di Elio Smedile
Nello scorso mese di aprile sugli organi di stampa nazionali e locali, nonché su alcune emittenti radiofoniche e televisive, è apparsa una parola – pastazzo – con tutta probabilità sconosciuta alla maggior parte degli italiani. Si tratta di un rifiuto agroindustriale finora limitatamente utilizzato in agricoltura come ammendante organico, ma scarsamente preso in considerazione come materiale il cui sfruttamento potesse rappresentare una potenziale fonte di energia rinnovabile.
Il pastazzo come fonte di energia è balzato agli onori della cronaca in seguito all’annuncio di un progetto di ricerca (Energia dagli Agrumi: una opportunità per l’intera filiera) finanziato da un brand famoso, la Coca Cola, tramite l’organizzazione non-profit Coca-Cola Foundation.
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Dento il pastazzo
Micro curriculum del pastazzo, così come risulta da un approfondimento dell’Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria.
I principali prodotti della lavorazione degli agrumi sono: il succo (35-45 per cento), gli oli essenziali (0,2-0,5 per cento) e il pastazzo fresco (55-65 per cento). Il pastazzo è una biomassa vegetale che comprende scorze, detriti di polpa, semi, frutti di scarto, eccetera.
Il pastazzo fresco di agrumi è costituito da acqua (75-80 per cento), mono e disaccaridi (6-8 per cento), polisaccaridi (1,5-3 per cento), acidi organici (0,5- 1,5 per cento), amminoacidi, vitamine, pigmenti e sali minerali.
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Tale progetto è stato promosso dal Distretto Agrumi di Sicilia, con la collaborazione della Cooperativa per le energie rinnovabili Empedocle e il Dipartimento di agricoltura, alimentazione e ambiente dell’Università di Catania.
Il pastazzo, scarto umido della lavorazione degli agrumi, è stato finora classificato come un rifiuto speciale e come tale va smaltito generando costi non trascurabili, visto che rappresenta circa il 60 per cento del prodotto trattato.
L’obiettivo del progetto è economico e ambientale allo stesso tempo: trasformare un vincolo in una risorsa, un rifiuto in energia pulita e rinnovabile.
In realtà, l’idea non è una novità assoluta nel settore agricolo; ad esempio, da qualche decennio negli allevamenti di suini della Pianura Padana le deiezioni degli animali vengono trasformate per fermentazione anaerobica in biogas che viene in genere utilizzato per i fabbisogni energetici dell’azienda, riducendo in tal modo indirettamente i costi di produzione.[...]
©nuovaenergia
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