Virano: "C’è un equivoco sul concetto di sostenibilità delle grandi opere"

Virano:“C’è un equivoco sui concetti di impatto e di sostenibilità delle grandi opere”

di PAOLA SESTI


Sette, nove, trecento, tremila, trentamila... Non stiamo dando i numeri. O almeno, non stiamo dando numeri a caso. Queste sono solo alcune delle cifre sulle quali viaggia la Torino-Lione, il collegamento ferroviario parte della rete europea TEN-T che ha come obiettivo la realizzazione della “metropolitana d’Europa”.

Si colloca su 30.000 km di rete, sui 3.000 km del Corridoio Mediterraneo, uno dei 9 assi della rete di trasporto europea che connette tra loro da est a ovest 7 corridoi Ue, sui 300 km tra Torino e Lione. TELT è il promotore pubblico responsabile della realizzazione e della gestione della sezione transfrontaliera della linea Torino-Lione. Nuova Energia ha invitato Mario Virano, direttore generale TELT, a tradurre i numeri di questa grande opera in racconto.


Qual è la valenza strategica della Torino-Lione per il trasporto merci e passeggeri in Europa?
Il collegamento ferroviario in corso di realizzazione va osservato in primis in un’ottica di interconnessioni e di avvicinamento delle città: è l’anello centrale di un corridoio che interessa il 18 per cento della popolazione europea, in regioni che rappresentano il 17 per cento del Pil comunitario. Per supportare lo sviluppo economico di questi territori è indispensabile un’infrastruttura efficiente ed ecologica.
Altro elemento fondamentale è che la realizzazione delle reti ferroviarie di nuova concezione fa parte di una visione europea che, ancora prima del
Green Deal, mirava a favorire il trasporto sostenibile come parte integrante dello sviluppo economico del Vecchio Continente.
La nostra opera rientra in questo programma. L’UE crede nella Torino-Lione e diversi elementi lo dimostrano; uno su tutti, il contributo del 40 per cento fissato in origine per la tratta comune italo-francese sarà incrementato fino al 50 per cento, oltre al probabile intervento economico dell’UE anche sulle tratte nazionali, più un ulteriore 5 per cento riconosciuto in qualità della gestione - realmente ed efficacemente - binazionale del progetto.

Nonostante i momenti di grande incertezza che stiamo tutti vivendo, i lavori proseguono. Ci può fare un breve riassunto dell’ultimo anno?

Il 2019 è stato un anno particolarmente importante nella storia della Torino-Lione perché ha segnato un discrimine nell’irreversibilità dell’opera. L’incipit dell’anno era stato da dies nigro signanda lapillo per via dell’analisi costi-benefici, non recepita in ambito europeo e non condivisa dalla Francia né come esigenza (ce n’erano già sette precedenti e non si vedeva la necessità di farne un’ottava ad opere ormai avviate) né come contenuti e risultati. Nel dialogo e nella consapevolezza di dover mediare tra diverse esigenze, il Governo italiano ha accolto la richiesta di TELT di procedere per step nell’avanzamento delle procedure di gara, a partire dagli avis de marchès, mentre la Presidenza del Consiglio ha approfondito il dossier. Una complessa serie di passaggi politici, istituzionali, amministrativi ha portato poi, a fine luglio, alla decisione finale del Governo italiano di confermare il completamento dell’opera, uniformandosi così alla posizione ripetutamente espressa dalla Francia. Mentre tutto questo accadeva sulla ribalta politico- mediatica, e mentre si registrava per la prima volta una mobilitazione popolare di massa della società civile, la Torino-Lione diventava l’emblema di una svolta nelle politiche per lo sviluppo.

Un primo semestre non certo facile...

