Spadoni: "Teleriscaldamento, con regole certe siamo pronti a investire"

Spadoni: “Teleriscaldamento,
con regole certe siamo pronti a investire”

di DAVIDE CANEVARI Visita il profilo LinkedIn


Lorenzo Spadoni, amministratore delegato di A2A Calore e Servizi, è il nuovo presidente AIRU, l’Associazione Italiana Riscaldamento Urbano.

Lo aspetta un triennio di sfide importanti, alla luce delle nuove attività regolatorie avviate da ARERA, degli impegni delineati dal Piano Energia Clima e dalle politiche energetiche comuni che scaturiranno dalla
prossima Europa. Nuova Energia lo ha incontrato a pochi giorni di distanza dalla sua elezione
.

Il teleriscaldamento ha debuttato in Italia, a Brescia, giusto mezzo secolo fa. Cosa le fa pensare che sia una tecnologia ancora giovane e con promettenti prospettive di crescita?
In realtà, in Italia le prime applicazioni, sfruttando calore geotermico, risalgono ad oltre un secolo fa. E ci sono reperti archeologici che farebbero risalire una distribuzione di calore attraverso una rete addirittura all’antica Roma. Questo significa che il teleriscaldamento è una sorta di dinosauro? Niente affatto; è vero proprio il contrario.
Nel tempo ha dimostrato di essere una tecnologia flessibile, in grado di adattarsi alle mutate esigenze del mercato e ai nuovi standard ecologici e ambientali. Si è passati dai primi sistemi a vapore al cosiddetto teleriscaldamento di IV generazione, con una sempre più spinta interazione con le rinnovabili e l’attenzione al recupero di calore da processi industriali o impianti di generazione. Grazie alla sua elevata flessibilità è un sistema in costante evoluzione, e quindi sempre giovane.

Può sembrare una contraddizione affiancare a una infrastruttura di rete il termine flessibilità.

L’infrastruttura non rappresenta un vincolo, ma un’opportunità. La rete è un tramite che mette in comunicazione la domanda di calore da parte dell’utente finale e una fonte dove si genera o si recupera calore. È qui che si apprezza al massimo la flessibilità del teleriscaldamento. Prendiamo il caso di Brescia, dove oggi serve il 70 per cento della città. Nel 1972, all’inizio, utilizzava calore prodotto esclusivamente da fonte fossile. Poi, nel sistema è stato integrato il recupero di energia dalla termovalorizzazione dei rifiuti residuali (oggi questo contributo conta per oltre il 60 per cento). Recentemente si è aggiunto il recupero di calore da un’acciaieria: quest’ultima fonte oggi fornisce alla rete l’equivalente del fabbisogno di calore di 2.500 famiglie, recuperando calore prima dissipato nell’ambiente.

Ovunque si scavi in Italia, non solo nei borghi storici, si corre il rischio di trovare dei reperti. Almeno questo rappresenta un bel vincolo!

Se è vero per il teleriscaldamento, dovrebbe esserlo anche per qualsiasi altra infrastruttura a rete: dalla distribuzione di acqua potabile o energia elettrica, alle fognature. E quindi non avremmo neppure le città come le concepiamo oggi.
Le cose si possono fare, e anche con cura, senza alcuna interferenza con la storia. A Milano, solo per fare un esempio, Palazzo Reale è teleriscaldato da una rete che attraversa Piazza Duomo.

Come valuta, allo stato dell’arte, la situazione del teleriscaldamento
in Italia?

Negli anni scorsi il teleriscaldamento ha avuto una buona diffusione nel Paese. Ancora adesso è in espansione, sia pure con un trend di crescita che è vistosamente rallentato. Di sicuro resta un ampio ulteriore potenziale. Questo è un tema centrale per noi. Ad oggi, per valutare le possibili direttrici di sviluppo del settore, ci si basa ancora su uno studio GSE del 2015, che - tuttavia - aveva intercettato solo una parte del calore di recupero. È già previsto, e ribadito all’interno del PNIEC, un aggiornamento nel 2020, per il quale come AIRU vogliamo dare il massimo contributo possibile.
Oltre al documento del GSE esistono altri studi accreditati. Uno porta la firma proprio di AIRU, assieme a Legambiente, e ha posto particolare attenzione ad incrociare la
geografia della domanda e dell’offerta, arrivando alla conclusione che si potrebbe triplicare l’attuale volumetria servita dal teleriscaldamento. Il progetto europeo Stratego, concluso nel 2016, ha ampliato ulteriormente questa stima.
Dobbiamo mettere a terra questo potenziale, tenendo in grande considerazione le nuove esigenze e tecnologie. Definito il potenziale, il d.lgs. 102/2014 prevede che vengano messi in campo adeguati sostegni definiti in base a un’analisi costi-benefici.

