Sindacato ed energia: nostalgia per gli anni d'oro

di Giacomo Berni, Segretario Nazionale FILCEM - CGIL

Il contributo del territorio di Piacenza alla produzione nazionale di energia è stato particolarmente significativo, arrivando a produrre il 12 per cento del fabbisogno nazionale; e questo si è sviluppato negli anni: dalla prima centrale elettrica dell’Edison Adamello al recentissimo impianto a ciclo combinato a gas di Edipower,sorto sulla ceneri della vecchia centrale Levante di proprietà dell’Enel. La storia del polo elettrico piacentino è parte integrante della storia del sindacato italiano; ed è una storia che ha subìto,in particolare nell’ultimo decennio, un ridimensionamento notevolissimo: si è dimezzata l’occupazione. E si sono marginalizzati – e in alcuni casi, chiusi i centri di eccellenza inerenti le attività di formazione, analisi e ricerca, documentazione e supporto tecnico-gestionale, presenti sul territorio.
Negli anni le iniziative del sindacato hanno avuto l’obiettivo principale di intervenire sui processi per modificarne le possibili ricadute negative. A partire dall’aspetto sicurezza, durante le attività di costruzione degli impianti sul territorio piacentino: nella metà degli Anni‘60 (Cantieri di Piacenza Levante, di La Casella e di Isola Serafini), poi negli Anni ‘70 e ‘80 (Cantiere di Caorso) e negli Anni ‘90 (Cantiere di Sarmato e per l’ambientalizzazione di La Casella) fino praticamente ai giorni nostri (Cantieri per la riconversioni di La Casella e Piacenza).
Molti accordi importanti, negli anni,sono stati poi presi come punto di riferimento per altre realtà cantieristiche anche a livello nazionale. Un esempio in tal senso è il primo accordo interaziendale firmato al Cantiere di La Casella agli inizi degli Anni ‘70,dove per la prima volta nel nostro Paese e forse in Europa, viene individuata una struttura eletta dai lavoratori dedicata all’attività di prevenzione antinfortunistica con un suo monte ore specifico.
Le esperienze dei cantieri piacentini,in particolare di La Casella prima e di Caorso poi, sono state la base su cui si sono intrecciate altre esperienze in altri cantieri d’Italia in particolare dell’Enel, che hanno arricchito e migliorato gli accordi piacentini con l’obiettivo di determinare le condizioni del “cantiere sicuro”. Esperienze queste che,in particolare sulla questione della sicurezza, sono state di riferimento per la Commissione Ministeriale che ha elaborato poi il testo di quell’ottima legge che è la 626/94, purtroppo finora mal applicata o applicata in modo solo procedurale e burocratico.
Altro esempio. Se oggi parliamo del problema amianto, subito lo colleghiamo ai rischi mortali e alla certificazione per ottenere la pensione anticipata, senza considerare tutto il lavoro che è stato fatto al riguardo, anche nei nostri impianti. Proprio alla centrale di Piacenza, per esempio, in occasione di un importante intervento di manutenzione che imponeva la scoibentazione dell’impianto, si raggiunse un accordo che per anni fu di riferimento anche a livello nazionale.
L’intreccio con la continua e velocissima evoluzione delle tecnologie impiegate per la produzione elettrica hanno reso ancora più complesso e difficile l’impegno del sindacato e il suo sforzo per essere all’altezza della situazione. Il punto più alto si determina a Caorso – un cantiere che ha avuto delle punte di oltre 2.000 tra operai e tecnici – con l’arrivo del nucleare che porta con sé novità molto significative sul piano tecnico, realizzativo, procedurale e normativo.
L’impatto sul territorio del cantiere e poi della centrale di Caorso fu enorme e coinvolse tutti gli aspetti, da quelli giuridico-normativi a quelli tecnico-scientifici e a quelli della comunicazione e della partecipazione.
Per il sindacato la sicurezza e le garanzie per i lavoratori e per il territorio furono così prioritarie da indurre l’Enel a presentarsi agli incontri più importanti con una delegazione interdirezionale, presieduta da un consigliere di amministrazione e successivamente dal direttore generale. Questa attenzione e questo impegno continuo da parte sindacale e delle istituzioni piacentine ha avuto come risultato quello di indurre l’Ente elettrico ad individuare Piacenza come sede di un vero e proprio Polo Energetico sul quale investire, non solo in impianti e nella rete di distribuzione di energia elettrica, ma anche in quello che sarà definito terziario avanzato Enel.
Questo ha avuto come punto di partenza il Laboratorio DCO e la Siet (di entrambi si parla in questo stesso dossier); in seguito Piacenza diventerà anche sede di un centro documentazione, di un centro di addestramento dotato di simulatori – sino ad allora i tecnici di Caorso andavano ad addestrarsi negli Stati Uniti e in Spagna – con valenza nazionale per l’area della produzione elettrica, nonché di un impianto sperimentale di itticoltura presso la Centrale di La Casella.
Per il sindacato questo ha rappresentato un risultato importante e per le amministrazioni un punto di eccellenza da mettere in sinergia con la scuola e l’università, al fine di determinare le condizioni per nuovi lavori e per una “buona” occupazione.
Arriva poi il 1999, l’anno della liberalizzazione del settore elettrico: l’Enel, già trasformata in società per azioni, da qualche anno è tutta concentrata sulla ristrutturazione interna e sulla remunerazione delle azioni in Borsa. La fermata definitiva di Caorso prima e poi la cessione delle Genco, rendono nelle strategie dell’Azienda del tutto ininfluenti le sorti di quel che rimane del cosiddetto terziario avanzato a Piacenza, che poco alla volta ma con determinazione viene quasi azzerato e sacrificato alle esigenze di frettolose riorganizzazioni e di tagli dei costi.
Il centro di documentazione, che aveva un rapporto molto utile e positivo con le scuole di Piacenza e non solo, viene chiuso così come l’impianto di itticoltura di La Casella; il Laboratorio DCO viene prima ridimensionato e poi ceduto al Cesi; il Centro di addestramento viene ridotto ai minimi termini. Le responsabilità principali sono certamente da addebitare ai vertici Enel, che invece di riorganizzare e riconvertire, hanno scelto la più facile scorciatoia del taglio di tutto ciò che non era legato al mercato e alla vendita del kWh, forzando l’istituto dell’esodo incentivato per la fuoriuscita del personale.
Una domanda è d’obbligo e possiamo quindi rivolgerla a tutti: perché non c'è stata la voglia e la determinazione di reinventarsi nel nuovo e, viceversa, ci si è attardati a difendere l'esistente anche quando si sapeva che questa strategia avrebbe portato inevitabilmente allo svuotamento successivo di quanto esisteva? Dove è sparito quello spirito pionieristico che era stato alla base e aveva guidato la fase di implementazione del polo elettrico piacentino?
In questo momento,invece, oltre al dimezzamento occupazionale del settore, dobbiamo fare i conti con quel che resta di Caorso. In Sogin è stato, di recente,opportunamente nominato un nuovo consiglio di amministrazione e un nuovo amministratore delegato. Persone competenti e un manager che abbiamo potuto apprezzare per l'opera prestata precedentemente in Enel, ai quali chiediamo prima di tutto di ridare credibilità alla società, certezza che il decommissioning procederà senza ulteriori ritardi nella massima sicurezza e trasparenza, di valorizzare le risorse e le competenze umane presenti, frustrate dalle vicissitudini del passato. E, perché no, di immaginare un futuro per la Sogin oltre la conclusione del decommissioning.