Idrogeno, tecnologia interessante ma adelante con juicio

Idrogeno, tecnologia interessante
ma
adelante con juicio

di ALESSANDRO CLERICI / presidente onorario WEC Italia e FAST


La transizione verso una economia decarbonizzata ha un enorme impatto mediatico e condiziona ormai le scelte politiche (non solo energetiche) a livello mondiale.

Il processo ha portato e porterà a notevoli investimenti in ricerche e innovazione su risorse primarie e vettori energetici, su materiali, apparecchiature, macchinari e sistemi, insieme a nuovi modelli di business (e di vita). Sono tre i pilastri della decarbonizzazione: produzione di energia (la si vuole priva di combustibili fossili), efficienza energetica (prodotti e servizi con consumi energetici ridotti) da abbinare al risparmio energetico (consumo meno, evito sprechi), mobilità e trasporti (anche qui senza utilizzo di fonti fossili e considerando il completo ciclo di vita - la produzione del veicolo e del combustibile utilizzato, il suo trasporto fino al veicolo, del quale vanno poi valutate efficienza, emissioni e riciclo finale).

Nel settore della produzione di energia elettrica, che è il principale contributore alle emissioni di CO2, la non programmabilità e variabilità istantanea legata a fattori atmosferici di eolico e fotovoltaico pongono una serie di sfide alla loro sempre più forte penetrazione (a questo proposito, leggi anche Facciamo bene i conti con la transizione energetica, su
Nuova Energia 3-2019).

Per il fotovoltaico, alla diversità tra notte e giorno e tra estate e inverno (a Firenze, per esempio, in una giornata soleggiata invernale si ha circa un terzo di produzione di energia rispetto ad una giornata estiva), occorre anche far fronte a rampe di carico “residuo” da fornire al calar del sole per il crollo della generazione da fotovoltaico. Risultano indispensabili stoccaggi sia di breve durata (circa 1 ora) per la regolazione primaria della frequenza di rete, sia di durate più lunghe e al limite di giorni o settimane (si è assistito a mancanza totale di vento per 3-4 settimane consecutive in Irlanda e contemporaneamente di vento e fotovoltaico in Germania).

Anche nei trasporti e nei consumi finali, l’utilizzo di risorse energetiche che non generano emissioni di CO2 assume sempre maggior importanza. E da quanto sopra, prende più forza l’idea di un idrogeno verde, prodotto per elettrolisi da fonti rinnovabili e che bruciando genera acqua, con svariati utilizzi multisettoriali. E di idrogeno si è discusso molto, nella sessione
Hydrogen. Bridging sectors and Regions a latere del Congresso Mondiale dell’Energia 2019 in Abu Dhabi organizzata dall’EU-GCC Clean Energy Technology Network in collaborazione con l’associazione Hydrogen Europe,
il
Center for Hydrogen Safety dell’AIChE e l’International Partnership for Hydrogen and Fuel Cells in the Economy e Dii Desert Energy.

A parte i discorsi generali e le presentazioni delle società organizzatrici, sono state effettuate relazioni dettagliate da IRENA, Engie, Siemens, Saudi Aramco e WEC; il tutto seguito da animate discussioni. È emerso chiaramente il grande potenziale tecnologico in gioco, sia per rimpiazzare i combustibili fossili nell’attuale produzione di idrogeno (e qui l’enfasi è stata posta sull’elettrolisi) sia per l’impiego dell’idrogeno al posto di combustibili fossili nei vari utilizzi energetici domestici, nei trasporti e in applicazioni industriali. In evidenza anche lo stoccaggio di idrogeno per la produzione di elettricità, per venire in soccorso alla variabilità e alla stagionalità delle fonti rinnovabili come fotovoltaico ed eolico.

Date le sfide tecnologiche ed economiche per trasportare l’idrogeno sia allo stato gassoso e sia a quello liquido, specie su lunghe distanze, Aramco ha presentato uno studio basato sul trasporto via nave da Arabia Saudita all’Est Asiatico sia di CO2 da CCS (Carbon Capture and Storage delle emissioni di CO2 da centrali e industrie Saudite) e sia di GPL saudita. In Asia verrebbe prodotto idrogeno dalla nota reazione di CO2 con metano da GPL, entrambi importati. Per migliorare l’economicità è previsto il ritorno in Arabia Saudita, con le stesse navi, della CO2 da emissioni in Asia per stoccaggi Sauditi o per Enhanced Oil Recovery (EOR). Aramco considera la CO2 non un rifiuto dannoso per l’ambiente ma una materia prima.

