Pubblicizzare ciò che è già pubblico servirà a coprire il gap di investimenti?

Pubblicizzare ciò che è già pubblico
servirà a coprire il gap di investimenti?


di DAVIDE CANEVARI



Una bomba d’acqua. E questa volta non c’entrano i cambiamenti climatici e gli eventi estremi collegati.

Il 23 marzo 2018 è stata presentata alla Camera dei Deputati la proposta di legge numero 52
Disposizioni in materia di gestione pubblica e partecipativa del ciclo integrale delle acque. Primo firmatario, Federica Daga. Il testo della proposta non tradisce il mood pentastellato: perentorio e demagogico, fin dalle prime righe.

I beni comuni come l’acqua, il territorio, l’energia e i rifiuti e servizi pubblici essenziali come quelli deputati a garantire un benessere locale di qualità, appartengono alla comunità e non possono in alcun modo essere sottratti alla stessa, condizionandone la fruizione da parte di tutti i cittadini. (…) Insomma appare evidente che il sistema ha fallito e che le politiche di privatizzazione hanno prodotto il disastro. Per questo è necessario invertire la rotta”.

Non desta particolare meraviglia il fatto che - da quando lo scorso ottobre è stata messa in discussione al Parlamento - la “PDL 52” abbia suscitato reazioni contrastanti, spesso aspre e al limite del disappunto. Anche all’interno della stessa maggioranza giallo-verde, ma questo è l’elemento che meraviglia di meno.

Utilitalia ha subito smontato (dati alla mano) la proposta, a partire dai presupposti di fondo. “L’acqua è già pubblica: il 97 per cento della popolazione è servito da società a maggioranza o interamente pubbliche. Mentre il ritorno alla gestione diretta auspicato dall’onorevole Daga comporterebbe la revoca delle concessioni con un costo immediato stimabile in 15 miliardi”.
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