Lo può fare Mario, ovviamente!
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di Federico Santi

DA BRUXELLES A MOSCA, PASSANDO
PER ROMA: L’EQUITY PARTNERSHIP PER RAFFORZARE L'INTERDIPENDENZA RUSSIA-UE E VIVERE (ENERGETICAMENTE) FELICI

Da Wikipedia: “Interdependence is a relationship in which each member is mutually dependent on the others. This concept differs from a dependence relationship, where some members are dependent and some are not”. Non occorre tradurre. La domanda è questa: c’è interdipendenza tra Russia e Unione europea? Ancora meglio, come recita al Capitolo 9 il World Energy Outlook 2011 dell’IEA: “chi dipende da chi”?
I numeri delineano la situazione. L’Unione europea assorbe quasi il 90 per cento (!) delle esportazioni russe di petrolio, coprendo così circa un terzo dei propri consumi di petrolio. L’Unione europea assorbe circa la metà delle esportazioni russe di carbone, coprendo così quasi un terzo dei propri consumi di carbone. L’Unione europea assorbe il 70 per cento delle esportazioni russe di gas naturale, coprendo così circa un quarto dei propri consumi di gas. Il quadro è ben chiaro: la Russia esporta massicciamente le proprie fonti energetiche primarie verso l’Unione europea (90 per cento petrolio, 50 per cento carbone, 70 per cento gas rispetto alle esportazioni complessive) coprendo così una quota rilevante del fabbisogno energetico europeo (30 per cento carbone, 30 per cento petrolio, 25 per cento gas).


Rispetto alle definizioni date da Wikipedia, a prima vista quello tra Russia e UE sembrerebbe dunque un rapporto di dipendenza. L’energia fluisce infatti unidirezionalmente dalla Russia all’UE: l’UE ha una parziale dipendenza energetica dalla Russia (circa un terzo dei propri consumi energetici complessivi) mentre la Russia è energeticamente del tutto indipendente dall’UE.
Tuttavia, per giudicare se la relazione energetica tra Russia e UE sia di dipendenza o di interdipendenza, bisogna ampliare il perimetro di osservazione. Limitarsi ai flussi fisici di energia è fuorviante. Infatti, l'energia non è che un fattore produttivo, importante e strategico quanto si vuole, ma non unico: se attraverso l'esportazione di energia si generano flussi economici di importanza fondamentale per il benessere della nazione esportatrice – o addirittura per la sua sopravvivenza – allora le cose si complicano e quello che in apparenza sembra un rapporto di dipendenza può nascondere una profonda relazione di interdipendenza.


Così, la dipendenza energetica dell’UE dalla Russia è un fatto incontrovertibile. Ma, specularmente, la dipendenza del welfare sovietico dalla bolletta energetica europea è altrettanto incontrovertibile. In termini di valore, i due terzi (!) delle esportazioni complessive russe sono attribuibili alle fonti energetiche (50 per cento petrolio, 14 per cento gas, 3 per cento carbone). Si tratta di un flusso di denaro di circa 200 miliardi di euro l’anno (sì, ho scritto bene, miliardi). Orbene, circa 120 miliardi di euro l’anno vengono dall'UE.
Repetita iuvant: ogni anno, 120 miliardi di euro fluiscono liquidi dall’UE alla Russia! È una somma esorbitante, che supera il 10 per cento del PIL sovietico. Ecco allora che se l’UE dipende dalle esportazioni energetiche russe, il welfare russo dipende fortemente, a sua volta, dagli acquisti di energia dell’UE. Col 10 per cento del PIL in gioco, l’interdipendenza è stretta. E in fondo, a pensarci bene, assicurare un adeguato livello welfare è l'obiettivo ultimo tanto dell’UE quanto della Russia.


Certo, la Russia è geograficamente al centro tra l’UE e l’Asia e, soprattutto in chiave prospettica, può contare su due mercati in competizione tra loro, il che le darà un certo vantaggio “arbitrale” e allenterà in certa misura la relazione di interdipendenza con l’UE. Con 10 milioni di barili al giorno, nel 2009 la Russia ha scalzato l’Arabia Saudita dal gradino più alto del podio dei produttori di petrolio e ha ancora riserve certe per oltre 77 miliardi di barili. La Russia è anche il secondo Paese al mondo per produzione di gas naturale, dopo gli USA, con 637 miliardi di metri cubi l’anno; le riserve certe di gas naturale superano i 26.000 miliardi di metri cubi. Questo secondo dati IEA; altre fonti indicano il doppio. La Russia è comunque il Paese con le maggiori riserve di gas al mondo: non male, visto che il mondo veleggia spedito verso la natural gas era...
La Russia è poi il quinto Paese al mondo per produzione di carbone e il terzo per riserve certe di carbone. Dunque, la Russia è destinata a conservare e rafforzare il suo ruolo di fornitore energetico per l’Europa, almeno finché le fonti fossili la faranno da padrone. Del resto, basta osservare la guerra in atto per i corridoi energetici, che domina le prime pagine della stampa internazionale.