Chiaramente, dati gli interessi specifici delle varie società, nelle discussioni e nei colloqui a latere sono emersi differenti punti di vista sul futuro, preconizzato da alcuni tutto elettrico anche per i trasporti e, all’opposto, da altri basato su “una nuova stagione dell’idrogeno con la nascita di una sua celere, matura ed estesa economia” (e mi sembrava di risentire quanto
profetizzato nel 2002 da Jeremy Rifkin). Non sono mancate posizioni equilibrate per un approccio aperto, magari con soluzioni ibride, come proposto recentemente in alcune auto azionate sia da fuel cell a idrogeno
sia da batterie. Sulla terra l’idrogeno si trova nell’acqua e in tutti i composti organici ma è scarsamente presente allo stato libero e deve quindi essere prodotto con svariate tecnologie; più che una risorsa energetica primaria va quindi visto come un vettore energetico.

Dai dati presentati ad Abu Dhabi sono emersi valori di produzione annua attuale che vanno da 80 a 110 milioni di tonnellate; il 40 per cento circa proviene dal metano (processo STM, Steam Methane Recovery), il 30 per cento da idrocarburi, il 18 per cento dal carbone (tramite gassificazione) e solo circa il 4 per cento da elettrolisi dell’acqua. La produzione attuale comporta notevoli emissioni di gas serra (con il processo STM, a 1 kg di idrogeno corrispondono 8 – 9 kg di CO2) e si parla quindi di idrogeno
nero. Dai dati IRENA, il 39 per cento dell’idrogeno viene oggi usato nelle raffinerie, il 27 per cento nella fabbricazione di ammoniaca, il 10 per cento per produrre metanolo, il 4 per cento in siderurgia e il resto in vari processi industriali.

Per quanto riguarda gli scenari futuri al 2050, si registra una notevole differenza a seconda delle fonti, come sintetizzato nella presentazione di
IRENA che ha riportato – mettendole a confronto – le proprie stime per
il 2050 effettuate nel 2019 con quelle di
Hydrogen Council del 2017.
IRENA ha valutato in 14 exajoule (EJ = 1018 J) la produzione di idrogeno nel 2019, prospettando poco più di un raddoppio nei consumi al 2050;
Hydrogen Council ha stimato invece un aumento di oltre 5,5 volte. Per raggiungere una forte penetrazione dell’idrogeno verde, i fattori fondamentali per una produzione concentrata su elettrolisi sono: un basso costo della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili “vicine” e dedicate, il costo di investimento dell’impianto di elettrolisi, la sua durata di vita, le ore di utilizzo annue (non troppo elevate in molte località a causa delle alimentazioni da fotovoltaico o eolico) e i costi di esercizio, includendo i ricambi il cui ammontare non sembra trascurabile.

Per quanto riguarda la produzione di idrogeno al 2050, IRENA ipotizza
che 2/3 provengano da grossi impianti di elettrolisi di potenza superiore
a 100 MW alimentati da fonti rinnovabili (idrogeno
verde) e 1/3 da idrogeno blu prodotto in parte dalla reazione di metano con CO2 da CCS (cattura da emissioni di centrali e impianti) e in parte da elettrolisi alimentata non al
100 per cento da FER. Questo rispetto a una produzione 2019 di idrogeno

nero da fonti fossili praticamente vicina al 99 per cento. Per quanto riguarda il costo attuale di idrogeno nero valutato nel punto di produzione, e quindi senza considerare il trasporto, nelle presentazioni è stato stimato nell’intervallo di 1,25-2,5 dollari/kg di H2.

I costi di produzione con elettrolisi, illustrati da
Hydrogen Europe, mostrano che a oggi con un CAPEX dell’impianto di circa 1.200 euro/kW, costi di
O&M annuali pari al 2 per cento del CAPEX, un costo di produzione di energia elettrica rinnovabile pari a 60 euro/MWh con un
load factor di 2.000 ore/anno (riferiti al Nord della Germania), il costo dell’idrogeno al sito di produzione con una discount rate dell’8 per cento sarebbe di 7,8 euro/kg con un’efficienza del 57 per cento (58 kWh/kg di H2) rispetto al potere calorifico inferiore. I contributi al costo del kWh verrebbero per il 45 per cento dal CAPEX, per il 45 dall’energia elettrica e per il 10 per cento da O&M.
Tutti gli interventi hanno sottolineato l’importanza di riduzione del CAPEX degli elettrolizzatori e l’aumento dell’efficienza legata anche al forte aumento della taglie previste, che passerebbero dai circa 10 MW massimi attuali per singolo impianto ai 100 MW dopo il 2025 (addirittura previsti da Siemens intorno a 1.000 MW nel periodo 2030-2050).

