Grandi opere o opere smart?
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di Michele Governatori



A metà marzo leggevo in un articolo di Luisa Leone su Milano Finanza che il non-ponte sullo Stretto di Messina, tra soldi già spesi e rischio di penali per la risoluzione dei contratti, potrebbe costare quasi un miliardo di euro. Negli stessi giorni Derrick, su invito di molti, si è occupato sul blog derrickenergia. blogspot.it anche di alta velocità ferroviaria per il trasporto di persone e merci, andando a compulsare gli autorevoli studi disponibili che dicono che dal punto di vista economico quasi tutti gli investimenti italiani in TAV sono in perdita.
Cioè sono costati (o costeranno, secondo le previsioni ragionevoli di traffico e disponibilità a pagare dei clienti) più di quanto siano in grado di incassare in biglietti. Mentre sul piano ambientale non c’è sicura evidenza che essi siano un bene, soprattutto rispetto alle linee ferroviarie tradizionali che richiedono infrastrutture molto meno invasive per la loro costruzione e hanno consumi inferiori per la trazione.

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Proviamo a fare un parallelo con l’energia: molte cose, se non sbaglio, ritornano. Per esempio il bisogno di gestire i colli di bottiglia sempre di più a livello di assorbimento e di controllo dei carichi nelle reti non ad alta tensione. O anche la necessità di adeguare le reti di distribuzione a possibili inversioni di carico con picchi di potenza elevati in un senso o nell’altro, destinati a intensificarsi man mano che si realizzerà quell’elettrificazione dei consumi energetici prevista nella Roadmap europea al 2050 e di conseguenza nella Strategia Energetica Nazionale, in parallelo alla crescita della generazione diffusa.

Il tempo delle reti intelligenti sembra proprio coincidere con quello delle reti locali, vicine, mi si passi l’espressione un po’ retorica, più agli individui che ai grandi centri di produzione e consumo. Il che non vuol dire che tutte le grandi opere siano da buttare. [...]



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