Come si potrebbe sensibilizzare maggiormente il Governo sul reale contributo che il teleriscaldamento può dare alle politiche ambientali, energetiche, economiche, italiane?
Se parliamo di efficienza, uno dei tre pilastri-obiettivo di tutte le politiche energetiche e ambientali comunitarie - e di conseguenza dei singoli Paesi membri - si può intervenire sulla domanda (ad esempio, operando interventi strutturali sugli edifici) o sull’offerta, quindi sulla produzione del calore. Se vado a recuperare calore che fino ad oggi veniva dissipato, sto facendo efficienza.
Il teleriscaldamento, poi, è uno strumento con una duplice valenza.
È potente ed efficace nel ridurre le emissioni climalteranti su scala globale e al contempo consente di migliorare la qualità dell’aria - riducendo gli inquinanti - in ambito urbano. Come AIRU siamo pronti a sederci ai tavoli con le istituzioni per poter valorizzare assieme, anche verso l’utente finale, questi aspetti.

A proposito: qual è il vostro interlocutore ideale, o dal quale vi attendete le risposte più significative: il ministero dell’Ambiente, il MiSE, il ministero dell’Economia e delle finanze?
Il teleriscaldamento è trasversale ad una serie di temi di estrema attualità: dall’efficienza energetica, alla lotta ai cambiamenti climatici, al miglioramento della qualità dell’aria nelle città. Tutti i soggetti citati, ai quali aggiungerei gli Enti Locali, rivestono perciò un ruolo strategico.
Se affrontiamo, ad esempio, il tema dei meccanismi di sostegno, dipende da quali strumenti si vogliono mettere in campo.
Un tema come quello dei Certificati Bianchi coinvolge più il MiSE e il GSE, l’ETS chiama in causa l’Ambiente, i crediti d’imposta la leva fiscale e dunque il MEF. La qualità dell’aria è un aspetto che, invece, ci deve portare a un confronto con gli Enti Locali. Sono molteplici i soggetti da coinvolgere e i tavoli a cui partecipare.

Come se la passa il teleriscaldamento dalle parti di ARERA?
Immagini che l’Autorità possa esaudire subito una (ma solo una!) richiesta. Quale farebbe?
La regolazione per il teleriscaldamento e il teleraffrescamento è stata introdotta nel 2014 con il già citato decreto legislativo numero 102 del 4 luglio. Il nostro non è un sistema a rete come tutti gli altri; è un po’ particolare, poiché siamo sul mercato.
Nessuno è obbligato ad allacciarsi. Usare o non usare questa opzione è una scelta del cliente singolo o aggregato (ad esempio, il condominio) che in un regime di concorrenza fa le sue considerazioni economiche e poi decide di conseguenza. È questa stessa concorrenza a far sì che i prezzi del teleriscaldamento siano automaticamente calmierati. Altrimenti correremmo il rischio di finire fuori mercato. ARERA non fissa quindi i prezzi; si occupa di regolare altri aspetti come la qualità del servizio e la trasparenza commerciale.

E dove nasce la criticità?
Per il nostro settore è sicuramente positivo che ci siano delle regole e degli standard di comportamento. Occorre però fare attenzione che il servizio non sia gravato da eccessivi costi che andrebbero a minarne alla base la competitività. Su questi aspetti il dibattito è aperto e costruttivo. Non dimentichiamoci che proprio il decreto 102 esplicita che la finalità della regolazione è quella di sviluppare il settore.
Da questo punto di vista auspichiamo che dal confronto in corso con l’Autorità possano anche scaturire proposte nella direzione dello sviluppo, che possano essere riportate ai decisori politici.

E dalle parti di Bruxelles?
La
EU strategy on heating and cooling del 2016 indica nel teleriscaldamento uno strumento da potenziare proprio per gli obiettivi sfidanti che la stessa Unione europea si è data in tema di decarbonizzazione.

Ci sono realtà straniere che le piacerebbe poter prendere a modello?
Sarebbe facile citare il blocco storico dei Paesi scandinavi, là dove in alcuni casi la quota mercato del teleriscaldamento arriva alle soglie dell’80 per cento. In realtà, ci sono anche Paesi dove la spinta è più recente, ma non meno significativa in termini di tassi di crescita, come la Francia, la Germania o la Scozia.
Allo stesso tempo, meritano di essere citati anche gli sforzi di singole città come Amburgo o Rotterdam servita da una rete di 26 chilometri che recupera calore prodotto nella zona industriale del porto, con sistemi di stoccaggio all’avanguardia e un progetto per estendere il servizio a tutta la regione dell’Olanda del Sud.

Penso che questo sia un aspetto meritevole di sottolineatura: ci sono modelli di promozione della crescita che vanno dalla singola città all’intera nazione, passando per la dimensione regionale...
Infatti. E tornando alla sua domanda precedente, posso dunque rispondere che i modelli alternativi a cui fare riferimento certo non mancano.