IRENA ipotizza al 2050 un costo degli impianti di elettrolisi prossimo a 200 dollari/kW; con un load factor delle rinnovabili di 4.200 ore/anno e un loro costo di 20 dollari/MWh l’idrogeno all’uscita dell’elettrizzatore costerebbe
1,4 dollari/kg. Nel medio temine (intorno al 2030)
Hydrogen Europe preconizza in Germania un costo dell’idrogeno intorno a 3 euro/kg, con un CAPEX più che dimezzato a 500 euro/kW, rendimento al 66 per cento con elettrolizzatore da 100 MW e 50 euro/MWh per l’energia da rinnovabili (eolico offshore con load factor di 4.500 ore/anno). Secondo Siemens, invece, sempre al 2030 – con un CAPEX dell’elet trolizzatore a 640 dollari/kW, O&M al 5 per cento/anno del CAPEX, un WACC dell’8,9 per cento, efficienza del 75 per cento e 50 dollari/MWh il costo dell’energia rinnovabile che alimenta l’impianto – servirebbero per la produzione dell’idrogeno 5,7 dollari/kg con load factor di 2.000 ore/anno e 4,3 dollari/kg con load factor di 4.000 ore/anno.

Per la conversione di idrogeno in energia elettrica Siemens ha dichiarato che tutte le sue turbine a gas
heavy duty funzionano già con il 30 per cento di idrogeno in volume ed è impegnata ad allestire tutta la propria gamma di turbine a gas funzionanti con il 100 per cento di idrogeno; lo stesso è stato affermato anche da GE. In una visione in cui l’elettricità prodotta nel 2050 proverrà al 100 per cento da fonti rinnovabili (il New Deal europeo), con adeguati sistemi di storage, bilanciamento e capacity market “verdi” il load factor degli elettrolizzatori aumenterebbe, con riduzione dei costi dell’idrogeno da elettrolisi. Non entro in questa sede sui pro e i contro delle celle a combustibile e sulle possibili soluzioni alternative all’elettrolisi, sfiorate nelle discussioni ma importanti da considerare per gli scenari futuri.

Vale la pena di riportare le principali caratteristiche energetiche dell’idrogeno allo stato gassoso e liquido comparate a quelle del metano, tralasciando di riportare dati sui campi di infiammabilità, energia di attivazione e coefficiente di diffusione che pongono ancora grandi sfide per l’uso di questo vettore.
Dato il suo basso peso specifico, il contenuto energetico per unità di volume dell’idrogeno sia allo stato liquido sia gassoso – pur essendo alto per unità di peso – risulta notevolmente penalizzato rispetto al metano, e allo stato liquido ben inferiore a quello della benzina. Il problema di ingombro per serbatoi a pari contenuto energetico risulta quindi di notevole impatto e una riduzione dei volumi a pressioni intorno ai 700 bar della nuova legislazione italiana comporta costi e pesi per nuovi serbatoi fissi e mobili.

La liquefazione implica notevoli consumi energetici per l’ottenimento di H2 allo stato liquido (circa 1/3 del contenuto energetico dell’idrogeno) oltre ai consumi legati al trasporto per mantenere una temperatura inferiore a – 253 °C.
I possibili molteplici e pervasivi utilizzi dell’idrogeno e la necessità per il sistema elettrico di compensare la non programmabilità di fotovoltaico ed eolico, sempre più importanti nel settore della generazione, hanno portato a riconsiderare l’economia dell’idrogeno di cui si parla da decenni ma con situazioni al contorno ora cambiate. Occorre però basarsi su numeri, dati e fatti prima di fare previsioni troppo ottimistiche per i tempi di realizzazione di una sicura e matura era dell’idrogeno. Ciò non toglie l’obbligo di investimenti in ricerca ed esperienze prototipali lungo tutta la catena dalla produzione, trasporto ed utilizzo per verificare la competitività con altre tecnologie e la velocità di penetrazione.

Tra l’altro, occorrono opportune verifiche per i problemi di corrosione e infragilimento da idrogeno su strutture esistenti e per quelli di sicurezza con relativi standard; e ciò richiederà tempi adeguati. Come detto, l’attuale costo di produzione di H2
nero da combustibili fossili (solo il 4 per cento proviene da elettrolisi) è intorno a 1,25-2,5 dollari/kg, con notevole produzione di CO2
(che occorre valutare come costo). Risulta nettamente più conveniente rispetto all’idrogeno da rinnovabili, valutato per la Germania intorno a 7-8 euro/kg al sito di localizzazione dell’elettrolizzatore. Per abbassare il prezzo dell’H2
verde da elettrolisi (ritenuta da molti la soluzione vincente rispetto ad altre tecnologie, che non sono tuttavia da trascurare) occorre una drastica riduzione dei costi degli elettrolizzatori e della produzione di elettricità rinnovabile, insieme a un aumento delle sue ore equivalenti (load factor).

