Primo mattone della smart city: l’informazione |
di Agime Gerbeti
Ogni volta che pensiamo a una smart city ci vengono in mente i tablet, essenziali, puliti, tecnologici, gli smart watch brandizzati al fitness e alla salute, ci vengono proposte immagini di persone giovani, belle, felici che fanno running in una città cablata e piena di verde, che si divertono con gli amici o creano musica in streaming con musicisti sparsi per il mondo, una sorta di pubblicità di un mulino bianco tecnologico e ambientale.
Andiamo ai convegni e ci spiegano come il wi-fi gratuito per tutti consente - alla città norvegese tal dei tali - di abbattere la CO2, migliorare i servizi metropolitani e aumentare il PIL; e si chiedono implicitamente “perché da noi no?”
Con regolarità dal Parlamento ci informano che la banda larga è essenziale per le nostre imprese e per i servizi e-government, infatti ci lavorano senza sosta ormai da 12 anni.
Una volta comprato l’ultimo melafonino, che la pubblicità ci assicura permette di viaggiare nel tempo (ma è pericoloso farlo!), e soddisfatto il nostro consumismo tecnologico, distogliamo lo sguardo e osserviamoci intorno.
Le metropoli nelle quali viviamo mancano dei servizi essenziali - e per la cronaca la banda larga è stata definita servizio universale già dal 2005 in Finlandia, Spagna e Svizzera - accolgono nei centri storici giganteschi camion per il trasporto merci che risalgono agli anni ‘70, il che non è il massimo se lo si segue con una macchina elettrica; [...]
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