Aerei, computer e cellulari riscaldano la Terra
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di Nicolas A. Barnes


Tra i tanti temi caldi di questa ardente estate agostana ha trovato spazio la notizia che i 26 Paesi extraeuropei che si oppongono all’applicazione dell’Emissions Trading Scheme (ETS) dell’Unione europea ai Paesi terzi sono pronti a portare avanti le contromisure avanzate nell’incontro svoltosi a Mosca nel febbraio scorso.
Infatti, dal 1° gennaio 2012 tutte le Compagnie i cui voli coinvolgono aeroporti europei devono rispettare la Direttiva UE 2008/101/CE che include le attività di trasporto aereo nel sistema comunitario di scambio delle quote di emissioni dei gas ad effetto serra.
In altri termini, l’applicazione dell’ETS comporta che tutte le Compagnie aeree i cui aerei sorvolano, atterrano o decollano su suolo europeo devono rispettare le quote di emissione di CO2. La decisione dell’UE ha sollevato le proteste di varie Nazioni, tra le quali “colossi mondiali” come USA, India e Cina, che contestano il diritto dell’Unione europea ad imporre l’applicazione delle proprie politiche ad altri Paesi. Nei primi giorni di agosto, 16 dei 26 Paesi si sono riuniti a Washington ed hanno proclamato la “unanime opposizione all’ETS applicato ai vettori stranieri”.

Quasi in contemporanea, la Commissione Commercio del Senato degli Stati Uniti si è espressa a favore di una legge con la quale si proibisce alle Compagnie aeree USA di partecipare all’ETS; il testo è in piena assonanza con un provvedimento approvato lo scorso mese di ottobre dal Congresso che ha suscitato vivaci reazioni da parte di autorevoli rappresentanti della Commissione e del Parlamento europeo (particolarmente dura la risposta del socialdemocratico tedesco Jo Leinen, membro del Comitato Ambiente del PE, che ha bollato la decisione come “arrogante e ignorante”).

Tuttavia non tutti negli Stati Uniti approvano il criticismo verso la normativa europea. 26 economisti di chiara fama – tra i quali figurano ben cinque Premi Nobel – hanno chiesto con una lettera aperta indirizzata al presidente Obama di fermare l’opposizione all’ETS. “Noi vi imploriamo di supportare gli sforzi innovativi dell’Unione europea – si afferma – o almeno di non opporsi attivamente a tali sforzi”. E più avanti nel testo: “Piuttosto che opporsi all’UE noi sollecitiamo l’amministrazione a supportarne l’impegno di tassare le emissioni di carbonio nel contesto dell’ICAO (Organizzazione Internazionale dell’Aviazione Civile)”.

Una possibile soluzione è quella di sviluppare uno schema alternativo a livello globale. Nei fatti tuttavia questa singolare “guerra dei cieli” ha avuto il merito di riportare, in misura più cogente, all’attenzione della opinione pubblica mondiale l’impatto delle emissioni di gas climalteranti dell’aviazione civile e militare sul riscaldamento globale. Quanto pesi tale impatto è stimato diversamente dalle varie fonti consultate con una forbice che va dal 2 al 4 per cento.
In accordo con l’IPCC (ONU, Intergovernmental Panel on Climate Change) si può affermare che attualmente l’aviazione rappresenta poco più del 2 per cento delle emissioni di CO2 generate dalle attività umane. L’organizzazione delle Nazioni Unite stima che nel 2050 questo share potrà crescere fino al 3 per cento o anche più (se la riduzione delle emissioni in altri settori sarà maggiore di quella dell’aviazione).

L’aviazione – sottolinea un articolo apparso di recente su The Economist – è stata spesso messa sotto accusa per il crescente contributo al riscaldamento globale. Le campagne d’informazione sulla necessità di ridurre le emissioni climalteranti hanno coinvolto anche gli utenti del trasporto aereo talché alcuni viaggiatori d’affari hanno cominciato a domandarsi se il loro volo fosse strettamente necessario ovvero poteva essere annullato e sostituito da qualcosa di diverso (ad esempio una videoconferenza) e potenzialmente meno costoso oltre che meno “inquinante”. Polemicamente, se al volo non c’erano alternative, ci si domandava poi quanto potesse essere davvero efficace “pagare per piantare alberi” come misura di ef- ficace compensazione. O se questa fosse solo una mossa per mettersi a posto la coscienza (ambientalista).
L’articolo poneva, a questo punto, un quesito interessante e per nulla scontato: siamo sicuri che l’utilizzo delle nuove tecnologie informatiche e degli “spostamenti virtuali” in fin dei conti rappresenti un vantaggio – sempre in termini di emissioni – rispetto al classico volo aereo?

