Re Rebaudengo: “Nonostante tutto, rinnovabili oltre le aspettative”
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IL PRESIDENTE DI ASJA E DI ASSORINNOVABILI


di Davide Canevari

             
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Taking stock of 2014’s energy balance, one may be tempted to dismiss it as a total failure. Yet, if we take a closer look at it, it also provides much food for thought that may bring us to different conclusions. Nuova Energia digs deeper into the subject with Agostino Re Rebaudengo, chairman of Asja and of AssoRinnovabili. “As a matter of fact, electricity consumption has gone down by 3.3% in the months from January to August, 2014, which is not a good sign, yet against this background, renewables have taken a further step forward: estimates point to a 46% renewable energy sources in production and 40% of consumption”.
As for the most typical critics to green energy, Re Rebaudengo’s view is definitely well defined: “The true reasons of excessively high power bills lie in the energy policies of the last 20 to 25 years, and definitely not in the way the energy mix has developed in the last two or three years”. And he adds: “We, AssoRinnovabili, have always been in favour of stricter criteria for the granting of allowances as well as in favor of their gradual reduction. The retroactive review approach is unacceptable, insofar as it has detrimental consequences on our Country’s ability to attract investments. By the way, before the so called spalma incentivi decree - (law decree on the cut and extension of incentives for renewables) other retroactive measures and cuts had already been implemented, worth approximately 1 billion euros. Moreover, studies by PriceWaterhouseCoopers and KPMG show that these initiatives are not just tiny sacrifices but they turn the investment environment upside down, including industrial plans”.
Hence his Twitter-format message to Italian Prime Minister Matteo Renzi: “More research, more innovation in the field of renewables, less red tape means more health, more energy self-sufficiency and more jobs”. In our interview Re Rebaudengo also tackles Asja’s choice to bet on micro-cogeneration, investing in technology and in the modernization of its headquarters of Rivoli, with a project that has Made in Italy at its heart.
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Volendo fare un bilancio energetico dell’anno ancora in corso, la tentazione di una bocciatura senza appello - non solo per le fonti tradizionali ma anche per le rinnovabili, incappate come noto nelle sabbie mobili dello spalma incentivi - è molto forte.


Andando più al fondo della questione, tuttavia, sembrano emergere spunti di riflessione che possono portare anche in altre direzioni: non tutto è andato per il verso sbagliato.
Nuova Energia ha voluto approfondire il tema con Agostino Re Rebaudengo, presidente Asja e presidente AssoRinnovabili.


“Effettivamente i consumi elettrici sono calati del 3,3 per cento nel periodo gennaio-agosto 2014; e questo non è certo un buon segnale. In Italia esiste infatti un chiaro problema di deindustrializzazione.
La contrazione della produzione industriale è per altro aggravata dalla mancata crescita del terziario e dei servizi. L’impoverimento del Paese è evidente!”.


“In questo contesto - prosegue Re Rebaudengo - si è tuttavia assistito ad un’ulteriore affermazione delle fonti rinnovabili, che sta andando oltre le aspettative. Grazie anche all’ottima annata dell’idroelettrico le FER (escluse le bioenergie) hanno coperto il 41 per cento della produzione nazionale e il 36 per cento dei consumi.
Ipotizzando che le bioenergie stiano confermando i risultati dello scorso anno (quando raggiunsero i 14 TWh di produzione lorda complessiva) si può stimare che le rinnovabili siano giunte al 46 per cento della produzione e al 40 per cento dei consumi”.



Eppure c’è chi annovera proprio la crescita impetuosa delle FER tra le cause indirette della perdita di competitività del Sistema Paese e, dunque, del citato problema di deindustrializzazione.

**È meglio chiarire subito come stanno le cose. L’energia elettrica è sempre costata di più nel nostro Paese - anche di un buon 25 per cento - rispetto alla media europea. E questo proprio per la scelta di produrla in larga parte utilizzando fonti fossili di importazione. Le vere ragioni di una bolletta troppo alta vanno quindi ricercate nella politica energetica per lo meno degli ultimi 20-25 anni; non certo in come è evoluto il mix negli ultimi due o tre. Casomai, la crescita delle rinnovabili, e in particolare del fotovoltaico, ha modificato quelle logiche e ha ridotto i picchi di prezzo, come dimostrano i dati della Borsa elettrica.
Quanto all’effetto degli incentivi, come Sistema Paese nel suo complesso è stato comunque positivo. Considerando gli ultimi cinque anni e i prossimi 15, i Agostino Re Rebaudengovari studi sul tema stimano - a seconda del livello di prudenza adottato - un saldo variabile tra i 30 e i 70 miliardi di euro: è uno degli investimenti più redditizi che abbia fatto l’Italia.
E questo senza contare il valore della ridotta dipendenza dall’estero o il computo delle esternalità ovvero dei costi evitati - grazie alla sostituzione delle fonti fossili con le rinnovabili - in termini di impatto sulla salute, qualità dell’aria, tutela dell’ambiente.



