Torre: "Vogliamo dare alla e-mobility una dimensione di mercato"











di MASSIMO VENTURA
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Giusto un anno fa Nuova Energia, incontrando gli esperti di e-mobility di Duferco Energia aveva raccolto una certa preoccupazione per il settore, che in Italia - nonostante molti buoni propositi e qualche concreto progetto attuativo - “stava comunque vivendo un momento di elevata confusione sul tema”.















Ripartiamo da quello spunto con Sergio Torre, direttore Business Development di Duferco Energia.

Cosa si è mosso in questi mesi e come valuta l’attuale contesto operativo?
A livello regolatorio non è variato molto negli ultimi 12 mesi. Vi sono stati incontri e annunci, ma non ancora una vera e propria svolta nel settore.
Dal punto di visto europeo, oltre all’AFID, ci sono sempre più indicazioni sulla necessità di garantire il libero mercato e non creare situazioni di monopolio, temi che ci trovano molto in sintonia. In Italia, inizia ad essere più evidente la difficoltà della gestione di una rete di ricarica e pertanto si inizia a capire che i punti di ricarica non sono semplici prese o pompe di benzina ma sistemi avanzati che devono avere SLA (Service Level Agreemeent) di servizio e una gestione di ottimo livello.
Ancora oggi non vi è uniformità a livello locale sui criteri per l’adozione di soluzioni per la ricarica pubblica e ancora non sono stati spesi la quasi totalità dei fondi PNire destinati alle Regioni dal Ministero delle infrastrutture e Trasporti e dalle Regioni a privati e Comuni.
La situazione dovrebbe sbloccarsi in autunno e noi operatori siamo alla finestra per dare il nostro contributo e ricevere supporto.


Non vi sono, inoltre, gli incentivi all’acquisto dei veicoli elettrici, se si eccettuano alcune esperienze locali...

Vero. Tra le poche eccezioni vorrei segnalare le misure a sostegno della mobilità sostenibile in Alto Adige. All’interno del pacchetto #viaggiaresmart la Provincia Autonoma di Bolzano (Gruppo di lavoro Green Mobility) ha previsto incentivi fino a 4.000 euro (2.000 di contributo provinciale e pari importo da parte del venditore) per l’acquisto di auto elettriche, e altri incentivi fino a 1.000 euro per l’acquisto di stazioni di ricarica private. Vedremo se in una regione con una più che buona presenza di infrastrutture pubbliche di ricarica, gli incentivi avranno un effetto volano!
A inizio 2017 è stato, poi, pubblicato in Gazzetta Ufficiale decreto legislativo 257/2016 che costituisce l’ultimo recepimento dell’AFID e l’aggiornamento di alcune norme relative alla mobilità elettrica, come l’obbligatorietà di recepimento nei regolamenti comunali entro fine anno dell’obbligo di predisposizione di impianti di ricarica per veicoli elettrici negli edifici ad uso diverso da quello residenziale (ma non pubblici) di nuova costruzione superiori ai 500 metri quadrati e per i relativi interventi di ristrutturazione edilizia.
Confidando nell’assenza di una nuova proroga per una materia che ha origine nel 2012, tali misure appaiono rafforzative degli interventi per la mobilità elettrica.


Dunque, cosa manca ancora veramente nel nostro Paese?
Il fatto che il tema della mobilità elettrica entri nell’opinione pubblica come negli altri Paesi. Ci si preoccupa dell’uso dei veicoli elettrici per 1.000 chilometri al mese quando, secondo le nostre stime, sono già stati percorsi oltre 40 milioni di km con auto elettriche in Italia negli ultimi 6 anni, ma nessuno lo sa!


L'equazione "più alto è il bonus sull'acquisto, maggiore è la quota mercato delle e-car" sembra quindi valere solo parzialmente.
Ce lo siamo in parte detti prima: no non è solo una questione di fondi ma di misure organiche a sostegno della mobilità elettrica e di opinione pubblica. Di per sé sono dell’idea che un mero finanziamento all’acquisto non sia l’unica strada percorribile: è vero che le vetture elettriche sono più care oggi della media delle soluzioni alternative in commercio o dello stesso modello a combustibile tradizionale, ma sempre più - ad esempio - vi sono soluzioni di noleggio a lungo termine (anche per i privati, ma soprattutto per una clientela business) che hanno canoni vantaggiosi per vetture full electric o ibride plug.
Lo stesso bonus lo leggo più come un incentivo alla vendita per il concessionario che all’acquisto per l’utente: differenti politiche di marketing delle case automobilistiche o una valutazione comparativa con alcuni optional sulle vetture renderebbero il costo dei diversi modelli assai più vicino anche in caso di acquisto.
Le case automobilistiche, però, non stanno ancora investendo in comunicazione sull’elettrico. Alcune esperienze straniere ci confortano da questo punto di vista. È vero, in Norvegia e Olanda ci sono (o ci sono stati) forti incentivi all’acquisto; e in Francia un buon meccanismo bonus/malus per finanziare misure di supporto della mobilità elettrica.
Ma forse ciò che più ha funzionato e funziona, in queste e in altre esperienze, è l'approccio sistemico al tema: fondi per la realizzazione di punti di ricarica, limiti alle emissioni, campagne di comunicazione e politiche di gestione del traffico e dei trasporti.


