Per l’Italia la nouvelle cuisine è nella dieta mediterranea

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Fra gli elementi che più condizioneranno gli sviluppi energetici del nostro Paese non vanno sottostimate le conseguenze dell’accordo di Parigi (dicembre 2015) in difesa dell’ambiente. L’accordo è stato accompagnato da diversi squilli di tromba: 196 Paesi si sono impegnati a cooperare per ridurre i cambiamenti climatici.


Il raggiungimento dell’accordo trova le sue radici nell’impegno assunto dai due principali responsabili delle emissioni, Cina e USA, che si sono impegnati a ratificare entro la fine dell’anno.
L’evoluzione della politica cinese percorre binari abbastanza opachi, per cui è difficile qualunque previsione, ma la volontà politica sembra abbastanza ferma.La politica americana è certamente più trasparente nei confronti dell’opinione pubblica, ma non mancano segnali di incerta decifrazione, che lasciano intravvedere un cammino non proprio in discesa.
È probabile (ma incerto) che la ratifica avvenga durante la presidenza Obama, mentre è assai significativo che, secondo le clausole dell’accordo, in caso di avvenuta ratifica, chi sia colto da ripensamenti debba aspettare almeno quattro anni; il che esclude che ad eventuali avvicendamenti presidenziali possano seguire precipitose retromarce.

Assai più chiara e determinata è la posizione degli Stati europei, nessuno dei quali, a livello di decisione politica, è attraversato da remore particolari, almeno in superficie.
L’obiettivo più eclatante dell’accordo riguarda la limitazione a 1,5 °C del riscaldamento globale entro il 2050. Ciò postula la drastica riduzione dell’emissione di gas serra di origine antropica, sino all’annullamento completo. Come osservato dal segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon, ciò significa la fine dell’era degli aumenti spensierati dei consumi.[...]

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