di Elio Smedile
Negli ultimi anni la crisi economica e il conseguente maggior rilievo attribuito ai temi economici e finanziari, hanno nei fatti monopolizzato il dibattito globale. Con le ricadute tuttora in atto della crisi globale non vi è volontà politica per provvedimenti - quali quelli concernenti il contrasto al cambiamento climatico - che possono creare sofferenze economiche nel breve periodo, se pure in vista di benefici di lungo termine.
D’altro canto va fatto osservare come lo stato dei negoziati internazionali sul clima non fosse certamente al top anche prima della crisi. Prova ne sia che gli impegni delle nazioni industrializzate presi alla COP 16 di Cancun del 2010 per contribuire con 100 miliardi di dollari entro il 2020 al Green Climate Fund (Fondo istituito per aiutare finanziariamente i Paesi in via di sviluppo) non hanno avuto finora seguito, nonostante le dichiarazioni di principio enunciate nelle due COP successive.
E mentre le iniziative latitano… il riscaldamento del Pianeta prosegue inesorabilmente il suo trend in aumento. Per la prima volta, infatti, nella prima decade di maggio 2013 i livelli di concentrazione di CO2 in atmosfera hanno superato le 400 parti per milione. Le misure sono state effettuate dalla Scripps Institution of Oceanography di San Diego (California) che dal 1958 misura ininterrottamente nella stazione di Mauna Loa (Hawaii) le concentrazioni in atmosfera di anidride carbonica. Il livello 400 è peraltro una soglia psicologica (i valori oscillano nel tempo) ma, come fa osservare Tom Lucker, ricercatore della Scripps, è uno “svegliarino” per tutti coloro che avanzano dubbi sull’opportunità, nel momento attuale, di supportare le tecnologie pulite e ridurre le emissioni climalteranti.
Rimane un dato di fatto su cui vi è un forte consenso scientifico e cioè che il clima globale sta cambiando e che l’attività umana vi contribuisce significativamente. Si noti - per avere una indicazione dell’evoluzione del fenomeno - che nel periodo 1990-2011 l’aumento del forcing radiativo, misura del riscaldamento sul clima, è stato pari al 30 per cento per effetto dell’aumento delle concentrazioni dei principali gas serra (CO2 e CH4).
D’altro canto gli effetti del riscaldamento globale cominciano ad essere manifesti anche in Europa. Come ha evidenziato il Rapporto dell’Agenzia Europea dell’Ambiente (AEA) Climate change, impacts and vulnerability in Europe 2012, l’ultimo decennio (2002-2011) è stato il più caldo registrato in Europa, con una temperatura della superficie terrestre più alta di 1,3 °C rispetto alla temperatura media in epoca preindustriale. Le ondate di caldo sono aumentate in termini di frequenza e lunghezza, causando decine di migliaia di morti negli ultimi decenni. Le precipitazioni stanno diminuendo nelle regioni meridionali, ma sono in aumento nell'Europa settentrionale e le previsioni dicono che tali tendenze continueranno e il cambiamento climatico causerà un aumento delle inondazioni nell’Europa settentrionale mentre la siccità dei fiumi diverrà un problema nel Sud Europa.
I livelli marini sono in aumento, così come il rischio di inondazioni costiere durante le tempeste. Molti studi hanno misurato cambiamenti diffusi nelle caratteristiche di piante e animali. Ad esempio, sono in anticipo le fioriture delle piante e il fitoplancton e lo zooplancton d’acqua dolce. Altri animali e piante si stanno spostando verso nord o verso zone più elevate, a causa del riscaldamento dei relativi habitat. In futuro, molte specie le cui migrazioni non riusciranno a tenere il passo con la velocità dei cambiamenti climatici, potrebbero andare incontro all’estinzione. E se ciò non bastasse, l’Artico si sta letteralmente disfacendo: lo scioglimento della crosta ghiacciata della Groenlandia è raddoppiato dagli anni ‘90, perdendo, tra il 2005 e il 2009 in media 250 miliardi di tonnellate di massa ogni anno (AEA).
Cosa fare? Jacqueline McGlade, direttore esecutivo dell’AEA, ha affermato: “Il cambiamento climatico è una realtà di dimensioni mondiali e la portata e la velocità del cambiamento stanno diventando sempre più evidenti. Ciò significa che ogni componente del sistema economico, incluse le famiglie, deve adattarsi e ridurre le emissioni”.
Ed ecco la parola chiave: adattamento. In altri termini l’attenzione per l’adozione di strategie di adattamento deriva da una semplice considerazione: visto che, come sembra ormai dimostrato, difficilmente sarà possibile ridurre le emissioni nella misura che sarebbe necessaria e tenuto conto che gli effetti avversi dei cambiamenti climatici sono già in atto e aumenteranno in futuro, è necessario concentrare gli sforzi sul rafforzamento dei progetti in atto e sulla definizione di opportune strategie di adattamento.
