Fin troppo facile la vittoria in Russia

di Giuseppe Gatti

Quello che stupisce è la disponibilità di Eni ed Enel a prestarsi a fare la parte delle teste di legno per Gazprom...
Operazione di Realpolitik,cinica quanto si vuole, ma improntata alla logica del business is business, o inutile compiacenza verso il disegno autocratico di Putin e il suo braccio economico Gazprom? La fin troppo facile (e scontata) “vittoria” dell’accoppiata Eni-Enel in Russia, nell’asta del 4 aprile in cui erano in palio alcuni importanti asset di Yukos, pone quantomeno l’interrogativo. Su quattro punti non ci possono essere dubbi:

1) Putin sta perseguendo con ferma determinazione un disegno volto anzitutto a riportare sotto il controllo dello Stato tutte le risorse energetiche del Paese (materia prima, capacità produttiva e infrastrutture). In questa logica, che sta giungendo a compimento, sono stati spazzati via tutti gli oligarchi che attraverso il processo di privatizzazione avevano costruito nuove imprese che potevano condizionare il potere politico o quantomeno porsi in posizione dialettica con la politica. Chi ha accettato di trasferire ai soggetti pubblici, innanzitutto a Gazprom, le proprie attività, ha salvato vita e fortune (magari andando a godersele all’estero), chi si è opposto è stato travolto.
Esemplare il caso di Yukos, sostanzialmente confiscata, con il suo patron Mikhail Khodorkovsky gettato in galera. Si può discutere all’infinito sull’origine dei patrimoni degli oligarchi, e Khodorkovsky non è certo un angioletto, ma il capitalismo allo stato nascente non è un gioco da novizie e i robbers barrons dell’America di fine ‘800, i Vanderbildt come i Rockefeller, non erano certo meglio. Quello che va riconosciuto è che Yukos era la società russa che prima e più di ogni altra aveva cercato di acquisire connotati da company occidentale, quanto a governance e rapporti con il mercato.
Khodorkovsky poi appoggiava esplicitamente l’opposizione liberale a Putin e rappresentava quindi una fastidiosa alternativa non solo sul terreno economico, ma su quello propriamente politico.

2) Il controllo dell’energia ha per Putin una enorme valenza, non solo sulla scena interna, ma insieme e ancor di più su quella internazionale. Gas e petrolio sostituiscono oggi i missili nel tentativo di recuperare alla Russia il ruolo imperiale che si è disintegrato con l’implosione dell’Urss. I casi dell’Ucraina e della Bielorussia sono emblematici, come lo è il gasdotto baltico, che “salta” i Paesi confinanti, per giungere direttamente al mercato tedesco.

3) Sempre in coerenza a questo disegno, la tutela degli investimenti esteri in Russia si è fortemente attenuata ed è praticamente scomparsa nel settore energetico. Anche qui abbiamo un caso emblematico, con Shell (in consorzio con Mitsui e Mitsubishi) costretta a cedere a Gazprom il controllo del progetto Sakhalin. Più in generale lo “zarismo” di Putin non si ferma (e logicamente non si può fermare) alla compressione degli spazi di libertà e di democrazia civile e politica (si veda il sempre più stringente controllo dell’informazione), ma investe direttamente la sfera dell’economia.

4) La messa all’asta da parte dello Stato degli asset di Yukos, in luogo di una loro assegnazione diretta a Gazprom, tende a eludere l’azione giudiziaria che gli azionisti americani di Yukos stano sviluppando, ma alla fine il risultato è lo stesso perché i vincitori dell’asta devono riconoscere a Gazprom una put (che questa ha già dichiarato di voler esercitare) sul 51 per cento degli asset stessi. Per di più i giacimenti messi in asta devono essere utilizzati per il mercato russo e un’eventuale esportazione passa sempre attraverso Gazexport, cioè Gazprom.

Questi i fatti e le logiche cui rispondono.

"QUELLO CHE STUPISCE
É LA DISPONIBILITÁ

DI ENI E ENEL
A PRESTARSI A FARE
LA PARTE DELLE TESTE DI LEGNO PER GAZPROM..."

Non stupisce allora se nessuna compagnia occidentale abbia voluto partecipare a questo simulacro di asta, cui sono intervenute solo società russe, tutte in qualche modo collegate a Gazprom, che non dovevano vincere e in solitario la coppia italiana Eni-Enel, che doveva risultare vincitrice. L’Occidente è stato per troppo tempo muto di fronte all’involuzione russa, ma ora comincia a muoversi. Angela Merkel ha cominciato a rompere l’acquiescenza politica, le major energetiche a riposizionare le loro strategie rispetto al mercato russo. Business is business, ma ci si incomincia a chiedere se ci sia poi un reale e solido business nell’assecondare la strategia neoimperialista di Putin, che relega comunque a un ruolo subalterno qualunque partnership occidentale.
Quello che stupisce invece è la disponibilità di Eni ed Enel a prestarsi a fare la parte delle teste di legno per Gazprom, conferendo una parvenza di legalità all’esproprio di Yukos, acconciandosi ad una posizione non solo minoritaria, ma assolutamente ininfluente nella gestione delle risorse energetiche
russe. Eni può dire che entra comunque nello sfruttamento dei giacimenti russi ed Enel che le serve il gas per le centrali che intende acquistare in Russia, ma questi obiettivi si potevano raggiungere con accordi commerciali, senza camuffarli sotto il ben più appariscente manto di una (finta) acquisizione. Ci sarà del genio in questa follia, ma è veramente ardua impresa individuarlo.