In questo contesto di “interdipendenza di montagna” – Bruxelles-Mosca è un’autostrada a doppio senso, ma in salita; si può viaggiare nel senso dell’energia o nel senso del denaro, e non è lo stesso, come non è lo stesso camminare in salita o in discesa: vi sono vantaggi e svantaggi in entrambi i casi – l’UE deve chiedersi se sia meglio essere debitori o partner.
Questo è il punto focale. In una speculare “interdipendenza di pianura”, la natura del ruolo giocato dai player non sarebbe così determinante; qui invece la qualità della relazione è essenziale. Per l’UE c’è una strategia da decidere: essere debitori verso la Russia, oppure essere partner della Russia. Il problema è estremamente complesso. E, diceva George Bernard Shaw, per ogni problema complesso esiste una soluzione semplice, che è sbagliata. Lungi dal dare una soluzione semplice, quindi, meglio limitarsi a un paio di robuste considerazioni.


Una. I problemi generali della Russia sono principalmente di natura socio-economica: deve essere notevolmente accresciuto il livello di benessere e di sviluppo economico, nonché di distribuzione del reddito, per portare la nazione al pari con le altre potenze mondiali. Dunque, il tema del welfare è particolarmente critico, come del resto lo sono gli investimenti. Per continuare a giocare il ruolo di fornitore energetico d’Europa – e in prospettiva del Sud Est Asiatico – ed assicurare così il flusso vitale di denaro necessario al proprio sviluppo, la Russia deve investire nel proprio sistema energetico qualcosa come 2.000 miliardi di euro nei prossimi 25 anni (dati IEA). Per trovare le necessarie risorse finanziarie, i prezzi internazionali dell’energia devono restare elevati. I rischi legati al Paese sono molto alti. Il contesto dunque è ideale per l’apertura da parte russa ad investitori occidentali di natura industriale ed energetica. Quotidiano Energia del 21 giugno scorso titolava in prima pagina: Gas, ENEL va con Lukoil, ENI finalizza con Rosneft.


Solo una delle tante situazioni in cui i nostri campioni nazionali (chiamiamoli così) co-investono nel mercato energetico russo insieme a compagnie di Stato (Rosneft) o “private” (Lukoil), ovviamente nell’up-stream. E lo stesso fanno le altre grandi compagnie energetiche europee, chi più chi meno. Un pilastro del ragionamento è quindi questo: per mantenere e sviluppare il proprio welfare, la Russia deve produrre energia e venderla a prezzi elevati, dunque prevalentemente all’estero; per fare questo, la Russia deve effettuare investimenti enormi nel proprio sistema energetico; per trovare le risorse da investire, considerati i rischi, deve consentire alle compagnie europee di co-investire in Russia.
E questo è un punto essenziale: l’UE deve penetrare nel settore energetico russo, facendo investimenti nell’up-stream e nelle infrastrutture, ancorché con rischi elevati. Un ostacolo può essere la scarsa trasparenza: la presenza diffusa dello Stato nell’economia russa, combinata ad un alto livello di corruzione, posizionano la Russia al 158° posto su 175 nella classifica di Transparency International. D’altro canto, le grandi compagnie energetiche europee possono vantare la capacità di saper investire in contesti che presentano rischi decisamente maggiori. Inoltre, proprio l’interdipendenza porta la Russia ad essere piuttosto aperta a partnership europee nel settore energetico, almeno rispetto al passato e verso alcuni Paesi europei considerati più vicini di altri (l’Italia è senz’altro tra questi).


Due. L’altra faccia della medaglia è l’apertura dei mercati energetici europei alle compagnie russe, in particolare agli investimenti russi negli asset europei, in termini di equity partnership. Su questo tema l’UE dimostra ancora una chiusura controproducente, causata probabilmente da timori eccessivi di possibili atteggiamenti egemonici. Come sempre, la paura è la rovina di qualsiasi relazione. Viceversa, per rafforzare l’interdipendenza Russia-UE, soprattutto in una brutta prospettiva di indebolimento della relazione a favore di una dipendenza, l’UE deve assumere un atteggiamento positivo e aprire rapidamente alla Russia la possibilità di investire in Europa l’eventuale surplus derivante dalle esportazioni energetiche. Niente rafforzerà la relazione di interdipendenza Russia-UE quanto una reciproca equity partnership: è la qualità di questa relazione che consentirà all’esportatore di sviluppare un comportamento orientato alla salvaguardia dei mercati dell’importatore, a tutela dei propri investimenti negli asset produttivi di quegli stessi mercati.


