Saracco: "Non c’è futuro senza condivisione di conoscenza e cultura"










di DAVIDE CANEVARI
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“La crisi dell’economia globale confligge con l’adozione di politiche consone con l’urgenza dettata dai cambiamenti climatici, almeno nei Paesi sviluppati come il nostro o negli Stati Uniti. Siamo noi colpiti duramente dalla concorrenza di Paesi come la Cina, che ha attirato molte delle produzioni un tempo nostre e può vantare una indiscussa leadership...”.


Guido Saracco












“Trump riapre le miniere di carbone mentre la Cina domina in particolare il settore delle tecnologie relative alle energie rinnovabili. Trump mette i dazi sull’acciaio cinese e la Cina risponde con quelli sulla carne di maiale statunitense con un effetto di portata analoga ma che grava su una economia più in difficoltà della loro.
La Cina ammonisce e invita al rispetto dei fondamentali del libero scambio, mentre l’America li nega. È un mondo capovolto”.

Guido Saracco, da poche settimane salito al soglio di Rettore del Politecnico di Torino, risponde a questa intervista di Nuova Energia con onestà intellettuale, tenacia, coraggio... e un po’ di sfrontatezza.

In tema di climate change quali sono, a suo avviso, le sfide più impegnative per un divulgatore scientifico?
Io penso che il divulgatore scientifico ancor più che sottolineare l’ineluttabilità del porre rimedio al riscaldamento globale deve convincere la nostra società ad accettare le nuove sfide senza salti nel passato, deve cercare di disarticolare logiche ancestrali che vedono - ad esempio - i nostri migliori laureati fuggire dal nostro territorio e indurre le nostre imprese, specialmente quelle piccole e medie che costituiscono la stragrande maggioranza del panorama produttivo italiano, a volersi fare contaminare da una innovazione radicale di cui proprio quei laureati potrebbero essere latori.


Lei ha una grande esperienza internazionale. Trova che all’estero la lotta al climate change sia stata impostata meglio che da noi?
Francamente no. Il nostro problema è legato al fatto che la nostra economia è più debole di quella dei Paesi cugini, e questo rende tutto più difficile.
Tra i fiori all’occhiello dell’economia italiana oggi figurano, però, proprio aziende energetiche come Eni e Enel. Loro possono e stanno dando un contributo importante nel cambio di paradigma energetico verso le rinnovabili (solare in primis) e le minori emissioni di gas serra (attraverso il ricorso al metano, o il recupero e riutilizzo dell’anidride carbonica), compatibilmente con le logiche di un mercato che oggi – almeno da noi – vede ancora prevalere di gran lunga le fonti fossili.


Altro tema delicato, quello dell’economia circolare. Nella termovalorizzazione degli RSU, in particolare, oggi sono disponibili tecnologie pulite? E come possono essere applicate nel nostro Paese?
Se quindici anni fa venivo chiamato con un gruppo di esperti a decidere le tecnologie migliori per la costruzione dell’inceneritore per la città di Torino, e convintamente difendevo quella scelta in molte animate assemblee pubbliche, oggi ritengo che occorra intensificare il recupero della materia e non solo quello di energia dai rifiuti: raccolta differenziata, valorizzazione dell’umido, biometano, eccetera.
In questa accezione più ampia di economia circolare, basata sui rifiuti, probabilmente saranno sufficienti gli inceneritori che abbiamo costruito e magari, progressivamente, potremo dismetterne alcuni.
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