Verso la nuova transizione energetica [con pragmatismo]
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di Giovanni Vincenzo Fracastoro, Marco Masoero, Massimo Santarelli | Dip. Energia, Politecnico di Torino



The administration is committed to a comprehensive energy strategy that supports economic and job growth, bolsters energy security, positions the United States to lead the world in clean energy, and addresses the global challenge of climate change. Finding a responsible path that balances the economic benefits of low-cost energy, the social and environmental costs associated with energy production, and our duty to future generations is a central challenge of energy and environmental policy.


In questo modo l’Amministrazione Obama apre il capitolo sui cambiamenti climatici e il percorso verso l’utilizzo sostenibile delle risorse energetiche, nel suo rapporto economico al Congresso datato marzo 2013. L’intenzione di prendere sul serio la questione climatica, e di riflesso quella energetica ad essa strettamente correlata, alla luce del continuo incremento di emissioni di gas serra di origine antropogenica nell’atmosfera, è esplicita ed inequivocabile. Pure trova spazio il concetto di sostenibilità, nella sua accezione più etica di “commitment”, ovvero di impegno, a garantire il benessere delle generazioni future. Si parla anche di uno sfruttamento responsabile delle risorse energetiche, che sappia bilanciare i benefici derivanti da un’energia a basso costo con le questioni sociali e ambientali connesse alla sua produzione.


A fronte di una modifica dell’atteggiamento dell’Amministrazione USA sul tema del climate change, è soltanto dello scorso aprile 2013 la notizia del fallimento (anche se non ancora del tutto definitivo) dell’Emission Trading Scheme (ETS) europeo, uno dei più ambiziosi e pionieristici tentativi di controllare le emissioni di gas serra in Europa. Con 334 voti contrari e 315 favorevoli (67 gli astenuti), è stata rigettata dal Parlamento Europeo la proposta di fissare un prezzo più alto per i certificati sulle emissioni di CO2 (la proposta prevedeva di eliminare dal mercato diversi milioni di certificati, provocando così un rialzo del loro valore ormai sceso ai minimi storici, di circa 4 euro/tonnellata).


Al di là della cronaca recente, il fallimento del sistema europeo di carbon trading è da ricercarsi nella recessione economica dell’ultimo quinquennio, che già di per sé ha comportato una riduzione delle emissioni di CO2 (con conseguente calo del prezzo delle CO2 allowance) e i fortemente criticati CDM (Clean Development Mechanism), che pure hanno inflazionato il mercato. Il contesto geo-politico segnala poi il continuo fallimento delle conferenze delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico nel portare ad un livello attuativo le politiche stringenti a salvaguardia del clima, realizzando una stabilizzazione delle emissioni di gas serra che possa prevenire i danni ecologici anche catastrofici che sono previsti negli scenari descritti nei report dell’International Panel of Climate Change.


Questo complesso contesto, a livello di politica internazionale del clima, non sembra però contraddire un dato di fondo: i singoli Stati, pur con significative differenze (la politica energetica danese è tuttora profondamente diversa da quella cinese) stanno iniziando a prepararsi a una graduale transizione verso un’economia più attenta al consumo di energia e soprattutto alle emissioni di gas serra.
Nel momento in cui scelte di scenario devono iniziare a essere progettate, a livello di singolo Paese ma soprattutto in un quadro di condivisione internazionale, l’articolo di Robert Socolow insiste sull’importanza dell’analisi pragmatica delle varie opzioni politico-tecnologiche disponibili, e sulla necessità di un atteggiamento razionale nella discussione sugli strumenti da applicare. Paradigmatica è la discussione su tre opzioni tecnologiche intese come strategia a lungo termine:
l’approccio CCS (Carbon Capture and Storage) associato ad un utilizzo sostenibile delle fonti fossili (in primis, il carbone);
l’approccio bio-energetico in senso esteso;
l’opzione nucleare di grande scala.


Come sembra evidente dopo due decenni di discussioni e proposte, e come è spesso ripetuto da vari analisti, non esiste una silver bullet. Per qualche anno è sembrato che questo ruolo impegnativo potesse essere ricoperto dalla fusione nucleare, ma al momento le aspettative suscitate da questa fonte sono in fase di attesa.
Si potrebbe piuttosto puntare su una armoniosa combinazione di tecnologie e di processi che possa portare ad una risoluzione del problema energetico-ambientale, quanto meno su un orizzonte medio- lungo al di là del quale compariranno forse soluzioni che ad oggi non siamo in grado di prevedere.


Può essere individuato un punto di incontro tra le opzioni discusse da Socolow? Forse questo potrebbe essere rappresentato dal concetto di ciclo chiuso del carbonio, legato al perseguimento di due obiettivi principali: (1) mitigazione della presenza di CO2 in atmosfera; (2) ricircolo nel settore energetico del carbonio, che ritroviamo fissato in forma stabile (e problematica) nella CO2. Il concetto è quindi legato al riuso degli stessi atomi di carbonio contenuti in composti caratterizzati da differenti valori di energia libera di Gibbs, tramite un chemical looping che ha fasi attive (produzione di energia utile) e fasi passive (consumo di energia).
Per fare un esempio concreto, questa è la strada perseguita nella politica energetica nazionale della Danimarca, dove si prevede di recuperare l’anidride carbonica presente nell’aria (circa 400 ppmv) per sintetizzare combustibili gassosi o liquidi tramite la dissociazione di CO2 ed H2O in un syngas (H2 e CO) poi trasformato cataliticamente in gas naturale o gasolio sintetici, per i quali già esiste un’infrastruttura di distribuzione. Per ottenere un bilancio di sostenibilità energetica, la fase di dissociazione della CO2 e dell’H2O, che richiede energia, deve essere alimentata da fonti di energia di tipo rinnovabile o nucleari.


In Danimarca si conta di arrivare al 50 per cento di fonte rinnovabile nel mix energetico elettrico entro il 2030. Tale concetto potrebbe armonizzare in una visione comune vari approcci tecnologici al problema, e in qualche modo contenere le opzioni discusse da Socolow: la CCS (recupero del C), la bio-energetica (in vari processi di bio-fissaggio del C), le fonti primarie rinnovabili ed eventualmente nucleare.
Ma in che direzione sta andando adesso l’Europa? E l’Italia? Sicuramente verso scenari più virtuosi fatti di risparmio energetico (soprattutto nel settore edilizio), incremento delle fonti rinnovabili (soprattutto grazie agli incentivi) e una maggior consapevolezza delle pubbliche amministrazioni, nazionali e sovranazionali, verso questioni quali la sicurezza energetica e l’impatto antropogenico della nostra civiltà sul clima.


Tuttavia, rimane e probabilmente rimarrà ancora per diversi decenni una società, la nostra, dipendente dai combustibili fossili, come rivela il fatto che circa un quarto della nuova capacità di potenza installata in Europa nel 2011 è rappresentata da centrali a gas. Gli scenari e le possibilità sono affascinanti. Il dibattito è più vivo che mai: come scritto da Socolow al termine delle sue riflessioni: many smart and committed young people now find energy problems exciting and challenging. Queste intelligenze, se allenate al rigore analitico sottolineato da Socolow, possono portare a soluzioni creative e foriere di crescita.