Così è cambiato il rischio geopolitico
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di Vittorio D’Ermo



In questo inizio d’anno, mentre il prezzo del Brent si mantiene ben sopra i 110 dollari/barile, la geopolitica è tornata ad affacciarsi sulla scena dei mercati energetici internazionali con nuove inquietanti dimensioni.
Fino agli anni 2000 il rischio geopolitico faceva riferimento al non rispetto delle regole della comunità internazionale fissate nella Carta delle Nazioni Unite o ad atteggiamenti conflittuali da parte di un Paese o gruppi di Paesi nei confronti di altri Stati o di organizzazioni sovranazionali, come ad esempio la Nato o l’Unione Europea. Una variante di questo rischio era costituito dalla instabilità di alcuni Paesi a causa di conflitti interni che minavano la rappresentatività dei governi e, quindi, la capacità di rispettare accordi e convenzioni.

Il rischio geopolitico in campo energetico significava possibilità di vedere annullati o modificati unilateralmente accordi per lo sviluppo e la produzione di risorse energetiche e/o per il loro trasporto su lunga distanza, come nel caso dei grandi gasdotti che legano l’Europa alla Russia e all’Africa.

Pur nella estrema variabilità del tipo di rischio, questo aveva comunque un riferimento a uno Stato (il contenzioso con l’Iran) o a un gruppo di Stati (gli storici contrasti tra Paesi consumatori e l’OPEC) e tale circostanza, oltre a consentire maggiori possibilità di soluzione dei conflitti, facilitava anche la delimitazione delle aree di crisi. [...] L’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001 segna l’inizio di una nuova dimensione del rischio geopolitico, in quanto la minaccia alla sicurezza di Paesi e aree viene portata da gruppi non riconducibili a entità statali, che operano in spazi non ben individuati né tanto meno facilmente individuabili. [...]



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