Infatti stime di Climate Group (Smart 2020 Report) riportano che nel 2007, a livello mondiale, le emissioni di CO2 di computer, stampanti, cellulari, smartphone, tablet, annessi e connessi, ammontavano a circa 830 milioni di tonnellate, un valore che porterebbe ad uno share per questo settore non dissimile da quello dell’aviazione. La differenza rispetto all’aviazione è che in questo caso la crescita del comparto è stata negli ultimi cinque anni vertiginosa. Stime del citato Rapporto indicano che, anche in presenza di significativi guadagni di efficienza, si può prevedere entro il 2020 una crescita delle emissioni dell’ICT (Information and Communication Technology) non inferiore al 6 per cento annuo.
La crescita maggiore si verificherà nei Paesi in via di sviluppo e nei cosiddetti BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica). Si stima, ad esempio. che entro la prossima decade 1 cinese su 2 avrà un telefono mobile e che metà delle abitazioni cinesi sarà collegata ad Internet. In particolare il numero di personal computer nel mondo dovrebbe raggiungere – secondo Forrester Research – i due miliardi di unità entro il prossimo quinquennio, di cui 775 milioni localizzati in Russia, Cina e Brasile. L’accelerazione del processo è dimostrata dal fatto che per raggiungere il primo miliardo sono stati necessari 27 anni e per arrivare ai 2 miliardi ne basteranno 5.

Un ruolo non secondario lo ha avuto l’esplosione di Facebook. Il fenomeno è stato analizzato da David Bello in un articolo apparso sull’ultimo numero di Scientific American. Anzitutto i numeri (relativi al 2011) del più famoso social network del mondo che coinvolge 750 milioni di utilizzatori. Nel suo complesso il “sistema Facebook” (utenza, gestione, apparati e apparecchi) emetterebbe 230 milioni di tonnellate/anno di gas serra. Facebook emetterebbe quindi più CO2 – osserva Bello – di tutti i Paesi scandinavi messi insieme.
I maggiori consumi di energia (e di conseguenza le emissioni) attribuibili ai personal computer riguardano essenzialmente i server. I data center sono luoghi climatizzati che consumano quantità notevoli di energia. Per migliorare le prestazioni essi sono mantenuti a temperature tra i 18 e i 21 °C laddove – affermano gli esperti – i server attuali possono operare soddisfacentemente a temperature intorno ai 27 °C. Si tenga presente che per ogni °C guadagnato si hanno risparmi energetici del 4-5 per cento.

Lo stesso Scientific American, proponendo una elaborazione di dati della Stanford University, ci ricorda che “mezzo milione di data center su scala planetaria, che ospitano 32 milioni di server individuali, consumano – da soli – circa 300 TWh/anno, ovvero l’1,5 per cento degli usi globali mondiali”. Si ricorda a puro titolo di confronto che 300 TWh, come ordine di grandezza, è la produzione annuale di tutte le centrali elettriche italiane!
Naturalmente questo non significa che non sia necessario risparmiare anche nell’uso quotidiano dello strumento: ad esempio (tanto per citare la cosa più semplice) spegnere computer e stampante dopo l’uso (non è sufficiente mettere gli apparati in stand-by). Alcuni dati danno la misura del risparmio possibili. È stato calcolato (Tucson University, USA) che se in tutte le abitazioni private dell’area metropolitana di Boston si spegnessero i computer per almeno 1 ora al giorno, si risparmierebbero 3,2 milioni di dollari nei costi dell’energia elettrica e si eviterebbe l’immissione in atmosfera di 19.000 tonnellate di CO2. Naturalmente se nel calcolo venissero inclusi anche pubblici uffici, scuole, università e sedi di attività economiche, i numeri potrebbero essere enormemente più elevati.

Infine una considerazione personale sulle emissioni dei PC (e più in generale sulle emissioni di qualsiasi oggetto o soggetto). Un calcolo corretto dovrebbe sempre prendere in esame l’intero ciclo di vita del prodotto e non soltanto alcune fasi (ad esempio, quella di impiego). Questo anche per rendere più agevole il confronto tra le diverse fonti. Per avere un’idea di come sono ripartite le emissioni nelle varie fasi del il ciclo vitale si riportano in Figura, a titolo esemplificativo, i risultati ottenuti da un gruppo di ricerca coreano per la valutazione della LCA di un personal computer. Come si può osservare, la fase di pre-produzione è la più signi- ficativa per tutti i parametri ambientali con l’eccezione del potenziale di tossicità umana.