Pinto: “Una situazione da riequilibrare, senza indugi...”
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di Davide Canevari



Il 2012 è stato considerato da molti come l’annus horribilis dell’energia in Italia: consumi in calo, problemi crescenti di overcapacity, insostenibilità delle rinnovabili, bollette sempre più care e utility sempre più scontente dei risultati ottenuti. Ma è andata davvero così male per tutti? E siamo sicuri, a questo punto, di aver toccato il fondo, o la maggior parte di questi temi si riproporrà puntuale e irrisolta con l’inizio del 2013?

Ecco cosa ne pensa al riguardo Salvatore Pinto, presidente e amministratore delegato di Axpo Italia. “Tutti gli operatori stanno soffrendo – ammette Pinto – alcuni, tuttavia, più degli altri. Per quanto riguarda Axpo Italia posso anticipare che chiuderemo il bilancio con un risultato più che positivo, anche se è importante sottolineare come sia sempre più difficile muoversi tra il calo della domanda, la crescita dei costi e la conseguente compressione dei margini. In Italia i problemi del settore vanno però al di là della contrazione dei consumi generata dall’attuale crisi economica e hanno una caratterizzazione più strutturale”.




Ovvero?
**Le questioni che dobbiamo affrontare sono di sistema. Tra queste, richiamerei la parziale liberalizzazione della filiera dell’energia, soprattutto nel mercato del gas naturale; l’irresponsabile politica di incentivazione di fonti rinnovabili a limitata efficienza; il mix di generazione sbilanciato su fonti particolarmente onerose e l’inadeguatezza della rete di trasporto dell’energia elettrica. Se a questi aggiungiamo il pesante carico fiscale che grava sulle bollette, capiamo bene come siano necessari interventi altrettanto strutturali per cercare di riequilibrare la situazione nel medio-lungo periodo. Il nostro auspicio è quindi che dal prossimo anno si possano avviare tali interventi e invertire finalmente il trend negativo.


Crede che la SEN potrà dare una svolta positiva al settore, e con quali tempi di ritorno?
**Come detto, ci dovrà essere un intervento di tipo strutturale, quale in effetti la Strategia Energetica Nazionale indicherebbe. Gli obiettivi esposti dal Governo appaiono concreti e ragionevoli: economicità, diversificazione, sicurezza degli approvvigionamenti, sostenibilità ambientale e sostenibilità economica degli operatori non possono infatti che essere condivisibili da chi è attivo nel settore. È necessario però un impegno concreto dell’Esecutivo (e anche dei Governi che seguiranno) per dare un riscontro attuativo sugli strumenti individuati e avviare un processo che dovrebbe conseguire ritorni nel mediolungo periodo. Per questo è comunque indispensabile sviluppare rapidamente quelle azioni che possano offrire bene- fici nel breve, come l’avvio di un reale mercato della flessibilità sia lato gas sia lato elettrico e lo sblocco di annosi colli di bottiglia sulla rete.


Concorda con chi sostiene che il processo di liberalizzazione dei mercati energetici italiani, dopo aver raggiunto l’eccellenza a livello europeo, ora stia facendo qualche passo indietro?
**Effettivamente in seguito alla crescita delle rinnovabili, che hanno priorità di dispacciamento e sono regolate a tariffa, si è registrata una sensibile riduzione della possibilità di esercitare la competizione nel mercato dell’offerta di energia. Spesso poi alcune disposizioni normative adottate si sono rivelate restrittive della concorrenza o della trasparenza di mercato. Questi fatti certamente ridimensionano il processo di liberalizzazione che in Italia aveva avuto uno sviluppo più ampio rispetto a molti altri Paesi europei.


Possibili soluzioni?
**Ora si deve riaffermare la validità di tale processo e perseguirne la crescita, evitando facili tentazioni dirigistiche. Per coloro che, come noi, credono nel libero mercato, i vantaggi acquisiti vanno infatti capitalizzati e si deve immediatamente riprendere la direzione che si stava tracciando. Da aggredire subito è l’inadeguatezza delle reti, che limitano fisicamente le potenzialità del mercato. Un primo passo concreto è stato compiuto dalla separazione tra Eni e Snam, mettendo fine ad un assetto monopolistico che paralizzava il sistema del gas. Si dovrebbe ora permettere a Terna di completare la magliatura del territorio con i necessari elettrodotti, magari iniziando dal realizzare in tempi ragionevoli il famoso collegamento con la Sicilia.


