Rinnovabili, stop al tentativo di favorire gli enti pubblici
Torna al sommario

di Giovanni Battista Conte | avvocato in Roma




Negli interventi di realizzazione di impianti di produzione di energia rinnovabile ci si trova sovente a fronteggiare dei vincoli di natura paesaggistica. Nei procedimenti autorizzativi che coinvolgano territori sottoposti a vincolo, molti produttori hanno dovuto confrontarsi con le varie Soprintendenze competenti a dare il proprio parere preventivo su tutte le opere suscettibili di modificare il paesaggio. Questo tipo di vincolo è estrinsecazione della tutela paesaggistica, che in Italia è distinta dalla tutela ambientale e ha un preciso fondamento costituzionale. Viceversa, nel diritto dell’Unione europea la tutela paesaggistica non è autonoma rispetto a quella ambientale.


Alle volte, in fase costruttiva degli impianti può capitare di fare delle varianti al progetto che devono essere preventivamente autorizzate. Tuttavia, in alcuni casi, anche quando si siano apportate delle modifiche direttamente, è possibile autorizzarle a posteriori. Questo non è possibile per le zone sottoposte a vincolo, in quanto non è possibile rilasciare autorizzazioni paesaggistiche in sanatoria se l’opera ha comportato aumento di metratura o di volume. Il TAR Sicilia si è trovato ad affrontare l’analisi di questa particolare disposizione del codice dei beni culturali che vieta il rilascio di autorizzazioni paesaggistiche in sanatoria per interventi che comportino creazioni di superfici utili o di volumi o l’aumento di quelli legittimamente realizzati. In pratica, in forza di tale norma è impossibile per l’amministrazione valutare la lesione o meno dei valori paesaggistici a posteriori ritenendo gli interventi ammissibili anche se questi non sono in alcun modo lesivi del paesaggio.









Dubitando della legittimità di questa disposizione il Giudice amministrativo ha sollevato una questione pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea in relazione all’art. 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE che dispone che “ogni persona ha il diritto di godere della proprietà dei beni che ha acquistato legalmente, di usarli, di disporne e di lasciarli in eredità. Nessuna persona può essere privata della proprietà se non per ragioni di pubblico interesse, nei casi e nei modi previsti dalla legge e contro il pagamento in tempo utile di una giusta indennità per la perdita della stessa. L’uso dei beni può essere regolato dalla legge e nei limiti imposti dall’interesse generale”. In rapporto a quest’ultima disposizione sembra sia violato il principio di proporzionalità, non essendo prevista la possibilità di rilasciare una autorizzazione paesaggistica in sanatoria laddove sia accertata la compatibilità dell’intervento con la tutela paesaggistica dello specifico sito considerato.


Il limite al godimento dei beni legalmente acquisiti è l’esistenza di un interesse generale ed occorre che da una parte vi sia l’individuazione in astratto dell’esistenza e della natura di tale interesse antagonista al diritto di godimento dei beni, e dall’altra vi sia l’accertamento in concreto dell’incompatibilità fra l’uso del bene privato e la tutela dell’interesse generale da tutelare. Questo principio è stato recentemente esposto nella sentenza Krizan della Corte di Giustizia 15 gennaio 2013 C-416/10.


Se, dunque, esistono questi due requisiti in merito alla legittimità della compressione del diritto di proprietà, sembra ragionevole che un tale orientamento illumini in generale l’azione della pubblica amministrazione che spesso individua nel paesaggio un valore assoluto da non contemperare con gli altri. Per tali motivi il TAR Palermo, dubitando della legittimità della disposizione italiana, ha rimesso la questione alla Corte di Giustizia.
Più in generale, analizzando le ultime sentenze dei giudici amministrativi sembra obiettivamente che alle varie articolazioni del Ministero dei Beni culturali in molti casi venga riconosciuto un diritto assoluto di opporsi a qualsiasi intervento, senza il rispetto di nessun criterio di proporzionalità e senza alcun limite imposto dalla tutela degli altri interessi coinvolti.


Il provvedimento qui richiamato sembra orientarsi in modo diverso, riflettendo sull’opportunità di imporre dei criteri più chiari e più stringenti anche in questa branca dell’Amministrazione pubblica. In particolare, appare evidente che il settore della produzione di energia rinnovabile è stato recentemente penalizzato non solo dalla riduzione degli incentivi ma dall’imprevedibilità dei futuri assetti normativi che sono mutati più volte e senza preavviso, ingenerando un’incertezza totale sul futuro. In questo panorama l’opposizione radicale di alcune delle amministrazioni coinvolte nei procedimenti amministrativi di autorizzazione degli impianti rischia di essere l’ennesimo ostacolo, capace di dare il colpo di grazia ad un settore che potrebbe essere trainante nell’economia del Paese.