Sì, proviamo a liberarci dalla cultura del “no”
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di Chicco Testa | Presidente Assoelettrica



Scrivere commenti sensati che tentino di esprimere giudizi o di formulare suggerimenti verso l’azione di governo è, in questo periodo, cosa da temerari. Le inquietudini (inquietudini è il più dolce eufemismo che riesco a trovare) che attraversano il quadro politico hanno spaccato e ricomposto gli schieramenti, e non resta che sperare che i programmi e le proposte non si trasformino in amnesie. Non sarebbe dunque questo il momento di proporre all’attenzione della politica alcunché, se non fosse che, mentre nei palazzi del governo accadono le vicende tanto note quanto imprevedibili nei loro esiti finali, c’è un Paese che arranca con la forza della disperazione, nel quale si tenta, con una dose di coraggio davvero rimarchevole, di fare impresa, di investire e di lanciare nuovi progetti.


Ma la crisi, come si dice in un orrendo gergo giornalistico, morde. E morde così intensamente da rendere le nuove proposte imprenditoriali sempre più rare e fragili. Ecco che qualsiasi persona dotata di buon senso avrebbe ben chiaro che in questo momento sarebbe certamente il caso di sostenere le poche proposte che vengono avanzate, perché porterebbero capitali, investimenti, posti di lavoro, ricchezza. Eppure, no, si tergiversa, si gioca di melina. L’Italia sembra quella calcistica nella versione peggiore, quando, sotto di tre gol, invece di attaccare con la forza dei nervi e del coraggio ci si passa palla restando nella propria metà campo. Finché l’astuto attaccante avversario non fa breccia e ci rifila la quarta rete.


Il paragone è gramo, lo so bene, ma purtroppo si sta dimostrando terribilmente adatto. Nelle scorse settimane ho polemizzato con il Ministero dell’Ambiente a proposito della mancata emanazione di un atto dovuto: il decreto di valutazione d’impatto ambientale relativo alle attività di esplorazione di idrocarburi in Adriatico da parte della Mediterranean Oil&Gas.
Non voglio ritornare su quella discussione, ma prendere spunto per lanciare, anche dalle autorevoli colonne di Nuova Energia, un appello con il fine di liberarci della cultura del no. Si tratta di diffondere una cultura del fare, del vero fare, quello concreto, fatto di iniziativa e di crescita, da contrapporre alla burocrazia, agli opportunismi, ad una idea di ambientalismo fatta soltanto di atteggiamenti chiusi, millenaristici, privi di qualsiasi confronto con la realtà.


Questi alcuni passaggi dell’appello che anche qui intendo lanciare alla platea più vasta possibile. La cultura del no sta facendo precipitare innumerevoli settori produttivi in un ritardo sempre più grave rispetto agli altri Paesi europei. Essa produce effetti ancora più gravi, togliendo dal Paese ogni cultura del rischio, dell’intraprendere, della ricerca scientifica, dell’innovazione tecnologica, della libertà di impresa. Cittadini ed imprese sono ridotti in uno stato di sudditanza perenne in cui non esistono più il diritto e la libertà, ma solo il permesso, la concessione che il potere, nelle sue diverse forme, può elargire.


Le classi dirigenti e le élites, invece di innovare il Paese, scendono continuamente a patti con questa cultura rendendosene consapevoli prigioniere, nella speranza di trarne qualche beneficio. La mia proposta, che so essere quella di molti altri e che credo meriti di essere lanciata, è quella di dare vita ad un movimento culturale che reagisca a questo stato di cose, mettendo al centro la creazione di una cultura ambientale fondata non più su visioni antimodernistiche e antindustriali, ma sul pragmatismo, l’ottenimento di miglioramenti concreti e l’analisi dei costi e dei benefici di ogni scelta.
Occorre difendere la libertà di ricerca in ogni campo e garantire una reale libertà d’impresa, di quella impresa che garantisce ricchezza e benessere contro la pervasività e gli eccessi della burocrazia, della legislazione e della magistratura, e la libertà di scelta e i diritti dei cittadini.