Si può discutere a lungo di comunanze e discordanze culturali tra l’UE e la Russia. Chi scrive vede vicinanze culturali antiche e profonde, non tanto coi Paesi mediterranei quanto soprattutto con il Nord-Est Europeo. I regimi dittatoriali europei e sovietici che hanno imperato nel secolo scorso hanno senz’altro affievolito le vicinanze e deteriorato brutalmente ogni rapporto amichevole tra Paesi: le relazioni da ricostruire sono tante e ci vorrà molto tempo perché si possa da ambo le parti superare i problemi passati. Lentamente, in questo secolo dell’empatia stiamo ricostruendo le relazioni su solide basi e a guidare, in questo caso, sono proprio l’economia e l’energia. Intanto, però, l’UE deve fare rapidamente un passo, almeno per trasformare la necessità in virtù: le compagnie russe devono poter trovare percorsi possibili e non accidentati verso i mercati europei, soprattutto verso gli investimenti in asset europei, senza penalizzazioni legislative e regolatorie aggiuntive rispetto a quelle che definiscono qualsiasi libero mercato concorrenziale.
È ovvio che mentre le compagnie energetiche europee punteranno ad investire nell’up-stream, attività regolata dallo Stato in modo abbastanza diretto, le compagnie russe investiranno invece nel down-stream e nei mercati, attività esposte alla libera concorrenza e di regolazione più complessa; ma appunto in questo incrocio sta il rafforzamento dell’interdipendenza. Lo sforzo dell’UE deve essere quello di individuare i migliori percorsi per favorire l’equity partnership russa negli asset energetici europei, senza distorsione della concorrenza e proteggendo i mercati da eventuali posizioni dominanti e/o di rendita (su questo noi europei potremmo essere bravissimi: a casa dei ladri non si ruba...).


Sempre si troverà in Europa qualche stizzoso pessimista – soprattutto se di una certa età – che inorridirà all’idea di aprire alle compagnie russe gli investimenti negli asset europei, adducendo la fobia di un approccio dominatore da parte della Russia. Ma se anche fosse – dico io – non è meglio essere partner che essere debitori di un Paese con atteggiamento egemone? Sempre ammesso che la Russia abbia un qualche interesse all’egemonia, il che è molto discutibile.
No, il problema non saranno gli stizzosi pessimisti. Il problema, ahimè, sarà tutto un altro. Il problema sarà che, a differenza della Russia, l’UE non ha – e per molto tempo non avrà – una politica energetica. Men che meno, una politica estera. Qui ognuno fa per sé e Angela per tutti. Neanche una crisi spaventosa come quella che stiamo vivendo ha spinto l’UE all'unità. Anzi, emergono sempre di più le divisioni. Qui quasi non si accetta più l’euro, figurarsi il rublo. Per rafforzare l’interdipendenza tra Russia e UE, il vero problema non è in Russia, è in UE.
Ma intanto, pur continuando a camminare ognuno per conto proprio, gli Stati europei potrebbero, ciascuno per conto proprio, muovere velocemente verso un’apertura agli investimenti russi (anche in barba a Bruxelles: non sarebbe certo una novità...).


Certamente l’Italia può e deve farlo: col suo sistema energetico a tutto gas, dipendente dall’estero per oltre l’85 per cento; con la sua fame atavica di investitori e di capitali; con la sua proverbiale apertura, ospitalità, accoglienza agli stranieri; con la sua vicinanza storica e culturale alla Russia; con le sue uniche e affascinanti bellezze artistiche e naturali, apprezzatissime dai sovietici; con la sua inventiva scientifica e tecnologica; con le ottime relazioni diplomatiche, industriali ed energetiche già in essere con la Russia. L’Italia deve essere capofila a Bruxelles, presentarsi una volta tanto con un’idea propria e magari controcorrente: aprire i mercati agli investimenti russi per rafforzare l’interdipendenza Russia-UE.
Ecco cosa scriveva il 15 febbraio 2011 il Sottosegretario di Stato per gli Affari esteri Alfredo Mantica: “In presenza di una risposta europea ancora frammentata alla nuova politica energetica russa, l’Italia, come altri Paesi dell’Europa occidentale, ha continuato a puntare sul rafforzamento dei legami economici, commerciali ed energetici con la Russia. Allo stesso tempo si può parlare di interdipendenza. La Russia ha bisogno di tecnologie, investimenti e capacità gestionali per sviluppare il settore degli idrocarburi (incremento della produzione in Siberia orientale, ammodernamento e costruzione di nuove infrastrutture di trasporto, eccetera) ed ha bisogno del grande mercato di sbocco europeo”. Parola di esperto. Credere nell’equity approach e predicarlo ai signori di Bruxelles. Chi può farlo? Mario, ovviamente.