Le biotecnologie pronte a fare scintille
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di Pierangela Cristiani | responsabile delle attività di ricerca RSE sui sistemi bioenergetici




L’abilità dei batteri nel fermentare la sostanza organica in prodotti utili per l’alimentazione umana è un fenomeno ampiamente sfruttato dalle civiltà più antiche, ben prima della scoperta dell’esistenza dei batteri stessi. Solo negli ultimi secoli, tuttavia, è stato possibile studiare in dettaglio i processi microbici di degradazione, a seguito del rapido sviluppo delle conoscenze scientifiche, e utilizzarli in numerose nuove applicazioni. Oggi le biotecnologie occupano un campo significativo e in espansione dell’ingegneria, includendo processi strategici per lo sviluppo dei servizi, quali la depurazione dei reflui, il trattamento di rifiuti, la fabbricazione di nuovi prodotti per l’industria chimica, farmaceutica e, ultimamente, anche energetica. Proprio al comparto energetico si rivolge la più recente, straordinaria scoperta relativa al metabolismo batterico: la possibilità di trasferire direttamente gli elettroni derivanti dai processi ossidativi della sostanza organica tramite una sorta di cortocircuito tra metallo e componente biologica.

             
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In a scenario of sustainable and optimized use
of sources Microbial Fuel Cells could become a new, important ways to make renewable carbonneutral energy from wastes: bacteria are able to break down organic matter producing clean water and electric current. The exciting discovery that microorganisms can generate electricity has been pointed out in this last years and since then, a growing number of scientists and engineers are working to improve the yield.

Starting from the positive first exploitation
of electric current generated by bacteria as
signal for industrial bio-sensors, it is expected that new applications of microbial-electricity should be set up soon and they will allow men to open new avenues for energy technology and biotechnology progress.

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Questa scoperta, su cui esperti in campi molto differenti tra loro – quali la biologia, l’elettronica, l’ingegneria e l’elettrochimica – si stanno confrontando in modo trasversale nei laboratori più avanzati, ha suggerito la possibilità di sfruttare i microrganismi per la produzione di energia elettrica tramite pile a combustibile microbiche. Le sempre più numerose sperimentazioni in corso nei laboratori di ricerca di tutto il mondo industrializzato preludono, nel medio temine, ad uno sviluppo pre-competitivo di micro-impianti autonomi di produzione energetica rinnovabile, da collocare, soli o in associazione ad altre fonti rinnovabili distribuite, in siti non serviti dalla rete.

RSE ha colto la sfida dello sviluppo delle tecnologie bio-elettrochimiche di potenziale utilità per il comparto elettrico, forte di un consolidato know-how sui problemi della corrosione microbiologica. Un campo, quest’ultimo, molto affine dal punto di vista dei meccanismi ma decisamente opposto per l’effetto deleterio indotto dai batteri sui materiali e sulle strutture industriali.
La crescita di biofilm sulle strutture e negli scambiatori di calore dei circuiti di raffreddamento alimentati con acque naturali causa un decadimento dell’effi- cienza e dell’affidabilità degli impianti i cui costi associati per la prevenzione, nel caso di centrali di potenza, sono dell’ordine di decine o centinaia di migliaia di euro l’anno, in funzione del carico generato. Dalla ricerca sulla biocorrosione ai sistemi bio-elettrochimici di frontiera quali le celle a combustibile microbiche, RSE ha indirizzato molte attività svolte nei precedenti progetti della Ricerca di Sistema e in progetti co-finanziati dall’Unione Europea già dalla fine degli Anni ‘90.

RSE ora guida la ricerca nel campo, in Italia e in rete con la ricerca internazionale, con un autorevole e nutrito team, in cui sono incluse diverse università del territorio lombardo, oltre a CNR ed ENEA. Gli sforzi sono recentemente sostenuti anche da MIUR e Regione Lombardia con il finanziamento di progetti dedicati allo sviluppo di prodotti pre-competitivi, nei quali sono state coinvolte anche diverse imprese.