Tornando in Italia...
Questa visione organica in Italia ancora forse manca, e manca una visione comune anche tra noi operatori della mobilità elettrica; tra chi riveste un ruolo primario e chi si affaccia solo ora ai servizi di ricarica. Personalmente ritengo che un aumento della deducibilità del costo per i veicoli elettrici aziendali in car-pool, fringe-benefit o strumentali, sia uno strumento facile e immediato che può andare incontro anche all’esigenza degli operatori che impiegano veicoli tradizionali per uso strumentale e vogliono iniziare a ridurre le esternalità del loro servizio.
Gli esempi di molte città, che stanno agevolando l’uso dei veicoli elettrici anche attraverso soste gratuite e altri meccanismi di questo tipo, poi, sono ottimi e stanno generando i primi risultati concreti.


Come stanno affrontando gli altri Paesi la questione infrastrutturale?
Mi sembra che alcuni punti ancora aperti in Italia siano già stati smarcati in molti Stati a noi vicini. Non è detto, però, che le soluzioni adottate all'estero sono state (o saranno) necessariamente migliori delle nostre.
La mia recente esperienza con le infrastrutture di ricarica francesi nella zona di Tolone e Hyeres - durante una breve vacanza - ha evidenziato che anche l’erba del vicino non è poi così verde! Proviamo, dunque, a concentrarci sul nostro Paese senza per forza guardare alle soluzioni degli altro, visto che ogni nazione ha il suo contesto: dalle politiche energetiche alla qualità delle infrastrutture elettriche, pre-esistenti alla rete di ricarica.
In Italia abbiamo una produzione da fonte rinnovabile che può certamente garantire ricariche cento per cento green anche a fronte di un’esplosione repentina della mobilità elettrica, a cui si affianca il contributo degli interventi di efficientamento energetico che potranno ulteriormente dare una mano a soddisfare adeguatamente la domanda futura. Ricordiamo sempre che la semplice conversione a LED di tutta l’illuminazione pubblica italiana potrebbe far risparmiare un quantitativo di energia utile per ricaricare oltre 1.000.000 di veicoli elettrici!
Basterebbe forse aver seguito, o seguire, i dettami del PNire sul percorso di sviluppo dell’infrastruttura pubblica di ricarica e dare seguito ai finanziamenti per la creazione, ad esempio, di una rete di infrastrutture di ricarica veloci, le fast charge in corrente continua (DC). In Italia vi sono forse pienamente operative 30 infrastrutture, di cui solo una sul principale circuito di ricarica nazionale!


Come sta affrontando la questione Duferco Energia?
Come Duferco Energia rendiamo ai nostri utenti interoperabili la Fast Charge di Enel a Pomezia e le due di Alperia Smart Mobility in provincia di Bolzano; entro fine anno renderemo operative 4 stazioni di ricarica fast charge tra Ventimiglia e Genova nell’ambito del progetto Unit-E della Comunità Europea per collegare tramite infrastrutture veloci (ogni 50 chilometri) Genova e Dublino.
Su queste sarà operativo anche il roaming con l’estero. Abbiamo, inoltre, una rete di oltre 1.500 punti di ricarica su circuiti nazionali, cioè pienamente accessibili all’utente con un unico sistema di autenticazione, per oltre la metà di Tipo 2, lo standard europeo per la ricarica di auto elettriche, con potenza fino a 22 kW.
Non in tutta Europa è così. In Francia molte colonnine pubbliche hanno ancora una ricarica con il vecchio standard 3C o con presa Shucko, quindi assai più lenta. Su questo siamo stati più bravi noi...


L'impressione è che nel nostro Paese molto sia lasciato alla libera iniziativa del privato, alle singole utility che realizzano poi sul territorio i loro progetti. Di questo passo ce la facciamo a rispettare gli impegni del già citato PNire?
Se guardiamo alla road map del primo PNire molti impegni sono già stati disattesi, il numero di infrastrutture e la loro distribuzione su tutti. Però non direi che molto è lasciato alla libera iniziativa del privato, o almeno non ancora: il privato ha difficoltà a investire nella mobilità elettrica e va incoraggiato.
Parlerei, invece, di libera iniziativa delle pubbliche amministrazioni, degli enti territoriali: alcuni si muovono bene, altri meno. Ancora una volta, manca quella regia, quella visione organica che ha ben funzionato in altri Paesi e che il PNire solo in parte è riuscito a trasmettere e far scaricare a terra. Oggi dobbiamo puntare sull’interoperabilità tra operatori e su sistemi facili di accesso spot alle infrastrutture: come Duferco Energia vorremmo al più presto trovare l’accordo con Enel Energia e A2A per mettere a perimetro le tre principali reti nazionali.
E poi, con gli altri operatori. Contemporaneamente sui punti di ricarica da noi direttamente gestiti (oltre 100 tra Valle d’Aosta, Liguria e alcune infrastrutture in Piemonte e Lombardia) abbiamo attivato il servizio di ricarica via smartphone, attraverso la nostra APP D-Mobility. Inoltre - primi in Italia - forniamo la possibilità di attivare la ricarica con un semplice SMS, pagando l’ora della sessione ricarica con il credito telefonico.


