E se la gentrification fosse il convitato di pietra?
E se la gentrification
fosse il convitato di pietra?

di NINO DI FRANCO / Università di Pavia Visita il profilo LinkedIn



La letteratura sulla povertà energetica si è sviluppata in Gran Bretagna a partire dagli anni ‘70 del secolo scorso, epoca delle prime crisi energetiche, e si è in seguito molto diffusa e ampliata.

Tanto che istituzioni come la Commissione Europea, l’
International Energy Agency, il governo nazionale con l’ultima Strategia Energetica, hanno contribuito e preso posizione. Agenzie, studiosi, osservatori e sindacati hanno prodotto e stanno producendo studi e statistiche; filoni di ricerca sono ben individuati.

Il dibattito è attualmente incentrato su due argomenti principali: cosa debba intendersi col termine povertà energetica, e con quali mezzi essa possa essere contrastata, fatta salva la questione dell’estrema complessità del problema, che chiama in causa questioni locali e globali, personali e collettive. In questa sede non si vogliono fornire ulteriori contributi alla risoluzione di tali istanze; si proporranno invece argomenti che si ritengono importanti ai fini di un orientamento pragmatico della discussione.

La prima questione è la seguente: ha il concetto di povertà energetica uno
status che la distingua da altri tipi di povertà (mancanza di cibo, di vestiti, di salute, di educazione, di abitazione, di acqua, ...) o che addirittura la segreghi dal concetto stesso di povertà? Ha senso il dibattito sulla differenza tra fuel poverty ed energy poverty?

Le Nazioni Unite, durante il
World Summit for Social Development di Copenhagen (1995), hanno codificato quei bisogni di base la cui mancanza induce la povertà estrema in una popolazione, e sono: cibo, acqua potabile, cure mediche, salute, casa, educazione e informazione. L’energia non compare e tale assenza è problematica, considerato che all’epoca del Summit erano ben note le criticità legate ai prolungati blackout e al rincaro dei prezzi petroliferi
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