Il principio di funzionamento
In una cella a combustibile microbica i batteri crescono su uno o entrambi gli elettrodi, formando un biofilm in grado di catalizzare, attraverso il metabolismo batterico, le reazioni elettrochimiche di ossidazione del combustibile e il passaggio di elettroni dal compartimento anodico a quello catodico.
Nel compartimento anodico, in assenza di ossigeno, crescono e si sviluppano i batteri in grado di svolgere la degradazione delle sostanze organiche, trasformandole in anidride carbonica, ioni idrogeno ed elettroni. L’ossigeno, presente solo sul catodo, determina la forza elettromotrice della pila microbica, richiamando il flusso degli elettroni generati attraverso gli elettrodi e il flusso equivalente degli ioni di idrogeno attraverso la soluzione. Molti studi sono oggi dedicati a chiarire con certezza i diversi meccanismi di trasferimento degli elettroni prodotti all’anodo, e di cattura degli stessi al catodo, mediati dai batteri.


Energia rinnovabile dai reflui
La nuova tipologia di cella a combustibile (Microbial Fuel Cell dall’inglese) è di particolare interesse tecnologico poiché, in linea di principio, rende possibile il trasferimento dell’energia chimica contenuta in qualsiasi forma di biomassa biodegradabile (e in particolare nei reflui) in energia elettrica rinnovabile, con un elevato rendimento, operando a bassa temperatura, in sistemi apparentemente di semplice realizzazione e dal costo relativamente contenuto.
Le sostanze organiche si trovano molto disperse nei terreni, nelle acque naturali, nei reflui; tuttavia l’integrale di questa biomassa residuale potenzialmente disponibile può raggiungere stime considerevoli. Un aspetto di sostenibilità economica e ambientale non trascurabile offerto dai sistemi bio-elettrochimici riguarda, infatti, la prerogativa di poter utilizzare risorse marginali quali rifiuti e reflui organici (civili e industriali), anche tossici, e scarti agro-alimentari. Tuttavia, non è facile valutare – allo stato dell’arte – quanto siano concrete e vicine le ricadute industriali sia in campo ambientale sia energetico. Da non sottovalutare è comunque anche l’opportunità di produrre biocarburanti (bioidrogeno e biometano), in alternativa alla generazione di energia elettrica, associando al trattamento dei rifiuti organici un altro meccanismo elettrochimico mediato da batteri: l’elettrolisi microbica.


L’elettrolisi microbica
La possibilità di mineralizzare una vasta gamma di substrati organici producendo idrogeno con una richiesta energetica molto contenuta è la caratteristica che rende molto vantaggiosa la tecnologia MEC rispetto alla tradizionale elettrolisi dell’acqua. Le prime sperimentazioni condotte indicano, inoltre, un successo in termini di rendimento, superiore a quello di tutte le altre sperimentazioni biotecnologiche più tradizionali in corso, includendo anche quelle perseguite con le tecnologie di ingegneria genetica.
Molti sono gli sforzi dedicati a tecnologie di ingegneria genetica, soprattutto negli Stati Uniti, ma al momento i biofilm naturali in crescita sugli anodi, costituiti da complesse comunità di batteri naturali, hanno dimostrato prestazioni “elettriche” superiori ai singoli ceppi. Ciononostante, gli studi sui biofilm non hanno ancora portato ad individuare una combinazione di batteri in grado di costituire una comunità microbica ottimale dal punto di vista della conduzione elettrica.


La potenzialità di un impianto di depurazione
I sistemi bio-elettrochimici trovano quindi una naturale prima (ma non esclusiva) collocazione in impianti industriali biotecnologici già operativi quali i depuratori, potendo contribuire in vario modo all’ottimizzazione dei processi di depurazione oltre che alle esigenze energetiche dell’impianto. La potenzialità energetica della materia organica disciolta nei reflui è più che sufficiente per sopperire, in linea teorica, al fabbisogno di energia che il normale processo di depurazione richiede.
Nel caso esemplificativo di un depuratore municipale asservito a una città di un milione di abitanti, considerando un consumo di acqua pro capite di 300 litri/giorno e un contenuto di carico organico di 400 mg/litro di COD (contenuto energetico di 15 kJ/g COD), la potenza teorica ricavabile dal refluo con un rendimento del processo del 30 per cento è stimabile in circa 6 MW, sufficiente in prima approssimazione a coprire la domanda energetica dell’impianto. Il COD è la Chemical Oxygen Demand, ovvero una misura indiretta del carico organico inquinante totale.

Nel caso di un refluo industriale da deiezioni animali o da scarti di produzione agroindustriale, la portata di biomassa è superiore e la potenza ricavabile può essere dell’ordine di qualche kW/m3. Da rilevare è che gli stessi batteri operanti nei depuratori e in particolare i ceppi responsabili della fermentazione anaerobica della sostanza organica anche negli impianti di produzione di biogas possono operare all’anodo di celle a combustibile microbiche, con meccanismi alternativi alla sintesi del metano.
In generale, ottimizzando i processi tradizionali di fermentazione e combinandoli con quelli elettrochimici potrebbe essere possibile ottenere un chiaro beneficio sia in termini energetici sia per la stabilizzazione e depurazione degli effluenti e rifiuti.