I nostri principali competitor, in ambito europeo, sembrano aver sofferto meno di noi. Ad esempio, di overcapacity si parla anche in Spagna e Germania, ma il livello di allerta è certamente minore. E lo stesso vale per l’aumento del costo del kWh. Gli altri sono stati più bravi o più fortunati?
**Beh, è difficile dirlo... Io sostengo comunque che la fortuna devi anche essere bravo a guadagnartela. C’è innanzitutto da dire che Paesi come Germania e Spagna partivano da un mix energetico (nucleare e carbone) sicuramente più competitivo rispetto a quello italiano. Anche dal punto di vista infrastrutturale l’Italia ha sicuramente ereditato criticità che altri Paesi non hanno. Basti pensare allo sviluppo dell’LNG in Spagna e alla rete di gasdotti che arrivano in Germania dalla Russia. Tutto questo ha determinato un vantaggio per queste nazioni, garantendo al loro mercato maggior liquidità e concorrenza sulle materie prime. Tuttavia anche in questi Paesi la crisi del comparto energetico si è fatta sentire con forza, costringendo gli operatori a ridimensionarsi e a ridurre gli investimenti.
È ovvio che, partendo da condizioni meno vantaggiose, l’Italia ha risentito maggiormente le condizioni di mercato a cui non era preparata: oggi ci troviamo nel paradosso di prezzi dell’energia elevati ma al contempo incomprimibili, che mortificano sia i consumatori sia i produttori i quali vedono azzerati i margini. Ricordo che oggi diversi produttori di energia, che hanno investito in nuovi ed efficienti impianti a ciclo combinato, si ritrovano in situazioni drammatiche con centrali in perdita che funzionano ben al di sotto del 50 per cento della propria disponibilità. Forse mi viene da pensare che in questo caso la fortuna non c’entri molto, ma si tratti di una programmazione di lungo periodo dell’intero sistema energetico che fuori dai nostri confini ha funzionato meglio.


Come sarebbe cambiato lo scenario di riferimento se l’Europa avesse adottato prima della crisi una vera e condivisa politica energetica comunitaria?
**Ricordiamoci che il processo di liberalizzazione del mercato energetico europeo si è innescato proprio in seguito alle direttive della Comunità europea. Ovviamente poi ogni Paese ha seguito il suo percorso di liberalizzazione, con notevoli differenze l’uno dall’altro. Sicuramente un intervento più vincolante e condiviso avrebbe portato una maggiore uniformità del sistema, con i possibili vantaggi correlati. Indipendentemente dal passato è però certo che oggi non si può prescindere dal contesto internazionale in cui siamo inseriti: i mercati, siano essi di energia o di materie prime, hanno ormai sempre di più una dimensione sovranazionale e una prospettiva di periodo molto ampia; la roadmap europea sull’energia recentemente pubblicata ce lo sta a testimoniare. Una reale strategia energetica comunitaria potrebbe inoltre agevolare la soluzione di diversi problemi come quello della overcapacity locale, grazie ad un mercato della flessibilità allargato a più Paesi.


E come sarebbe cambiato, invece, in assenza di Fukushima?
**Sicuramente Fukushima rappresenta un punto di non ritorno per diversi Paesi che per ragioni di sicurezza e ambiente non punteranno nei prossimi decenni sullo sviluppo dell’energia nucleare; tra questi certamente Germania e Svizzera. Tuttavia non è detto che senza la tragedia di Fukushima la strategia energetica adottata sarebbe stata molto differente, almeno per alcune nazioni. Era infatti già da tempo diffuso il convincimento che puntare sul nucleare non solo sarebbe stato eccessivamente costoso, ma che avrebbe anche introdotto una eccessiva rigidità ad un sistema che necessita altresì di flessibilità per bilanciare le fonti rinnovabili intermittenti. In un mercato caratterizzato dall’overcapacity la produzione nucleare in base load avrebbe drammaticamente ridotto la possibilità di un libero mercato basato sulla competizione di più tecnologie, annullando tutti i vantaggi conseguenti per i consumatori.


