L’Italia paga a caro prezzo l’elettricità e qualche errore
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di Guido Possa



A distanza di 16 anni dal decreto legislativo Bersani del marzo 1999, che aveva introdotto nel nostro Paese la concorrenza del mercato nella produzione elettrica, gli obiettivi promessi da tale liberalizzazione non sono stati pienamente raggiunti. I costi dell’energia elettrica per l’utenza finale, che già erano elevati nel 1999, sono oggi ancora più alti, nonostante i forti investimenti operati in moderni impianti a gas a ciclo combinato, e hanno raggiunto nel 2013 il massimo storico di 185,3 euro/MWh.
I costi per gli utenti industriali italiani sono superiori di oltre il 30 per cento rispetto a quelli medi UE (e superiori di oltre il 75-100 per cento a quelli per l’industria francese). L’Italia continua ad essere un Paese importatore di energia elettrica (il principale all’interno della UE), come prima del 1999.
Il saldo netto tra importazioni e esportazioni si è assestato in questi ultimi anni tra 40 e 50 TWh (tra il 13 e il 14 per cento dell’energia elettrica richiesta dalla rete italiana); le importazioni sono limitate non dalla competitività delle imprese produttrici italiane, ma dalla capacità di carico delle linee elettriche che attraversano le Alpi.


Le ragioni che hanno impedito i previsti effetti positivi dell’introduzione del mercato della produzione sul prezzo dell’energia elettrica, sono ben evidenziate dall’esame delle principali componenti della bolletta elettrica. Come evidenzia la monografia RSE Energia elettrica Anatomia dei costi, nel 2013 il ricavo conseguito dai produttori nazionali di energia elettrica e dagli importatori è stato di 18,945 miliardi di euro, cifra pari al 34,5 per cento del totale della bolletta elettrica (54,938 miliardi di euro).
È solo in questo limitato ambito che opera il mercato. Nel rimanente 65,5 per cento della bolletta le varie voci di costo sono sostanzialmente al di fuori della logica della concorrenza. [...]

©nuovaenergia

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