Quali sono le motivazioni che spingono una realtà come Duferco a investire in questo settore?
Forse le stesse che ci hanno fatto portare avanti il progetto Venice Cruise 2.0, o l'impiego del biogas, o lo sviluppo degli impianti da fonte rinnovabile o la ESCo per l’efficienza energetica o tutti gli altri progetti innovativi che abbiamo in pipeline: il Gruppo Duferco crede fortemente nello sviluppo sostenibile. La passione del management e del gruppo di lavoro impegnato sul progetto è certamente un elemento trainante.
La proprietà e la direzione aziendale danno fiducia a queste iniziative, consapevoli di fare un investimento di medio o lungo termine. Crediamo alla mobilità elettrica come settore di mercato, di business, e non per mera utilità di marketing o di brand awareness.
Abbiamo attivato un servizio di supporto tecnico 24 ore, tutti i giorni, in tre lingue, abbiamo promosso diverse manifestazioni a contatto con utenti attuali della mobilità elettrica e semplici appassionati di tecnologia, e agiamo oramai come attore riconosciuto a livello istituzionale: è un mix tutto nuovo che sta facendo crescere quotidianamente chi lavora sul progetto, ragazzi giovani e con solo in minima parte importanti esperienze pregresse.


Quali sono i vostri obiettivi di medio e lungo periodo?
Favorire lo sviluppo del settore, essere riconosciuti come provider di servizi innovativi ed efficienti, contribuire all’infrastrutturazione del nostro Paese potrebbero essere alcuni punti della nostra mission non scritta. Ognuno deve fare il suo pezzettino di filiera: le case automobilistiche proporre i modelli, c’è una rete (quella del distributore) che deve essere integrata, e ci devono essere i provider di servizi.
Su questi ultimi due aspetti possiamo dire la nostra, ricercando sinergia anche con le case automobilistiche e dialogando con enti locali e pubblica amministrazione, a cui riconosciamo un ruolo propulsivo, facilitatore ma non di mercato.
Ecco, dare alla mobilità elettrica una dimensione di mercato, far percepire la mobilità elettrica come un valore e vedere crescere il numero delle vetture elettriche vendute e circolanti, grazie alla fiducia generata nei servizi che trovano supporto in una rete sempre migliore, può essere considerato un altro nostro obiettivo.
Quando parlo di rete di ricarica intendo sì la ricarica pubblica, ma anche quella privata. Come attore a tutto tondo del mercato dell’energia stiamo sviluppando soluzioni semplici, chiare ed economiche anche per la ricarica domestica e privata a uso pubblico. Le nostre auto stanno molto ferme nei box di casa e nei garage aziendali; lì devono trovare soluzioni di ricarica!


Se potesse mandare un appello in versione tweet al ministro Carlo Calenda cosa gli scriverebbe? ...O forse lo vorrebbe indirizzare a un'altra figura istituzionale?
È curioso che mi abbia subito proposto il ministro Calenda, ovviamente per la competenza del suo Ministero sui temi energetici. Ho citato molte volte il MIT, ma su alcuni temi e filoni di finanziamento ha voce in capitolo anche il Ministero dell’Ambiente. Di mobilità elettrica sembra vogliano occuparsene in molti, ma che nessuno abbia facilità a decidere.
Forse il lavoro più completo l’ha fatto il vice segretario generale alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, l’onorevole Raffaele Tiscar, guidando il tavolo sulla Roadmap per la mobilità sostenibile al 2030 presentato prima dell’estate. In ogni caso, al ministro Calenda chiederei di considerare la mobilità elettrica come un asset strategico per lo sviluppo della nostra economia e, soprattutto, di pianificare al meglio l’utilizzo dei circa 30 milioni di investimenti che il Governo ha previsto per le infrastrutture di ricarica per favorire la crescita di una filiera economica nazionale di primo livello.


Traducendo questo in un tweet?
La mobilità elettrica è una scelta di sviluppo sostenibile imprescindibile per il nostro Paese, che sarà volano di crescita per molti altri settori. Cosa aspettiamo?


© nuovaenergia | RIPRODUZIONE RISERVATA

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