Se le dico la parola rifiuti, pensa a un problema o a un’opportunità?
Su questo tema bisogna essere chiari, perché a volte è fonte di fraintendimenti o può essere strumentalizzato. Il teleriscaldamento è una tecnologia neutra: non fa il tifo per nessuna fonte, ma cerca di privilegiare il recupero di calore disperso. Quindi, se sul territorio c’è già un impianto di termovalorizzazione (che a valle di un processo efficiente di raccolta differenziata evita l’alternativa di un conferimento in discarica) ha poco senso non valorizzare il calore che genera.
Se lo recuperiamo non facciamo altro che incrementare l’efficienza complessiva di un moderno ciclo di gestione dei rifiuti, in coerenza con il concetto di economia circolare.

Quanto calore disperso, da processi industriali o impianti di generazione, è effettivamente recuperabile in Italia?
Tanto. E non vale solo per l’Italia. Si stima che in Europa il calore disperso e non utilizzato è superiore alla domanda termica complessiva. Il waste heat offre un enorme potenziale, che deve essere solo catturato.
E per farlo serve una rete.

Le utility italiane credono davvero nel teleriscaldamento? A suo avviso, sono pronte a investire in nuovi progetti (e a quali condizioni)?
Le nostre aziende sono pronte a mettere in campo anche investimenti di rilievo, a patto che ci siano delle regole ben definite.
Recenti modifiche, anche con effetto retroattivo, del quadro di riferimento (penso ad esempio al meccanismo dei Certificati Bianchi) hanno disorientato gli operatori e generato incertezza. La stabilità è il primo requisito per poter pensare di elaborare un
business plan.

Torniamo su un aspetto cui ha già fatto cenno. Tra i moderni sistemi di riscaldamento il vostro è forse il meno incentivato; è pur vero che tutti “tirano la giacca” per avere qualche sostegno in più. Perché la giacca dovrebbe “pendere” dalla vostra parte?
salvaguardia degli investimenti già effettuati ed un quadro di regole certe su cui programmare i futuri sviluppi. Detto questo, è chiaro che le risorse sono per definizione limitate e che la loro distribuzione finale ai diversi soggetti passa da decisioni politiche.
Noi ci limitiamo a chiedere che queste decisioni siano prese sulla base di elementi oggettivi, derivanti da un’analisi costi-benefici coerente per tutte le diverse soluzioni prese in esame.

Una domanda un po’ provocatoria: nel medio e lungo termine i cambiamenti climatici potrebbero diminuire la domanda di calore nei mesi freddi. Questo può influire sui piani di sviluppo di questa tecnologia?
Come ogni investimento che prevede la realizzazione di un’infrastruttura, anche il teleriscaldamento è ad alta intensità di capitale, con payback piuttosto lunghi. Il settore, proprio grazie alla sua flessibilità, ha due modi per reagire. Il primo è cercare di aumentare l’efficienza in termini di fonti utilizzate: un calo della domanda potrebbe essere coperto proprio da un minor ricorso al calore di integrazione, tipicamente da fonte fossile costosa e legata alle fluttuazioni internazionali delle quotazioni. In questo modo si andrebbero a ottenere costi marginali più bassi.
Altra soluzione è quella di veicolare servizi diversi, a partire dal teleraffrescamento oggi minimamente integrato. Ed è certo che la domanda di climatizzazione è destinata a crescere negli anni a venire.

Ma il cliente del teleriscaldamento è soddisfatto del servizio di cui beneficia? Esiste qualche studio o rilevazione al riguardo?
Tutti i principali operatori del settore fanno survey periodiche di customer satisfaction presso i clienti. Normalmente l’incidenza dei soddisfatti è piuttosto elevata. Di recente, un nostro associato AIRU ha posto ai suoi clienti la domanda “Consiglieresti il teleriscaldamento a chi oggi non lo usa?” ricevendo 96 risposte affermative su 100.
D’altra parte il teleriscaldamento è percepito come un servizio semplice e sicuro: “Una volta allacciato non devo più preoccuparmi di nulla”.

Ormai da molti anni Milano è un cantiere aperto che vede la riqualificazione di interi quartieri in una logica di smart city. Dove per altro il teleriscaldamento sembra avere un ruolo centrale...
L’area milanese ha oltre 300 chilometri di reti di teleriscaldamento già posate e queste raggiungono edifici storici nel cuore della città, così come quartieri periferici ad alta densità abitativa. Ma, soprattutto, è protagonista dei più recenti progetti di sviluppo di pregio come CityLife, UpTown-Cascina Merlata o Cascina Merezzate in social housing, e in generale in tutti i programmi di riqualificazione. Teleriscaldamento e smartness sono due concetti che vivono in pieno accordo.

Cosa si propone di fare, come presidente AIRU, nel prossimo triennio?
Con l’aiuto degli associati e degli organi societari intendo lavorare per promuovere il teleriscaldamento come tecnologia green e in grado di offrire soluzioni customizzate in base alle specifiche esigenze delle diverse realtà italiane. L’associazione si metterà inoltre a disposizione per dare il proprio proattivo contributo alla definizione di quel quadro di regole certe di cui parlavamo prima, condizione necessaria per lo sfruttamento del potenziale disponibile e per mettere in moto il volano degli investimenti che il nostro settore è impaziente di fare. •


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