Gli operatori del comparto sono molto critici sul taglio degli incentivi, ma la realtà si presta a due possibili obiezioni. In questo difficile contesto economico tutti sono chiamati a qualche sacrificio. E poi, forse, alcuni incentivi sono stati concessi un po’ troppo generosamente...
**Anche qui occorre mettere un po’ di ordine, partendo da un dato di fatto. Non è vero che gli incentivi italiani sono stati in questi anni fuori mercato rispetto a quelli di altri nostri competitor. Ad esempio, il costo medio del kWh incentivato in Italia è inferiore a quello tedesco.
Come AssoRinnovabili siamo sempre stati a favore di una maggiore severità nella concessione degli incentivi (limitando o regolando, se necessario, la commercializzazione delle licenze) e abbiamo sistematicamente evidenziato la necessità di prevedere una riduzione progressiva degli stessi. Inaccettabile è sempre stata, dal nostro punto di vista, la revisione retroattiva. Non solo. Se si pretende un improvviso e imprevisto sacrificio, lo stesso dovrebbe incidere su tutta la filiera, prevedendo quindi anche una riduzione delle royalty riconosciute ai Comuni, dei costi di affitto dei terreni, di quanto riconosciuto agli sviluppatori in fase di progetto, della TASI e via dicendo.



E, magari, a quel punto, andrebbero anche rinegoziate le condizioni alle quali le utility hanno acquisito i macchinari e le tecnologie...
** Sarebbe una logica conseguenza, ma l’ipotesi è ovviamente assurda e improponibile.



La questione non riguarda dunque il cambio delle regole del gioco, ma il fatto che sia stato fatto a partita iniziata e solo per alcuni giocatori...
**Certo, con conseguenze deleterie anche in proiezione futura sulla capacità di attirare investitori da parte del nostro Paese. Una perdita di affidabilità si traduce in un maggiore rischio percepito: meno gente vorrà investire in Italia e se sceglierà di farlo lo farà solo a fronte di un differenziale di interesse (il famoso spread) più elevato rispetto ad altre nazioni ritenute più credibili.



E per quanto riguarda i sacrifici da condividere?
**Prima dello spalma incentivi c’erano già stati altri interventi e tagli, anch’essi retroattivi, per circa 1 miliardo di euro. D’altra parte, come confermano due studi di PriceWaterhouseCoopers (PWC) e KPMG, qui non si tratta di sacrifici o piccole rinunce, ma di uno stravolgimento delle condizioni di investimento e quindi dei piani industriali.
Dall’indagine di PWC sul tasso interno di rendimento di un impianto di produzione da energia fotovoltaica emerge che le prospettive iniziali al momento di effettuare un investimento - prima delle varie manovre introdotte - erano pari al 16,58 per cento. Le modifiche alle variabili di mercato e/o industriali hanno causato una prima riduzione (al 7,88 per cento). Successivamente a causa delle modifiche alla normativa fiscale e regolatoria ante decreto spalma incentivi si è scesi al 5,65, per poi arrivare con lo spalma incentivi al 3,1 per cento.
Ad analoghi risultati, con piccoli scostamenti numerici, giunge un’analisi di KPMG secondo la quale a seguito delle modifi- che apportate il rendimento del capitale investito in un impianto FV è passato dal “caso base” del 14,43 per cento al 4,46 per cento post spalma incentivi, perdendo ben 8 punti percentuali.



D’altra parte l’Italia non è stato l’unico Paese a tirare il freno sulle rinnovabili. C’è stato davvero questo brusco cambio di rotta in Europa?
** Non così brusco, in fin dei conti. In Spagna e Bulgaria ci sono state nette inversioni di marcia che hanno portato nel primo caso a un arbitrato internazionale dall’esito ancora da definire; nel secondo caso la corte costituzionale ha già dato ragione ai produttori, cancellando la norma retroattiva. In UK, poi, i produttori hanno avuto diritto a un risarcimento per il semplice fatto che i regimi incentivanti sono stati modificati mentre si era in fase di permitting...



