Poletti: "Concorrenza? C'è ancora molto da lavorare"

di Davide Canevari

Giusto mezzo secolo fa lo Iefe-Bocconi firmava le sue prime ricerche in campo energetico e ambientale, ponendo le basi per diventare uno dei più autorevoli punti di riferimento in materia, non solo su scala nazionale. Da pochi mesi, sulla poltrona di direttore del prestigioso istituto milanese siede Clara Poletti, proprio nel momento in
cui il comparto energia sta vivendo una delle sue fasi più dinamiche dal punto di vista economico, politico e sociale. Il primo spunto di riflessione è offerto – inevitabilmente – dall’imminente liberalizzazione finale del mercato elettrico.

Come è percepito, da parte delle aziende, questo cambiamento epocale per il mercato italiano?
Alcuni segnali sono evidenti. Essendo in costante contatto con le aziende del settore, percepiamo che il concetto stesso di liberalizzazione ha portato a una nuova cultura della domanda. Un tempo avevamo una bassissima interazione con il cliente, che era considerato un soggetto passivo. L’offerta nei suoi confronti era unidirezionale. Oggi il cliente è sempre più consapevole e l’azienda cerca quindi di modulare la propria offerta e di presentare prodotti differenti e soluzioni ad ampio spettro.

Cosa cambierà, a questo punto, il 1° luglio?
Il sistema ha lavorato per anni dietro le quinte. Liberalizzare i clienti di massa è molto più complesso di quanto possa sembrare (si pensi ai sistemi informativi e di fatturazione, o alle procedure di switching). Nel recente passato molti di questi tasselli sono stati messi a punto ed è stata così creata l’infrastruttura di base.
Occorreva,tuttavia,approfondire di più gli aspetti del disegno del mercato e delle tutele per il consumatore. Fino ad oggi gli utilizzatori hanno avuto una di rete sicurezza; e dopo? C’è sicuramente bisogno di un sistema articolato di tutela, e su questo fronte siamo in ritardo; più si aspetta e più si tende inevitabilmente ad avvantaggiare posizioni già oggi in essere.

Quali soluzioni suggerisce?
L’idea di gestire un transitorio per tutto il 2007 senza pensare di implementare tutto e subito in poche settimane, potrebbe essere la strada migliore da percorrere. Anche perché l’orizzonte dei contratti in Italia è tipicamente annuale. Non dobbiamo,in altre parole, farci prendere dall’ansia del 1°luglio.

Quanto può servire l’esperienza già accumulata?
Il passaggio dai grandi clienti alle utenze domestiche non è così immediato come potrebbe sembrare. Il grande cliente, in genere, è più consapevole e ha maggiori strumenti di difesa nei confronti del mercato, che inevitabilmente in queste fasi transitorie vive momenti di distorsione, frizione, opacità. D’altra parte, ad oggi, tra i clienti domestici la consapevolezza che dal 1° luglio parte la liberalizzazione è ancora molto ridotta.

Ma, sinceramente,per il piccolo cliente finale cambierà qualcosa?
Occorre porci una domanda di fondo: da dove possiamo aspettarci dei benefici? Non, sostanzialmente, dalla fase di commercializzazione. Se ci sono più venditori a valle, ma a monte non si ha adeguata concorrenza, non ci si possono certo attendere dei miracoli. È a monte della filiera che occorre operare; la vera sfida è sull’aumento della concorrenza nei mercati all’ingrosso. Come è emerso dalle recenti indagini della Commissione europea, nel comparto gas il grado di sviluppo della concorrenza è ancora ridotto; e con l’energia elettrica non va molto meglio. Quindi
bisogna ancora lavorare parecchio.

Ma la tendenza a nuove aggregazioni, al ritorno dei campioni nazionali, a un possibile scenario nel quale in tutta Europa rimarranno pochi gruppi, non “rema contro” queste prospettive?

