Allo stato delle cose, partendo dal 26 giugno 2003
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di di G.B. Zorzoli



Dieci anni fa, il 26 giugno 2003, il sistema elettrico italiano subì un rilevante distacco di carichi dalla rete. In altri termini, un parziale blackout che coinvolse circa sei milioni di persone. Le cause di questo evento sono sintetizzate nella Tabella 1.


Una liberalizzazione senza politica energetica
La Tabella 1 descrive una situazione chiaramente patologica, figlia di una liberalizzazione avviata nel 1999 con la convinzione, errata, che quello elettrico fosse un mercato uguale agli altri, come conferma un’attenta lettura del Decreto Bersani. Non è così.
Il mercato elettrico ha caratteristiche intrinseche, che lo differenziano in modo netto dalla produzione e vendita di normali prodotti industriali e rendono difficile realizzare e, se esiste, mantenere una sovrabbondanza di offerta, sufficiente a garantire una concorrenza che approssimi quella ideale immaginata da Adam Smith.
La sovracapacità produttiva presenta infatti per gli operatori elettrici rischi di gran lunga superiori a quelli esistenti in altri comparti industriali. Gli impianti di generazione alimentati da combustibili fossili sono fra i più capital intensive e, oltre tutto, scarsamente flessibili: non si prestano, infatti, agli adattamenti in corso d’opera, che per esempio consentono alle moderne fabbriche di automobili di produrre veicoli continuamente adeguati all’evoluzione del mercato. Insomma, al settore elettrico manca un’altra caratteristica importante per competere: la rapidità di risposta a mutate condizioni dei mercati.


Per rendere gli impianti di generazione remunerativi, occorre garantire ore annue di funzionamento adeguate alla loro funzione (di base, intermedia, di punta) e, con i consueti tassi di ammortamento, l’utilizzo per un numero di anni di gran lunga superiore rispetto ad altri impianti produttivi, mentre, al contrario di questi, possono contare su dimensioni di mercato più ridotte. Il mercato elettrico non è infatti globalizzabile e, per quanto umanamente prevedibile, non lo sarà nemmeno in futuro. Si può esportare energia elettrica all’interno dell’Europa (peraltro con qualche non trascurabile limite), certo non dall’Europa alla Cina (o viceversa).
Inoltre, la tuttora scarsa capacità di accumulo dell’energia elettrica contribuisce ad aumentare i rischi, per i produttori, di un eccesso d’offerta superiore a quella richiesta per ragioni tecniche. Per contro, proprio per la non cumulabilità, un margine positivo di potenza è essenziale per garantire la fornitura di energia. [...]



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