Nonostante questi accadimenti TELT ha continuato ad onorare i suoi impegni e si sono succeduti anche alcuni eventi di particolare rilievo: a dicembre è tornata a riunirsi, dopo una lunga pausa, la Commissione InterGovernativa italo-francese che accompagna da quasi vent’anni la storia della Torino-Lione. Questa CIG è stata anche una occasione importante per consentire alla nuova coordinatrice europea, Iveta Radiçova, di portare in modo forte il messaggio di sostegno della UE all’opera e lo stimolo ad accelerare la sua realizzazione, stante l’importanza strategica per l’intero Corridoio Mediterraneo.
Quello trascorso è anche un anno che ci mette sulle spalle una grande responsabilità, di portare a compimento i lavori concordati tra gli Stati e l’Europa operando con efficienza, correttezza e tutelando la sicurezza delle persone.

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Si parla molto di quanto il settore dei trasporti su rotaia può contribuire al raggiungimento dei target di decarbonizzazione al 2050. Quale sarà il ruolo della Torino-Lione anche per il raggiungimento degli obiettivi del Green Deal europeo?
Per definizione e per la concezione dei promotori dell’opera (UE e i due Governi), la Torino-Lione si inquadra a pieno titolo nel Green Deal, quale attore del riequilibrio modale, strumento essenziale di una politica verde. Con la Torino-Lione a regime, si eliminano oltre 1 milione di TIR dalle strade alpine, risparmiando 3 milioni di tonnellate di CO2 l’anno.
È una quantità pari a quella prodotta da una città di 300.000 abitanti. L’opera contribuirà al cambiamento delle abitudini di trasporto, soprattutto in una zona delicata come quella alpina; inoltre favorirà gli scambi economici, attraverso una rete ferroviaria al tempo stesso ad alta velocità e alta capacità per merci e passeggeri, che incroci anche i maggiori porti marittimi e fluviali, le grandi città e gli aeroporti.
La riduzione delle emissioni inquinanti sull’arco alpino è anche uno degli obiettivi primari fissati da COP21, dove si è ribadita la necessità di trasferire su ferrovia il 30 per cento delle merci entro il 2030 e il 50 per cento entro il 2050. La messa in servizio della Torino- Lione servirà quest’obiettivo in un periodo cruciale per la svolta europea.
TELT sta inoltre lavorando già all’insegna dell’economia circolare, per esempio attraverso la massimizzazione del riciclo delle terre di scavo per la produzione di calcestruzzo in uso nei cantieri e per la riambientalizzazione delle aree; inoltre, si stanno impostando percorsi per l’utilizzo della fonte geotermica negli stessi cantieri.

Le grandi infrastrutture di comunicazione così come quelle energetiche hanno tempi di realizzazione e ammortamento lunghi.
La decarbonizzazione ha messo in crisi molte scelte strategiche di investimento o ne ha reso variabile nel tempo la sostenibilità.
Qual è l’elemento che ha portato a mettere così in discussione opere di trasporto in una fase storica che ha messo al centro l’interconnessione di merci e persone?

L’elemento della valutazione economica è spesso al centro delle riflessioni. La realizzazione di grandi opere è un tema divisivo, lo era già all’epoca dello scavo del tunnel del Frejus, sia per l’investimento che avrebbe comportato, sia per una scarsa percezione delle ricadute.
Inoltre c’è un equivoco sui concetti di impatto e di sostenibilità: tendiamo a giudicare la sostenibilità della grande opera misurando solo le perturbazioni che crea, spesso considerate in negativo, come se il risultato da ottenere fosse l’impatto zero, mentre è assente dall’orizzonte delle attese il fatto che l’opera, trasformando lo stato naturale antecedente, possa e debba proporsi la creazione di valore aggiunto.
Gli esempi di tali trasformazioni virtuose sono sotto i nostri occhi e non li percepiamo più come atti modificativi, ma come nuovo stato primigenio: pensiamo ai castelli sulle colline, che non erano a impatto zero perché hanno mutato il paesaggio, ma hanno dato prospettive e qualità nuove ai territori e ai paesaggi.

