Rendiamo la scuola un hub sociale

Rendiamo la scuola un hub sociale

di ROBERTO NAPOLI / professore emerito Politecnico di Torino


Circola ormai da tempo il mantra che il coronavirus non solo ha messo a nudo tante debolezze del nostro sistema, ma ha anche aperto incredibili opportunità.

Purtroppo, contemporaneamente, è già tristemente iniziato il festival dei ritardi, in attesa del mantra sulle occasioni mancate. Fra i punti chiave indiscutibilmente più importanti figura il sistema dell’istruzione, formazione, ricerca e cultura, a cui le linee guida del
Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR, 15 settembre 2020) dedicano uno striminzito paragrafo di ovvietà impossibili da contestare: migliorare la qualità, rafforzare le competenze, ampliare le strutture per l’e-learning, rafforzare le politiche di
life-learning

Spicca anche la creazione di
innovation ecosystems, definiti luoghi di contaminazione di didattica avanzata, ricerca, laboratori e terzo settore.
Già che ci siamo, per adattarci ai gusti espositivi correnti potremmo anche ribattezzare le scuole Schools. Qualunque nome si adotti, bisogna però anzitutto avere ben presente la situazione mediamente pessima dalla quale partiamo e analizzare perché siamo arrivati a questo punto, che è una vera emergenza, preesistente al Covid-19. L’istruzione primaria ha ancora qualche residua consistenza; i guai peggiori si annidano in quella secondaria.


Il rapporto Istat 2019 ha certificato ancora una volta che in Europa gli italiani sono proprio fra gli ultimi per livello di istruzione. Per il mondo del lavoro ha particolare importanza lo zoccolo duro dei diplomati. In Italia i diplomati hanno un’incidenza percentuale del 62,2 per cento, contro la media della UE28 del 78,7 per cento, con Germania e Francia superiori all’80 per cento. Secondo i dati Eurostat 2019, l’Italia è agli ultimi posti anche per la qualità dell’istruzione. In base ai dati OCSE-PISA, nei saperi irrinunciabili (lettura, matematica) il 29 per cento dei quindicenni di famiglie povere non è capace di leggere e comprendere semplici testi e il 36 per cento non ha minime competenze in matematica.

Per le famiglie ricche ovviamente i dati sono migliori, ma non tanto di più.
Non ci sarebbe comunque bisogno di consultare i rapporti statistici nazionali e internazionali per capire come vanno le cose. L’esperienza sui ragazzi che arrivano all’università è abbastanza desolante: una buona parte ha difficoltà nello strutturare un testo, soprattutto senza il supporto dei programmi di scrittura. Una percentuale non irrilevante ha difficoltà incredibili nel capire testi minimamente complessi.
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