Ma in che cosa consiste una strategia di adattamento? In estrema sintesi si può dire che le strategie di adattamento ai cambiamenti climatici devono prevedere principalmente l’adozione di misure volte a contrastare gli effetti e le vulnerabilità, di oggi e di domani. Il concetto di adattamento non vuole significare solo protezione contro gli impatti negativi, ma anche creazione di una maggiore flessibilità al cambiamento. Più rapidamente si pianificheranno le misure di adattamento, migliore sarà la nostra preparazione per affrontare le sfide ambientali future.
Ciò ovviamente non significa rallentare il raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni climalteranti: adattamento e mitigazione sono infatti azioni complementari, ed entrambe costituiscono gli strumenti basilari per affrontare la questione del cambiamento climatico. L’adattamento si caratterizza anche per la sua valenza sociale e infatti molte delle azioni di adattamento sono necessarie per proteggere le popolazioni, il territorio di insediamento delle comunità, le attività economiche. Ed è attraverso l’adattamento, infine, che si possono definire le più opportune strategie di transizione verso un’economia sostenibile a basse emissioni di carbonio.
Anche in tale settore l’Unione europea ha dimostrato di essere tra i capofila degli interventi contro il riscaldamento globale. Nell’aprile 2009 è stato pubblicato il Libro Bianco Adapting to climate change. Toward a european framework for action. Più recentemente, nell’aprile 2013, la Commissione europea ha adottato una strategia sull’adattamento al cambiamento climatico che definisce una struttura di supporto e i meccanismi per preparare l’Unione ai futuri impatti climatici. La strategia dell’UE è focalizzata su tre obiettivi: promuovere le azioni dei Paesi membri, coordinare le azioni a livello UE, migliorare i processi informativi. L’obiettivo finale della CE è comunque quello di inserire il tema dell’adattamento nel contesto più generale delle politiche dell’Unione.
Per completare il quadro europeo desidero citare un recente (29 aprile 2013) documento dell’Agenzia Europea dell’Ambiente - dal titolo Europe must adapt to stay ahead of a changing climate - che illustra cosa si è fatto e cosa si sta facendo in Europa. Vi sono finora 16 Paesi membri dell’AEA che hanno sviluppato strategie nazionali di adattamento (nove in più rispetto al 2008) e alcuni di questi Paesi hanno già predisposto piani d’azione. Le strategie nazionali di adattamento si rivolgono principalmente ai settori relativi a risorse idriche, agricoltura e silvicoltura, biodiversità e salute
Altri dodici Paesi membri dell’AEA stanno attualmente preparando una strategia nazionale di adattamento, e in totale 15 hanno già creato dei portali web. Va segnalato infine che alcune regioni transnazionali (quali il Danubio, il Baltico, le Alpi e i Pirenei) hanno sviluppato strategie di adattamento o le stanno attualmente elaborando. Se analizziamo gli sviluppi del tema dell’adattamento su scala mondiale osserviamo che esso è da almeno sette anni un elemento centrale delle decisioni in ambito UNFCC (United Nations Framework Convention on Climate Change).
Il rafforzamento delle azioni di adattamento era infatti uno dei punti del Bali Action Plan approvato nella COP 13 svoltasi nel 2007 in Indonesia. Per registrare dei passi in avanti concreti occorre andare alla successiva COP 16 di Cancun (Messico 2010) dove fu insediato un Comitato ad hoc incaricato di preparare un piano di lavoro con l’indicazione delle tappe, delle attività e delle risorse necessarie. L’attività del Comitato è proseguita nel 2012 e 2013 ma non sembra che ad oggi si sia andati oltre gli adempimenti per l’organizzazione del Comitato e l’aggiornamento degli step del Piano di lavoro.
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L’ANALISI COSTI E BENEFICI
Per poter definire appropriate strategie di adattamento è necessario disporre di una quantificazione di costi e benefici. I costi sono dati dal valore monetario delle opere o delle iniziative o delle politiche che producono l’adattamento al cambiamento climatico. I benefici sono definiti dall’ammontare di danno da cambiamento climatico che si è potuto evitare grazie all’adattamento stesso.
Previsioni sull’impatto
dei cambiamenti climatici in Italia
A giudizio di Carlo Carraro (Università Ca’ Foscari Venezia e Fondazione Enrico Mattei) l’impatto sull’Italia sarà abbastanza modesto.
Gli effetti cominceranno ad essere manifesti intorno al 2050 e raggiungeranno il loro massimo dopo il 2100. I costi possono essere stimati in mezzo punto di PIL (grosso modo qualche decina di miliardi di euro). Gli impatti saranno maggiori nel Sud Italia e minori nel Nord del Paese.
