Il futuro del gas in Europa tra geopolitica e infrastrutture

di Vittorio D'Ermo

Il mercato europeo del gas negli ultimi venticinque anni è stato caratterizzato da un intenso ciclo d’espansione, imperniato da un lato sullo sviluppo della produzione interna e delle relative infrastrutture (in primo luogo Mare del Nord inglese e norvegese) e, dall'altro, sulla realizzazione di grandi reti di trasporto, e in misura minore di terminali di ricezione che hanno collegato i grandi mercati di consumo al Nord Africa, alla Russia, al Medio Oriente.
L’espansione del gas in Europa è avvenuta in forte sinergia con i profondi mutamenti dell’assetto istituzionale del settore energetico, che hanno interessato tutti i Paesi dell’Unione, e con le direttive per la liberalizzazione del mercato del gas,che ancora non hanno esaurito i loro effetti. Lo scenario energetico europeo appare dominato da prospettive molto positive per il gas naturale, l’unica fonte che può vantare un elevato livello d’accettabilità in relazione al suo basso impatto ambientale. Sugli ampi spazi di penetrazione del gas esiste un’ampia concordanza tra i maggiori centri di previsione che si attendono tassi di sviluppo sensibilmente superiori a quelli della domanda d’energia nel suo complesso. I fattori di sostegno della domanda dovrebbero rafforzarsi con particolare riferimento alla produzione di elettricità, dove si dovranno gradualmente sostituire molte delle centrali nucleari realizzate negli Anni ‘70 e ’80 con impianti termoelettrici per mancanza di ordini di nuovi reattori e anche a causa della mancata affermazione di nuove filiere.
La domanda di gas per l’Europa a 25, secondo le stime AIEE, in linea con quelle di Eurogas che però fanno riferimento all’Europa a 15, dovrebbe raggiungere i 550 miliardi di m 3 nel 2010, 600 miliardi nel 2015, 640 miliardi nel 2020 e 660 miliardi nel 2025.
Il ruolo del gas nel fabbisogno d’energia primaria dell’area dovrebbe aumentare dall’attuale 25% ad oltre il 30% nel 2025. A fronte di prospettive così interessanti per la domanda, quelle relative all’offerta stanno suscitando crescenti preoccupazioni, soprattutto relativamente alla dimensione sicurezza che è stata trascurata nel corso degli Anni ‘90 ma che oggi è tornata di grande attualità per le sempre maggiori tensioni di tipo geopolitico che interessano molti Paesi produttori di idrocarburi.
Il declino della produzione interna comporterà per i Paesi europei un fabbisogno d’importazioni nette dell’ordine di 360 miliardi di metri cubi al 2010, di 460 miliardi al 2015 e di addirittura 545 miliardi al 2020. Si tratta di quantitativi di enorme rilevanza non solo sul piano industriale e finanziario, ma anche su quello dei rapporti internazionali. La creazione di un’offerta adeguata richiederà un grande impegno e un salto qualitativo sul piano industriale e su quello politico. In particolare a nuovi gasdotti dovranno affiancarsi, con un peso molto più importante che nel recente passato, nuovi impianti di GNL. Il gas naturale liquefatto ha avuto, infatti, un ruolo relativamente limitato, con pochi Paesi europei interessati al suo sviluppo, tra cui la Spagna e la Francia. In prospettiva molti altri Stati europei si dovranno dotare d’infrastrutture di ricezione, anche con il ricorso a tecnologie innovative. I progetti già definiti e in via di definizione sono già molto numerosi, ma rappresentano solo un primo passo, e non tutti i Paesi europei sono allo stesso livello d’impegno. L’aumento del ruolo del GNL dovrebbe aumentare la flessibilità del sistema europeo e offrire un margine di sicurezza addizionale anche per la possibilità di aumentare in modo significativo la capacità di stoccaggio e gli acquisti di tipo spot rispetto a quelli garantiti da contratti di lungo termine. L’aumento del grado di flessibilità del sistema gas offerto dall’opzione GNL non esaurisce il problema dell’accesso alle risorse di gas e alla necessità di diversificare, nei limiti del possibile, il numero dei fornitori. L’attuale sistema di approvvigionamento è infatti caratterizzato dal ruolo dominante di Russia e Algeria, che dovrebbe essere bilanciato dall’ingresso di altri fornitori. Tra i Paesi che possono potenzialmente diventare interlocutori dell’Europa, di ancor maggior rilievo per entità delle riserve e caratteristiche politiche ed economiche, vi sono in primissimo piano le nazioni del Golfo come il Qatar, gli Emirati Arabi e l’Oman.
Questi Stati, in via di rapido sviluppo e scarsamente popolati, offrono garanzie di stabilità nei rapporti di collaborazione, e da tali rapporti possono ricavare non solo risorse economiche ma anche sicurezza sul piano politico, rispetto ad altre potenze regionali desiderose di accrescere la loro influenza politica, militare e anche religiosa (Iran). Nell’ambito del bacino del Mediterraneo spiccano, per il loro potenziale e la vicinanza geografica, l’Egitto, dove le scoperte di gas si sono andate intensificando in parallelo con l’aumento degli investimenti, e anche la Libia, che pur essendo stata tra i primi Paesi a sviluppare impianti di GNL, ha poi fortemente ridimensionato questo settore che presenta brillanti prospettive nella nuova dimensione del post-embargo e della collaborazione con l’Europa.
Esistono infine alcuni Paesi dell’Africa, come l’Angola, dove c’è spazio per aprire una stagione del GNL. Per risolvere i problemi connessi allo sviluppo del mercato del GNL non esistono soluzioni facili. Si richiede un grande impegno e un salto qualitativo sia sul piano industriale sia su quello della politica e delle relazioni internazionali. A questo proposito appare necessaria una visione geopolitica di ampio respiro, così come una forte sinergia tra politica estera e politica energetica. L’instaurazione di rapporti di collaborazione economica e sociale con i Paesi fornitori, in aggiunta alla collaborazione tecnica e industriale a livello d’impresa,è infatti un elemento fondamentale per attenuare i rischi di crisi d’approvvigionamento, in una fase molto delicata delle relazioni tra Occidente e mondo islamico.