Drilling
Nella stampa specializzata del 2 settembre 2014 è comparsa una notizia che non ha avuto il risalto che avrebbe meritato. Morgan Stanley, una delle più grandi banche d’affari americana, da sempre protagonista nel mondo del trading del petrolio, dell’energia e delle materie prime, ha presentato al Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti una richiesta per la costruzione di un terminale per l’esportazione di gas naturale da Fremont, in Florida. Non si tratta dell’ennesima richiesta di costruzione di un impianto di liquefazione del gas (LNG), ma per la prima volta si chiede l’approvazione per la costruzione di un terminale di CNG (Compressed Natural Gas) e la conseguente esportazione del gas compresso non verso l’Europa o verso l’Asia, ma verso i mercati regionali dei Caraibi.
Il mondo dei grandi affari e della finanza internazionale prende atto del tramonto della tecnologia LNG e dell’illusione di esportare lo shale gas americano verso i mercati, finora redditizi, europei e asiatici. La costruzione di un impianto LNG richiede investimenti colossali intorno (e oltre) 10 miliardi di dollari e tempi di realizzo fra sei e dieci anni. Per giustificare questi investimenti occorre un prezzo del gas di almeno 14-15 dollari/MBTU, prezzo che si era verificato nei mercati asiatici dopo l’incidente nucleare di Fukushima, in Giappone.
Di recente il prezzo spot del LNG è sceso di molto anche in Estremo Oriente da valori superiori a 20 dollari/MBTU fino a valori intorno a 10 dollari/MBTU, al di sotto del valore di break even degli impianti di LNG. Situazione peggiore e più drammatica per gli impianti di FLNG (Floating LNG), concepiti per essere usati per lo sfruttamento a mare dei giacimenti di media dimensione, evitando di costruire costosissime pipeline per portare il gas dai giacimenti offshore alla terraferma, dove sarebbe costruito l’impianto di liquefazione. Il FLNG avrebbe dovuto garantire inoltre la possibilità, una volta sfruttato il gas di un giacimento, di essere trasferito altrove su un altro campo a gas di media dimensione ancora da sfruttare. In tal modo si eviterebbe di abbandonare le infrastrutture costruite, come nel caso degli impianti a terra di LNG collegati ai campi a gas con pipeline.
Il progetto della Shell per la costruzione di un ciclopico impianto di LNG galleggiante ha già superato 12 miliardi di investimento e i tempi di realizzazione si stanno prolungando oltre ogni previsione. La Shell ha annunciato che non diffonderà più informazioni sulla lievitazione dei costi e sui tempi, ormai fuori controllo. Le compagnie petrolifere, che progettavano la costruzione di impianti LNG, continuano a rinviare con infinite motivazioni l’avvio dei progetti. Con i livelli di prezzo attesi per il gas rischiano un bagno di sangue.
Negli USA, dopo le prese di posizioni propagandistiche seguite all’avvio della crisi in Ucraina, circa la costruzione di numerosi impianti di LNG per esportare lo shale gas in Europa per compensare le importazioni dalla Russia, è calato il silenzio su tutta la vicenda. Quando si tratta di rischiare capitali ingenti in una operazione disastrosa, alla fine il senso della realtà (e dei conti) finisce con il prevalere.[...]
©nuovaenergia
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