Tu chiamali se vuoi… sussidi ma c’è un prezzo da pagare
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di Michele Governatori



La Commissione europea ha prima minacciato, poi deciso - benché con un’introduzione graduale - dazi sull’import di pannelli fotovoltaici extracomunitari, perlopiù quelli cinesi per i quali l’Europa rappresenta la maggioranza assoluta del fatturato. Dazi che verosimilmente aumenteranno il prezzo di equilibrio dei wafer in Europa, bruscamente interrompendo un trend di diminuzione che fa (o faceva) presagire una futura non troppo lontana capacità economica dei produttori di energia fotovoltaica europei di competere sui mercati elettrici senza più bisogno di aiuti.


L’Europa, e alcuni Paesi in particolare, hanno fatto una scelta industriale enorme di sviluppo di questo settore, portando la Germania a diventare di gran lunga il più grande produttore al mondo di elettricità fotovoltaica (con una capacità installata pari a circa trenta centrali convenzionali di grande dimensione e una produzione di energia pari grosso modo a cinque).
L’Italia dal canto suo è il numero due, con circa la metà dei megawatt rispetto alla Germania. Una scelta per la quale, almeno in questa dimensione, era impossibile non ricorrere a sussidi pagati in bolletta. Sussidi che però si stanno nel frattempo rivelando insostenibili e hanno portato sia in Germania sia in Italia a pressioni, di successo, per esentarne gli oneri alle aziende energivore, violando in senso lato il principio europeo del “chi inquina paga”, e con la spada di Damocle della stessa UE che dovrà decidere se queste esenzioni siano aiuti di Stato.


Provo a ricapitolare: la generazione elettrica fotovoltaica europea costa ancora molto in termini di sussidi. E ha prodotto un boom dell’import di materiale cinese. Questo sta producendo per reazione un’ondata protezionistica il cui effetto aumenterebbe i costi fissi del megawattora fotovoltaico e ancora più necessari gli incentivi, che già adesso sono insostenibili.
Nel frattempo, le centrali convenzionali chiedono anche loro sussidi perché hanno visto la propria quota di mercato abbattuta proprio dall’effetto degli aiuti alle centrali rinnovabili. Ed è difficile dar loro torto, se lo stesso council dei regolatori energetici europei scrive nel position paper “Making the internal energy market work” dello scorso maggio che sussidi a determinate fonti possono danneggiare la funzionalità del mercato e compromettere l’adeguatezza di capacità di produzione elettrica.


C’è una conclusione da tutto questo? Forse sì: mettere un sussidio a un operatore di mercato (qualunque operatore) crea anche distorsioni inattese che portano alla richiesta di contro-sussidi. E anche un’altra: basare un’industria sui sussidi, cioè soldi dei contribuenti quand’anche sotto forma di pagatori di bollette, inevitabilmente induce il problema politico di accettare l’eventualità che quei soldi finiscano all’estero.