La sensazione è che il dibattito sul bisogno di nuove infrastrutture per il trasporto del gas – e su un possibile ruolo dell’Italia come hub europeo – si sia molto attenuato ultimamente. Davvero è solo una sensazione?
**Per me si tratta solo di un’attenzione rivolta momentaneamente ad altre priorità. L’Italia non deve infatti abbandonare questa possibilità, perché rappresenta una prospettiva di grande sviluppo per la nostra intera economia. La posizione geografica del nostro Paese al centro del Mediterraneo è strategica e sarebbe un grave errore non puntare su un possibile ruolo di hub europeo per il trasporto del gas, e magari di risorsa di flessibilità per la rete elettrica grazie agli impianti a gas. Ovviamente anche in questo caso la conditio sine qua non rimane quella di avere a disposizione una capacità infrastrutturale da dedicare alla diversificazione degli approvvigionamenti. Per quanto riguarda Axpo, il nostro Gruppo crede fortemente in questa strategia e partecipa al progetto Trans Adriatic Pipeline (TAP), il metanodotto di 513 chilometri che permetterà il trasporto di circa 10 miliardi di metri cubi di gas naturale in Italia. Progetto di cui è previsto il completamento entro il 2018.


Come valuta oggi Axpo le scelte di investimento che ha fatto in Italia negli anni scorsi? C’è spazio per qualche rimpianto?
**No, nessun rimpianto: è stato fondamentale per lo sviluppo della nostra attività avere una capacità produttiva locale che ad oggi conta una potenza installata complessiva di circa 2.000 MW; mentre era inevitabile che si fosse puntato soprattutto sul gas e sulla tecnologia del ciclo combinato. Naturalmente anche noi abbiamo risentito dei problemi legati alle congestioni di rete e all’eccesso di offerta produttiva, ma grazie ad una gestione della flessibilità nella generazione e alla diversificazione della nostre attività commerciali siamo riusciti a garantire negli ultimi anni ottimi risultati in termini di fatturato e profitto. Ci aspettiamo comunque un intervento regolatore che possa garantire alle aziende come la nostra – che hanno fatto investimenti sul territorio in impianti a ciclo combinato indispensabili al bilanciamento della rete – una remunerazione equa.


E per quanto concerne futuri ulteriori progetti?
**Il Gruppo Axpo, in seguito alla decisione della Svizzera di abbandonare la produzione nucleare, ha annunciato investimenti per 20 miliardi di euro in nuove fonti energetiche, a partire dall’idroelettrico e dalle reti di import. L’Italia può, e penso che debba, candidarsi per attirare queste possibilità di investimento. Inoltre per noi rimane fondamentale il progetto TAP, di cui abbiamo già parlato in precedenza e che potrebbe aprire un nuovo corridoio di approvvigionamento per il gas, diminuendo la nostra dipendenza dalla Siberia e dall’Africa settentrionale.


In questo contesto profondamente cambiato e in ulteriore evoluzione, anche il mestiere delle utility è dovuto evolvere: essere semplici produttori e venditori di kWh non basta più o, per lo meno, non sembra essere più remunerativo. La vostra soluzione?
**La nostra parola d’ordine è diversifi- cazione. Diversificazione dei servizi che offriamo ai clienti e della nostra attività in senso più generale. Questa azienda ha come mission quella di coprire l’intera filiera del sistema energetico, dalla produzione al trading sino alla vendita diretta al cliente finale. Noi proponiamo un vero e proprio approccio consulenziale: grazie all’esperienza pluriennale nel trading energetico, siamo infatti in grado di affiancare il cliente permettendogli di cogliere tutte le opportunità che il mercato è in grado di offrire. Inoltre, il nostro nuovo obiettivo è quello di diventare un vero e proprio hub tecnologico in grado di offrire non solo fornitura di energia o di gas ma anche nuovi servizi legati all’efficienza energetica, che rimane un obiettivo fondamentale per il rilancio del settore energetico italiano, come indica anche il documento della Strategia Energetica Nazionale.