Una delle critiche che spesso vengono mosse al comparto in Italia: il nostro Paese non è stato capace di creare una filiera industriale e per i prodotti a più alto valore aggiunto tecnologico si è affidato troppo alle importazioni. Da imprenditore del settore cosa risponde?
**Rispondo che le ricadute economiche e occupazionali delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica, recentemente calcolate dal GSE (e non da un’associazione di categoria) parlano da sole: 137 mila occupati (di cui 60 mila nel fotovoltaico) solo per quanto riguarda gli investimenti in nuovi impianti; altri 53 mila occupati permanenti relativamente a esercizio e manutenzione del parco impianti esistenti.
Per quanto riguarda il fatturato della produzione di FER l’ordine di grandezza verosimile nel 2012 è stato di 16 miliardi di euro, considerando 75 euro/MWh di valore medio del PUN per 92 TWh di produzione totale a cui si sommano 153 euro/MWh di incentivo medio per circa 60 TWh di energia green incentivata (il grande idroelettrico storico non fruisce di nessun incentivo). Il valore è certamente calato nel 2013 e nel 2014, ma resta comunque di assoluto rilievo. Ciò premesso, occorre una riflessione più generale: in Italia manca la capacità di dosare e programmare; siamo soggetti ad accelerazioni improvvise e ad altrettanto brusche frenate. Ma questo non vale solo nel caso delle rinnovabili.


D’accordo, ma restiamo su questo specifico comparto.
**Alla fine degli anni Novanta in Italia operavano due importanti produttori di turbine eoliche, ma in quel momento mancava totalmente un mercato interno ed era quindi impossibile sviluppare il business anche all’estero, condizione indispensabile per affermarsi e per crescere. Quando il mercato tricolore ha iniziato a raggiungere una certa massa critica era già troppo tardi. Nel settore fotovoltaico è successo lo stesso. Sono state avviate importanti esperienze industriali (si pensi ad Eni ed Enel), ma in un momento in cui non c’era sufficiente domanda interna.
Detto questo, anche se oggi manca il Made in Italy in termini di prodotto finito, siamo comunque stati ugualmente bravi a sviluppare un’industria meccanica ed elettrica con elevato know-how, che fornisce componenti e sistemi ai produttori stranieri.



Sempre da imprenditore, ci sono ancora spazi di business per investimenti nelle rinnovabili in Italia? In quale direzione?
**Il lavoro di imprenditore presuppone un dosato mix di ottimismo, di capacità di analisi e di incoscienza. Con questo bagaglio, valutando l’attuale atteggiamento del governo e i risultati delle due analisi KPMG e PWC sopra citate, la Agostino Re Rebaudengoprudenza è d’obbligo. Il che significa orientare i nuovi investimenti in settori, tecnologie o Paesi che siano il più possibile svincolati da supporti esterni.



Perché secondo lei, nonostante i molti sforzi fatti, le biomasse restano nell’ombra? Ancora adesso quando si affronta il problema delle FER in Italia sembra sia solo una questione di fotovoltaico; eventualmente di eolico.
**Non vedo particolari ostacoli da un punto di vista tecnologico, mentre c’è sicuramente un problema, molto sentito tra gli operatori, in termini di filiera e di approvvigionamento della materia prima.
L’altro aspetto è quello delle regole, che cambiano troppo frequentemente e troppo velocemente. Come AssoRinnovabili stiamo lavorando assieme a Confagricoltura e rileviamo il maggiore malcontento proprio su questo aspetto. C’è poi un problema più generale in termini di Politica Agricola Comunitaria. Forse le priorità strategiche andrebbero chiarite meglio, anche dalle parti di Bruxelles.



Ovvero?

**Penso sarebbe più coerente dare un sostegno alle aziende per produrre (nella fattispecie bioenergie) piuttosto che pagarle per lasciare incolti i terreni. Perdendo anche il valore aggiunto della possibilità di creare nuove opportunità di lavoro e di ridurre le esternalità e la dipendenza dall’estero.



Se potesse fare un appello a Renzi, uno solo e “contenuto” nello spazio di un tweet, cosa chiederebbe?
** Più ricerca, più innovazione nelle rinnovabili, meno burocrazia uguale più salute, più indipendenza energetica e più lavoro.


