Dopo un secolo chi si rivede: la Behavioural Science… |
Dopo un secolo chi si rivede:
la Behavioural Science…
di CARLETTO CALCIA
Nella letteratura internazionale di management riaffiora la Behavioural Science, la scienza dei comportamenti che, nata alla fine del 1800, Burrhus Frederic Skinner e John Watson introdussero nella prima metà del 1900 nella gestione aziendale.
L’inizio di carriera dei manager di quei tempi prevedeva la considerazione dei suggerimenti di queste scienze, in prevalenza dedicate ai comportamenti manifesti. Oggi l’incessante sviluppo delle nuove tecnologie dovrebbe essere bilanciato da un elevato contenuto di intelligenza emotiva delle persone, in collaborazione con quella conoscitiva delle macchine.
Gli esperti non escludono, purtroppo, accanto a quelli espliciti, comportamenti irrazionali inconsci, soprattutto dei capi, che tuttavia potrebbero essere talvolta prevedibili. Non si tratta dei vari stili possibili di management, ma di tendenze e pregiudizi così sottili da restare nascosti nel subcosciente.
Per esempio, ricordo che i progettisti di macchine talvolta non avevano il permesso della fabbrica di assistere alle prove per constatare l’esattezza dei loro calcoli: si trattava di motivi di sicurezza o piuttosto dell’attestazione di un presunto senso di superiorità?
Erano sottili timori di essere presto scavalcati da giovani e capaci manager quelli del loro capo che avrebbe dovuto contribuire efficacemente alla loro crescita gestionale?
Altri motivi inconsci possono ancora oggi essere la tendenza a circondarsi di persone simili a se stessi, o addirittura di yes-men, a privilegiare la cultura scientifica rispetto a quella classica, a dare prevalenza a incarichi operativi rispetto a quelli di staff, a dubitare delle capacità gestionali di ex consulenti, a ritenersi esclusi, in quanto capi, dal rispetto di procedure valide per tutti. […]
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