Grossisti, il pericolo non è il nostro mestiere
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di Davide Canevari



“Come grossisti stiamo facendo un lavoro che non è di nostra diretta competenza, che non ci viene riconosciuto e non è neppure quantificato, e sul quale siamo esposti pesantemente perché ci dobbiamo assumere tutti i rischi”. Nelle acque non certo tranquille dell’energia italiana Filippo Giusto, presidente del consiglio di amministrazione di Esperia, lancia un sassolino che potrebbe presto diventare un masso.


Qual è il problema, lo spiega nel dettaglio Massimo Protti, presidente di AxoPower. “Partiamo da un dato di fatto: il mercato dell’energia elettrica e del gas è libero ormai da oltre 14 anni. Detto questo, nella filiera che lega chi produce energia elettrica e chi la consuma, esistono varie voci – ciascuna con un proprio ruolo ben definito dalle norme di settore – contraddistinte da un diverso grado di liberalizzazione. C’è chi si muove, giustamente, in ambiti ancora chiusi alla concorrenza (è il caso del dispacciamento o della distribuzione) e chi invece si muove su un terreno molto più aperto (come la vendita o la produzione).
Di tutto ciò, spesso il consumatore conosce molto poco, limitandosi a leggere l’importo finale della bolletta e avendo come unico riferimento il nome del proprio fornitore, l’unico soggetto attraverso il quale “comunica” con il libero mercato.
“Il fornitore (o venditore, come sarebbe più corretto definirlo) – prosegue Protti – oltre alla tipica mission di una normale società – ovvero creare valore aggiunto da distribuire a propri soci – deve nel caso della vendita di energia elettrica e gas svolgere anche la funzione di punto di raccolta di somme di denaro relative a servizi prestati da soggetti terzi, che non coincidono con il venditore stesso. Posto uguale a cento il fatturato in bolletta, la quota parte di diretta competenza del servizio del venditore è l’energia, che rappresenta circa il 50 per cento. Il restante 50 serve a remunerare servizi (trasporto e dispacciamento), oneri e accise che nulla hanno a che fare con l’attività del venditore”.


“È corretto che il venditore esegua questa attività di raccolta di denaro per altri, senza ricevere una adeguata remunerazione per questa attività? È corretto che il venditore sia esposto al rischio di credito su tutto il 100 della bolletta, senza che sul 50 non di sua competenza possa trasferire questo rischio direttamente sul soggetto per cui raccoglie il denaro? È corretto che il venditore supporti costi notevoli per la raccolta, per esempio delle accise (in termini di risorse umane, oneri finanziari, garanzie richieste dalle agenzie delle dogane)?”.


Le risposte a queste domande sembrano essere scontate, almeno dal punto di vista dei grossisti, ma la materia non è certo semplice. “Noi grossisti ci troviamo imposta una attività che non è di nostra competenza – insiste Giusto – e prima ancora di capire perché questo avviene e come porre degli eventuali correttivi, abbiamo la legittima curiosità di dare un valore economico a questa attività. Secondo le nostre valutazioni, considerando la copertura del rischio credito, l’operatività con i clienti, i costi di fatturazione, siamo attorno a un euro per MWh, e non si tratta di una piccola cifra se si pensa che operiamo sull’ordine di grandezza delle centinaia di GWh l’anno…”.
La questione non è del tutto nuova (negli anni scorsi c’era anche stato un ricorso al TAR di Milano) ma in questi ultimi mesi sembra essere riesplosa. “Non c’è da meravigliarsi – commenta Protti – visto che i veri problemi, e dunque i veri costi che gravano sul grossista, hanno a che fare con il rischio insoluto. Fino a cinque anni fa poteva essere considerato marginale, quasi un non problema. Con l’attuale congiuntura economica le cose sono profondamente cambiate”.


Sulla stessa lunghezza d’onda la risposta di Giusto, che fa anche un breve riassunto storico degli ultimi tre lustri. “Non è del tutto vero che la questione è stata sollevata solo di recente; da molti anni è sotto traccia. Adesso, tuttavia, sta diventando più evidente e più diffusa è la consapevolezza del problema, ad esempio, anche da parte di AIGET. Quando il mercato elettrico è partito, la componente di trasporto era ancora libera e il grande consumatore poteva sottoscrivere direttamente un contratto con il distributore. A un certo punto, nel 2003, in corrispondenza del debutto della Borsa, una delibera dell’Autorità ha stabilito che il grossista sarebbe diventato l’interfaccia diretta del distributore”.
“Nel 2003 – aggiunge Giusto – il danno c’era ma non era così grave o così evidente perché l’economia tirava, il mercato era sano, la gente pagava e – soprattutto – l’incidenza delle voci extra sulla bolletta era molto minore rispetto ad oggi e quantizzabile in un 20 per cento. Quella situazione poteva anche andare bene, soprattutto alle realtà quotate, perché contribuiva a tenere alti i fatturati. Poi le cose sono cambiate: c’è stata l’esplosione della famosa aliquota A3, l’economia ha iniziato a vacillare e il numero delle insolvenze è aumentato. Si è così innescato un effetto moltiplicativo del rischio e del danno per noi grossisti”.


Soluzioni? Apparentemente semplici e immediate. “Basterebbe mantenere invariato lo schema attuale, riconoscendo però un fee a vantaggio dei grossisti e a carico dei soggetti per cui noi svolgiamo il lavoro”.
“Certo la nostra posizione può essere scomoda e ci farà anche passare per antipatici – aggiunge Giusto – ma ricordiamoci che è grazie a noi grossisti che c’è la concorrenza”. Il sassolino è lanciato e, come detto, potrebbe presto diventare un masso.