A livello globale il
load factor è di poco superiore alle 1.000 ore/anno per il fotovoltaico e alle 2.000 per l’eolico, con punte di valori superiori al doppio in località particolari. Al convegno di Abu Dhabi sono stati riportati scenari più o meno ottimistici, con un aumento della capacità degli elettrolizzatori dagli attuali 10 MW fino ai 100 MW in un decennio e ai 1.000 MW più in là nel tempo, con aumenti dell’efficienza e crollo dei costi a 200 dollari/MW (meno
di un quinto degli attuali) al 2050. Rimanendo al 2030, con 500 euro/kW (un dimezzamento rispetto a oggi per i costi degli elettrolizzatori), si potrebbe anche in Germania arrivare intorno a 3 euro/kg per l’idrogeno, sfruttando un
load factor di 4.500 ore in prossimità di grossi impianti offshore.

Secondo altri, invece, con 2.000 ore/anno di
load factor e 45 euro/MWh per le rinnovabili, si rimarrebbe intorno ai 5 euro/kg. Anche supponendo nel medio termine di poter utilizzare l’idrogeno a bocca di elettrolizzatore a 3 euro/kg, con una trasformazione in elettricità con efficienza intorno al 50 per cento si avrebbe un costo del puro combustibile (al quale vanno aggiunti gli oneri di capitale e i costi di O&M dell’impianto) di 90 euro/MWh rispetto ai 28 euro/MWh del metano, ora in Italia attorno ai 14 euro/MWh per alimentare cicli combinati. Considerando il suo basso peso specifico, servono più di 3 Normal metri cubi di idrogeno per avere la stessa energia di un Normal metro cubo di metano.

In miscele di metano con il 10 per cento in volume di idrogeno, quest’ultimo apporta quindi un contributo in energia del 3,1 per cento; una miscela al 20 per cento di idrogeno contribuirebbe con un 6,3 per cento in energia, riducendo quindi il potere calorifico della miscela metano/H2 di oltre il 13 per cento rispetto al puro metano. Sempre a causa del suo basso peso specifico, e tralasciando i problemi di corrosione/sicurezza, il trasporto dell’idrogeno allo stato gassoso è ad oggi costoso, così come quello allo stato liquido (-253 °C) che richiederebbe circa 1/3 dell’energia contenuta in 1 kg di idrogeno per la sola liquefazione. Lascio a un prossimo articolo considerazioni sull’uso dell’idrogeno per i trasporti e la sua futura possibile competitività con l’auto elettrica o con altri carburanti verdi; sarà il mercato a definire le quote relative, ma si notano in servizio i primi treni a idrogeno su linee non elettrificate, oltre ad autovetture (una immatricolata in Italia nel 2019).

Chiaramente si ha una situazione attuale di alto prezzo del veicolo, un suo elevato peso per le bombole e una assenza di stazioni H2, sebbene siano in progetto nuovi distributori sulle autostrade
verdi (vedi anche il Brennero).
La rappresentante WEC al convegno ha sottolineato che Parigi ha ora una flotta di 100 taxi a idrogeno, che diventeranno 600 nel 2020. Un ultimo commento sulla produzione di idrogeno con elettrolisi da rinnovabili in Italia per un contributo alla decarbonizzazione. I record dei valori offerti per 20-25 anni a meno di 20 dollari/MWh negli Emirati Arabi per la fornitura dell’elettricità da nuovi impianti fotovoltaici non sono certo esportabili da noi, pur con il crollo dei prezzi avuto negli ultimi anni anche in Europa: la taglia media di ciascuna installazione è di svariate centinaia di MW, l’insolazione è eccezionale, i costi del denaro e delle aree sono praticamente nulli mentre quelli per le opere civili, l’installazione e l’O&M (inclusa pulizia dei pannelli) si basano su una manodopera che costa anche meno di 300 dollari/mese; il tutto con agevolazioni e tempi praticamente nulli per le autorizzazioni.

In Italia, con il costo di manodopera regolare oltre 10 volte superiore, con le ben note tempistiche e gli oneri per l’investitore per le autorizzazioni e per trovare i terreni (e dove, per impianti di oltre 50 MW con abbinati elettrolizzatori efficienti?), il costo dell’energia fotovoltaica sarà attorno a 2,5 volte rispetto agli Emirati. Lo stesso ragionamento vale per i nostri “venticelli”, con l’eolico italiano che
soffia con un load factor attorno a poco più di 2.000 ore rispetto alle oltre 4.500 degli impianti offshore o sulle coste dell’Atlantico. Forse, per le caratteristiche del nostro Paese, varrebbe la pena di considerare “impiantini” elettrolizzatori standardizzati e modulari di qualche kW, con relativo “impiantino” fotovoltaico, per i quali abbiamo già in Italia una fabbrica, anche se di proprietà di una startup estera.

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