Dunque, perché si
mette mano a una grande opera?
Una grande opera si fa perché crea valore aggiunto e la peggiore insostenibilità di un’infrastruttura è il declino delle relazioni e del territorio; perciò nella progettazione delle grandi opere la sfida è generare valore e combattere il declino dei territori. Pensare che le grandi opere siano un costo e non un investimento strategico è una banalizzazione concettuale. A posteriori, dobbiamo valutare le grandi opere del passato anche recente, dall’Autostrada del Sole all’alta velocità ferroviaria, che oggi consideriamo fondamentali. Un ulteriore elemento è la visione di lungo periodo che nelle decisioni dell’UE è evidentemente presente e spesso è di minore rilevanza nelle politiche nazionali. Per il tunnel del Frejus, ha prevalso la visione di futuro, con un forte contenuto di innovazione. Ecco che allora, in tempi di decarbonizzazione, sono fondamentali gli investimenti sulla sostenibilità e che comportano un cambiamento nelle modalità di spostamento di uomini e merci. Con uno sguardo verso uno sviluppo di lungo periodo.

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Esiste un bilancio energetico complessivo dell’opera in grado di spiegare come l’investimento in energia consumata per costruire il tunnel rientrerà come minor consumo di energia per valicare le Alpi?
Il bilancio che è stato fatto dell’opera contempla i benefici energetici del nuovo tunnel di base del Moncenisio rispetto alla linea storica di valico del Frejus. Il passaggio dei convogli nel tunnel di base permette risparmi energetici di trazione di grande portata, permessi in particolar modo da una ridotta pendenza, minori perdite elettriche e maggiore possibilità di utilizzo dell’energia recuperata in frenatura elettrodinamica dei treni.
Gli studi ci dicono che vantaggi legati alla minore pendenza del tunnel di base del Moncenisio non sarebbero mai ottenibili con ristrutturazioni della tratta di valico della linea storica del Frejus.
Tuttavia tale valutazione, ancorchè positiva, del bilancio puntuale sui 65 km, della sezione transfrontaliera non dà conto del vero grande vantaggio di scala rappresentato dall’eliminazione del collo di bottiglia alpino che non penalizza solo la tratta Torino-Lione (dell’ordine di 300 km) ma dell’intero Corridoio Mediterraneo di 3.000 km e, pro quota, dei 30.000 dell’intera rete europea. È a questa scala, anche dal punto di vista energetico, che il tunnel di base esplica pienamente i suoi effetti e per un orizzonte temporale secolare.

Stante l’obiettivo europeo di potenziare le connessioni tra reti elettriche nazionali, disporre di un nuovo tunnel potrebbe consentire di aumentare le capacità di scambio transfrontaliere, con una netta riduzione di costi rispetto ad un elettrodotto?

Il progetto del tunnel di base della Torino-Lione, fin dalla sua nascita e nel corso degli sviluppi concordati fra gli Stati non è mai stato pensato con questa finalità complementare, per due motivi.
Il primo, perché su un altro tavolo, quello autostradale, era in previsione la realizzazione di una dotazione di questo tipo (soprattutto con finalità energetiche) da realizzarsi in condizioni più agevoli e su lunghezze decisamente inferiori, non essendo il traffico automobilistico e le relative infrastrutture condizionate dai vincoli delle livellette ferroviarie come quelle che impongono il traforo per i treni ben 800 metri più in basso, alla quota di pianura.

E il secondo motivo?

Il contesto morfologico in cui si scava il tunnel di base è geologicamente tra i più difficili e complessi dell’intero arco alpino. Per questo, e al netto di considerazioni di convenienza economica, una soluzione “tipo Brennero” con una terza canna dedicata a funzioni di supporto alle lavorazioni in fase di scavo e da destinare poi a condotto per sottoservizi, non appariva praticabile in quanto lo sforzo da farsi, nel nostro caso, consisteva invece nella riduzione del numero degli scavi.
Si pensi che a Saint Martin la Porte è stato convenuto di realizzare l’indispensabile galleria geognostica come anticipazione del tunnel di base proprio per non dover duplicare lo scavo, in un quadro geologico critico. Ovviamente l’utilizzo dei cavidotti esistenti nel fornice della galleria, realizzati per le esigenze funzionali della linea ferroviaria, potranno consentire un’ottimizzazione degli spazi, ma in una logica del tutto secondaria.
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