"OGGI, TROPPO SPESSO,
IL MERCATO È
ANCORA MOLTO CONCENTRATO
E SI STA SPOSTANDO
VERSO SCENARI OLIGOPOLISTICI
"

Dobbiamo ricordarci che la dimensione dei mercati è ancora nazionale e che un aumento della concorrenza deve passare attraverso uno snellimento,in ciascun Paese, dei campioni nazionali e un aumento del numero e della dimensione dei concorrenti. In Italia siamo partiti da un contesto nel quale c’era un solo grande operatore e poche altre aziende di piccole dimensioni. Oggi la situazione è profondamente diversa, ma il mercato è ancora molto concentrato e si sta spostando verso scenari oligopolistici. Questo richiede di moltiplicare le attenzioni e intensificare il monitoraggio dei mercati per evitare problemi di collusione. Da questo punto di vista abbiamo come Paese le potenzialità per operare bene: l’Italia ha un sistema di monitoraggio e una disponibilità di dati tra i più efficienti e completi in Europa. Il che facilita un’attività di controllo e l’eventuale sanzione di comportamenti contrari alla concorrenza.

Sempre in tema di concorrenza, il quadro è forse più complesso nel settore gas. In Italia tiene banco ormai da tempo la questione della separazione della rete, mentre l’Europa sembra sempre più vulnerabile nei confronti dei fornitori stranieri.

"L'EUROPA DEVE POTERSI PRESENTARE CON UNA POLITICA ENERGETICA SOLIDA E CONDIVISA DA PARTE DEI VARI STATI"

Il vero punto è questo. La materia prima è essenzialmente di provenienza straniera; le scelte dovrebbero quindi essere fatte con un coordinamento a livello comunitario. L’Europa deve potersi presentare con una politica energetica solida e condivisa da parte dei vari Stati. Come Iefe siamo molto sensibili a questi aspetti e abbiamo posto tra le priorità del piano di ricerca triennale proprio lo studio delle problematiche legate all’approvvigionamento e alla dipendenza.

Quali altri ambiti di ricerca avete programmato di approfondire?
L’integrazione dei mercati e lo studio delle barriere che si frappongono alla costituzione di un vero mercato comunitario; la politica energetica e la politica ambientale, sempre più legate a meccanismi di mercato (si pensi all’emission trading). Molto importante, da questo punto di vista, è recuperare una visione organica, in grado di coordinare i vari strumenti. Spesso, invece, le decisioni riguardanti il contenimento delle emissioni di gas serra e la promozione delle rinnovabili – per fare un esempio – sono prese in maniera autonoma e sconnessa.
Altro filone di ricerca, gli aspetti della regolamentazione in un mercato in fase di liberalizzazione. La liberalizzazione ha portato ad organizzazioni settoriali in cui attività libere convivono con attività regolate e gli operatori sono presenti in diverse fasi della stessa filiera o in una pluralità di mercati. Pertanto, dal punto di vista della regolamentazione, ai problemi di controllo dei prezzi si affiancano nuove questioni. E questo richiama in causa, tra l’altro, l’esigenza di approfondire gli aspetti legati alla tutela del consumatore.

Si parlava prima di Europa unita. Ma a dire il vero i 27 Paesi appaiono spesso divisi da profonde differenze in campo energetico. Come conciliare le esigenze di chi, ad esempio, vive quasi solo di gas e di chi invece ha ancora una struttura produttiva basata essenzialmente sul nucleare?
Per questa ragione l’Europa ha deciso di promuovere la logica delle macro regioni, provando a riunire attorno a un tavolo gruppi di Paesi con problemi comuni o con la possibilità di sviluppare sinergie, e “imponendo” loro una integrazione dei mercati. Favorire le interconnessioni tra aree contigue, anche per accrescere la “solidarietà” nell’immediato, appare una strategia più proficua rispetto al tentativo di portare avanti politiche comuni a tutti e 27 i Paesi. L’Italia, ad esempio, per quanto riguarda l’elettricità è presente in un sottogruppo con Francia, Austria, Germania, Grecia e Slovenia. E proprio per gli aspetti inerenti l’energia elettrica è leader in qualità di regolatore e sta lavorando assiduamente all’integrazione dei mercati.