Occorre distinguere i costi per inazione (non fare nulla anche in tema di mitigazione) che possono essere, appunto, pari a mezzo punto di PIL e i costi per l’adattamento, decisamente meno elevati e pari - come dichiarato in un’intervista rilasciata al TG3 dal professor Carraro - a un decimo di quelli stimati per l’inazione. Di seguito si riportano alcune stime della Fondazione Mattei, pubblicata nel 2007. Si tratta di valori ormai datati che possono tuttavia dare uno spunto di riflessione per quanto riguarda gli ordini di grandezza in gioco.
Il costo per il settore turistico
In assenza di strategie di adattamento, la domanda turistica nei Paesi caldi, è destinata a contrarsi a favore dei Paesi più freddi. Particolarmente penalizzati risulteranno i Paesi dell’area mediterranea - tra cui l’Italia - che nel medio periodo vedranno progressivamente diminuire la loro attrattività rispetto al Nord Europa caratterizzato da un clima via via più mite e confortevole.
Lo studio del 2007 evidenzia come la contrazione dei volumi di spesa turistica sia altamente differenziata per provincia e per tipologia di turismo. Ad esempio, limitando l’analisi alle aree alpine, le province maggiormente colpite nel lungo periodo saranno quelle friulane di Udine e Pordenone. Qui la spesa turistica potrebbe ridursi complessivamente in un range compreso tra il 20 e il 26 per cento, con una contrazione - in particolare - della spesa dei turisti stranieri.
Ondata di calore: un caso studio
Ricordate l’ondata di calore anomalo che ha interessato l’Italia nel giugno-agosto 2003 e che ha colpito, in particolare, la città di Roma? Ebbene, proprio a “Roma 2003” è stato dedicato un caso studio interessante. È stato prima di tuto stimato che per una famiglia residente nell’area capitolina l’aumento della temperatura media nel mese di luglio di un grado centigrado si traduce in una maggiore spesa annua quantizzabile in 367 euro.
In quel torrido 2003 la temperatura media è stata di 2,8 °C al di sopra delle temperature “normali” (il valore di riferimento dovrebbe essere 25,1 °C). Con le ipotesi precedenti questo ha comportato un maggior esborso familiare pari a circa mille euro. E tenendo conto che le famiglie residenti a Roma superano il milione di unità, ecco che il costo stimato del cambiamento climatico può essere quantizzato, nel caso in esame, in circa un miliardo di euro.
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Vorrei a questo punto citare una iniziativa già in essere, realizzata là dove gli effetti del cambiamento climatico cominciano a farsi sentire più duramente e cioè le isole-stato del Pacifico. Si tratta del Progetto PACC (Pacific Regional Environment Program) concepito con l’intento di promuovere l’adattamento come prerequisito per lo sviluppo sostenibile. L’obiettivo principale è di rafforzare la capacità degli Stati partecipanti (14) di adattarsi al cambiamento climatico nei diversi settori chiave dei singoli Paesi. Un contesto nel quale l’adattamento al cambiamento climatico assume importanza particolare sono gli agglomerati urbani di medie e grandi dimensioni.
Per essi gli effetti dei cambiamenti climatici possono essere in forma di impatti subitanei (uragani, tifoni, ondate di calore) ovvero impatti che si sviluppano gradualmente nel tempo (aumento delle temperature dell’aria, innalzamento del livello del mare, mutamenti nel pattern delle precipitazioni), impatti che a loro volta potrebbero causare effetti indiretti sulle funzioni essenziali delle città.
Il concetto di adattamento al cambiamento climatico per le città si riferisce a iniziative o misure tese a ridurre la vulnerabilità del sistema naturale e antropico contro gli effetti attesi. Specifiche azioni vanno previste per intensificare la capacità della città di mantenere le funzioni essenziali che supportano il benessere della cittadinanza e sostengono le attività economiche.
Ricordo che attualmente negli agglomerati urbani vive quasi il 50 per cento della popolazione mondiale e che per il 2050 è previsto che 6,4 miliardi di persone, pari al 70 per cento del totale, vivranno in tali aree.
Vorrei infine citare la Campagna delle Nazioni Unite Making cities resilient condotta nell’ambito della Strategia Internazionale per la Riduzione dei Disastri, e l’iniziativa Resilient cities, Forum per la Resilienza e l’Adattamento, giunta alla IV edizione, che annualmente riunisce esperti e opinion leader di 80 Paesi del mondo per dibattere di pianificazione delle strategie di adattamento, di rischi e vulnerabilità ambientale, di nuove pratiche di governance.
Nell’edizione 2013 che si è svolta a Bonn (31 maggio - 2 giugno) uno studio preparato da Siemens ha illustrato il caso della città di New York. Nella metropoli americana i costi di ripristino dei danni di un uragano del tipo Sandy possono essere stimati in circa 3 miliardi di dollari in 20 anni. Investendo la stessa somma in misure di protezione da venti ciclonici e inondazioni catastrofiche nonché in tecnologie avanzate si potrebbe ridurre il danno a 2 miliardi e ottenere guadagni in efficienza pari a circa 4 miliardi di dollari.
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