Trasporto e distribuzione, la bellezza di un mestiere senza rischi

Trasporto e distribuzione,
la bellezza di un mestiere senza rischi

di GIUSEPPE GATTIVisita il profilo LinkedIn


Nel febbraio 2015 l’Istituto Bruno Leoni pubblicava un rapporto commissionato da Energia Concorrente (l’attuale Energia Libera). Oggetto era la remunerazione degli operatori di rete nel settore dell’elettricità e del gas.

E già nel titolo era raccolta tutta la vis polemica dello studio: Chi non risica rosica. In buona sostanza, la tesi sviluppata nello studio era che quasi tutti gli operatori di rete avevano ottenuto nei cinque anni analizzati (2007-2012), un ritorno medio sugli investimenti decisamente superiore al rendimento “target” fissato dall’Autorità per l’energia. Gli operatori avevano insomma messo in scacco il regolatore ricavando lauti extra-profitti e questo in anni segnati da una profonda crisi prima finanziaria, poi economica, che aveva depresso i consumi, tanto dell’energia elettrica, quanto del gas.

L’analisi era alquanto approssimativa e non pienamente soddisfacente sotto il profilo del rigore scientifico. Come sovente accade con i rapporti dell’Istituto Bruno Leoni, di cui quasi sempre condivido le tesi ma non mi convincono le dimostrazioni, anche quello era, come diciamo in Piemonte,
tajà col piolèt, tagliato con l’accetta, senza troppi distinguo e sfumature e con qualche generalizzazione.

Nella sostanza coglieva però nel segno e del resto basta empiricamente mettere a confronto i bilanci degli operatori esposti ai rischi del mercato con quelli dei TSO e dei DSO per cogliere la portata dell’essere tenuti indenni praticamente da ogni rischio: nessun rischio industriale, nessun rischio commerciale, né sul fronte volumi, né su quello del credito. Unico rischio quello regolatorio, che non spaventa e preoccupa più di tanto quando i principali operatori di rete hanno come azionista di riferimento (direttamente o indirettamente) lo Stato e quindi c’è la politica a frenare ogni eventuale eccesso di zelo del regolatore.

Non per nulla, dopo la crisi del 2008-2012 fondi e banche cambiano prospettiva: mentre fino ad allora avevano finanziato largamente attività
merchant (il parco termoelettrico italiano è stato completamente rinnovato in project financing), in seguito ai progetti merchant si guarda con sospetto, diventa più conservativo il rapporto debt/equity e il mantra diviene privilegiare il regolato, si tratti di rinnovabili o appunto e meglio ancora di reti.

Come anche per l’energia c’è stato un prima e un dopo Lehman Brothers, così ora ci sarà un prima e un dopo Covid-19, con uno spartiacque che si profila ancor più profondo. Dai primi consuntivi ufficiali resi noti da Terna risulta confermata la stima che abbiamo avanzato sullo scorso numero di
Nuova Energia di una caduta della domanda a marzo del 10 per cento, precipitata di oltre il 20 per cento in aprile.
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