Quanto sono vincolanti le scelte e le decisioni di queste macro aree?
Sono rese note e pubblicate ufficialmente. Hanno quindi un loro fondamento e una loro visibilità. Detto ciò, un Paese come la Francia fa parte della macro area in cui è presente anche l’Italia; ma nello stesso tempo è coinvolto in altri gruppi di Paesi. Per cui il risultato finale dell’integrazione non è così scontato. Dipende da quale modello tende a prevalere. È tuttavia già un buon passo in avanti quello di creare una cultura di mercati dell’energia davvero comuni.

L’Italia ha una posizione strategica nel contesto comunitario e molti esperti del settore vorrebbero affidare al nostro Paese il ruolo di hub per una parte consistente dell’Europa. Come giudica questa opportunità?
Il vero problema riguarda la possibilità di realizzare effettivamente le opere. E questo vale per le reti elettriche e per i gasdotti, per i rigassificatori o gli inceneritori, per gli impianti tradizionali o per le centrali da fonti rinnovabili. Come ho già detto in precedenza, lo Iefe ha tra i suoi finanziatori molte delle imprese del settore energetico italiano e ha quindi il polso della situazione diretto sui loro desiderata e sulle loro priorità. Il problema percepito da tutti come prioritario è proprio quello della difficoltà di realizzare nuove opere. Anche quando c’è l’interesse economico dell’operatore, troppo spesso il processo si blocca per problemi che sorgono a livello territoriale.

La questione scottante dell’accettabilità sociale?
Certamente, ma non solo. C’è anche il problema dei vari livelli decisionali che spesso complicano il normale iter procedurale. Uno dei programmi di ricerca che è ci stato esplicitamente chiesto dagli operatori riguarda proprio l ’approfondimento di casi studio in Italia e all’estero per capire come mai, a parità di opere e di potenziale impatto sul territorio, nazioni come ad esempio la Spagna hanno tassi di successo in termini di nuove realizzazioni superiori ai nostri.
La situazione generale delle ricerca in Italia, e in particolare della ricerca nel settore energetico, non appare esaltante.

Qual è il suo punto di vista al riguardo?
Per quanto riguarda gli aspetti economici ci sono ancora margini per portare avanti ricerche importanti, in particolare proprio per quanto riguarda l’energia. Come Iefe stiamo cercando di farlo, entrando nel dibattito internazionale con un taglio spiccatamente economico e rafforzando l’interazione con altri approcci più ingegneristici o giuridici, visto che oggi più che mai non ha più senso parlare di una ricerca monodimensionale.
Più in generale,certamente in Italia servirebbe un salto di qualità e finora le problematiche della ricerca in campo energetico sono state affrontate con una certa miopia.

È un problema di pubblico e privato?

"LA RICERCA NON PUÓ VIVERE DI SEI MESI IN SEI MESI,
BASANDOSI SOLO SUI RISULTATI CHE
DEVE OTTENERE NEL BREVE PERIODO
"

Prima ancora di parlare di pubblico e privato penso sia fondamentale capire qual è l’orizzonte temporale ideale per una ricerca. Il fatto di dipendere da commesse, spesso di breve periodo, è ad esempio un forte limite per chi aspira a una ricerca di ampio respiro. Quest’anno la Bocconi, insieme a grandi aziende, ha deciso di investire nelle nostre attività garantendoci un orizzonte temporale più ampio. E questo ci ha consentito – per la prima volta – di elaborare un piano triennale, più completo, ambizioso, articolato. La ricerca non può vivere di sei mesi in sei mesi, basandosi solo sui risultati che deve ottenere nel breve periodo. Detto questo, il ruolo dei privati è fondamentale, ma senza un adeguato supporto pubblico è difficile che si possano raggiungere risultati di eccellenza a livello internazionale.