Lo scorso anno Asja ha deciso di puntare sulla microcogenerazione, investendo in tecnologia e anche nell’ammodernamento del sito produttivo di Rivoli. Ci racconta come è nata questa nuova sfida imprenditoriale?
**La storia dell’energia elettrica è iniziata con l’idroelettrico, poi è stato più comodo utilizzare le fonti fossili, infine abbiamo cominciato a sviluppare le energie rinnovabili. La nuova rivoluzione, ne siamo convinti, sta nella generazione distribuita; il modello delle centrali di potenza e delle grandi reti di trasmissione non può più essere considerato come l’unico paradigma possibile. I 600 mila impianti fotovoltaici che sono entrati in esercizio in questi anni dimostrano che è possibile un’alternativa, che il concetto di autoproduzione può funzionare, anzi può essere vincente.
La microcogenerazione sintetizza in una sola macchina la produzione in loco di elettricità e calore, con rendimenti molto elevati e risparmi sulla bolletta nell’ordine del 40 per cento. Per noi, quindi, era la strada da percorrere!



Uno dei messaggi più significativi che comunica questa esperienza è che anche in Italia si può fare innovazione; e non è vero che la delocalizzazione delle produzioni è l’unica via percorribile.
**Verissimo. Il brevetto del primo cogeneratore è stato depositato nel 1977 dal Centro Ricerche Fiat e da allora Torino (e più in generale l’Italia) ha coltivato e accresciuto le proprie competenze in materia. Ci è sembrato intelligente continuare questa tradizione, adeguandoci ai tempi con un modello proiettato al futuro, ma fortemente legato a questa storia e dunque totalmente Made in Italy.

             
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Un Totem di efficienza energetica
Dal Tandem al Totem, passando per Rivoli... Entro la fine del 2014 la produzione di microcogeneratori di AsjaGen (società del Gruppo Asja appositamente costituita per presidiare questa nuova tecnologia) sarà interamente dedicata agli innovativi modelli della gamma Totem, acronimo di Total Energy Module. si tratta di macchine con potenza elettrica variabile da 10 a 45 kW e potenza termica fino a 45 kW, con un’efficienza globale che può raggiungere il 97 per cento.
Tutta la produzione dei Totem uscirà dallo stabilimento di Rivoli (in provincia di Torino) che per l’occasione ha beneficiato di un massiccio restyling ed è stato ufficialmente inaugurato lo scorso 12 giugno. Il nuovo sito produttivo - che occupa una superficie di 2.100 metri quadrati - si occuperà anche di ricerca e sviluppo di nuovi modelli e di collaudo.
Il tutto con un occhio di riguardo proprio all’efficienza energetica. Un esempio? Il calore dissipato dai microcogeneratori testati nelle cabine di prova viene totalmente recuperato e riutilizzato per la climatizzazione dello stabilimento, per dare energia elettrica alle postazioni di lavoro, o immesso nella locale rete di teleriscaldamento.
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In quale punto la tradizione lascia il passo al futuro?
**All’ultimo salone Smart Energy Expo di Verona ha fatto il suo debutto ufficiale il Totem, che comincerà ad essere ordinabile dai primi clienti già nelle prossime settimane. È una macchina totalmente ridisegnata rispetto alla precedente generazione (Tandem): più leggera, più efficiente, più silenziosa, più compatta, con minori emissioni (rispetta già i limiti Euro6). Tutti i componenti sono nuovi e fortemente ridotti nel numero (si passa da 2.800 a poco più di 1.000) con indubbi vantaggi in termini di manutenzione.
Si tratta, inoltre, di una macchina intelligente che può divenire l’aggregatore e il “capofila” di una serie di altri sistemi di generazione e di approvvigionamento (pannelli, caldaie, teleriscaldamento, …) mettendoli in sequenza attraverso un sistema di merito economico, così da garantire all’utente l’entrata in funzione dell’apparato che, di volta in volta e a seconda delle specifiche condizioni, ha il costo minore di funzionamento.



Domanda chiaramente provocatoria: non è un dietro front rispetto al vostro core business rinnovabile? Qui, dopotutto, entra in gioco una fonte come il gas naturale...
**Non c’è di fatto alcun contrasto. Abbiamo bisogno di energia e abbiamo bisogno di produrla in maniera efficiente, intelligente, efficace. La generazione distribuita è un elemento coerente con queste esigenze.
Detto questo, le nostre macchine possono funzionare a biogas o biometano e quindi, potenzialmente, sono anche “rinnovabili”. Se poi pensiamo a specifici mercati esteri, come ad esempio il Brasile, può anche entrare in gioco l’etanolo.



A proposito, quanto potrebbe contare l’export?
**Sono convinto che in proiezione - diciamo a 5 anni da oggi - la domanda estera supererà quella nazionale.

©nuovaenergia