La rimozione del carico organico e degli acidi grassi volatili dai reflui assieme all’efficienza energetica sono gli aspetti maggiormente perseguiti con le sperimentazioni in corso; tuttavia, dallo sfruttamento dei meccanismi bio-elettrochimici potranno derivare anche altri vantaggi per gli impianti di depurazione, in termini di ottimizzazione del processo, di nuovi sistemi di monitoraggio dei trattamenti convenzionali e di nuovi trattamenti dedicati all’abbattimento di singoli inquinanti, oltre che dalla produzione di biocombustibili dai fanghi.


Una tecnologia ancora di frontiera
Negli ultimi cinque anni i progetti sperimentali di MFC negli impianti di trattamento dell’acqua reflua si stanno moltiplicando. Ciononostante, la tecnologia rimane confinata ancora a livello di laboratorio e dalle potenze ottenute, per lo più pari a pochi watt, non è ancora possibile estrapolare numeri attendibili in riferimento a potenzialità reali ed efficienze di impianti su scala industriale. Pertanto le potenzialità delle celle a combustibile chimiche (SOFC e la maggior parte delle PEM) continuano ad essere almeno di un ordine di grandezza superiore, nonostante fosse stata avanzata l’ipotesi di superare il divario già nel 2008.
Bisogna considerare, infatti, che il dispendio energetico nei batteri è ottimizzato e i processi in gioco hanno caratteristiche molto variabili tra loro e difficilmente cumulabili con quelli di altre tecnologie già sviluppate, allo scopo di raggiungere grandi numeri in termini di produzione energetica. Nonostante queste difficoltà, la possibilità di poter ricavare una potenza di 1kW/ m3 da un’acqua reflua con un carico organico giornaliero di 1–10 kg/m3 COD guida la sfida tecnologica dello scale-up.


Criticità e prospettive
Le maggiori criticità dell’applicazione della tecnologia MFC risiedono nella scelta di materiali e nello studio di geometrie di celle che garantiscano rendimenti elevati. Tuttavia, i risultati fino ad oggi resi disponibili dalla ricerca internazionale, in cui si inseriscono le sperimentazioni di RSE, confermano la possibile applicazione della tecnologia delle MFC su scala prototipale, in sistemi di semplice realizzazione e dal costo relativamente contenuto. In particolare, è stata confermata da RSE l’efficacia di semplici biocatodi microbici da utilizzare al posto di catodi catalizzati da platino (economicamente non sostenibile) e la possibilità di operare senza l’impiego di membrana polimerica tra comparto anodico e catodico. Sulla base di queste esperienze, svolte nell’ambito della Ricerca di Sistema nell’ultimo triennio, sono ora in fase di sperimentazione prototipi in scala superiore presso il depuratore di Milano a Nosedo.

Sono, inoltre, allo studio sistemi a led luminosi (o sistemi acustici), da associare anche a sensori ambientali. Prototipi di queste apparecchiature “avveniristiche”, da realizzare a scopo dimostrativo/ didattico, sono previsti nell’ambito del progetto Luce Bioelettrica, finanziato da MIUR-Regione Lombardia. In questo progetto, in cui sono coinvolte tre imprese affermate sul territorio lombardo (Milanodepur Spa, Amel Srl e Elettromar Spa), oltre ad RSE e all’Università di Milano, si mira a replicare il successo già ottenuto in passato di una semplice pila microbica utilizzata come sensore per l’ottimizzazione dei trattamenti di prevenzione del biofouling e della corrosione microbiologica. I nuovi ambiti di investigazione attengono al controllo dell’inquinamento nel comparto acque e suoli.

L’ambizione è quella di cogliere la vicina opportunità di EXPO 2015 per promuovere al meglio la “luce bioelettrica” e i prodotti altamente innovativi che saranno sviluppati. Non ultimo, il progetto di inserisce in un contesto di operazioni culturali volte a migliorare la conoscenza e l’educazione dei cittadini in campo ambientale ed energetico, in continuità con operazioni già sostenute presso il depuratore di Nosedo – sito nel nascente Parco della Vettabbia, a sud di Milano – e promosse in collaborazione con diverse associazioni culturali attive sul territorio.