio.

Proiettiamoci al 2015. Ci potrà essere la prima nuova centrale nucleare italiana già cantierata?
Cantierata no. Però sono convinto che ci saranno progetti seri per nuove realizzazioni. Magari serviranno altri 10 anni perché si concretizzino, ma nel 2025 sì, penso che ci potranno essere delle nuove realizzazioni. Se ci sarà un ritorno a una vera mentalità europea, dopo gli sbandamenti di questi mesi, e se l’Europa riaprirà seriamente l’opzione nucleare, l’Italia non potrà, per l’ennesima volta, rappresentare l’anomalia continentale.