di Mimmo Pelagalli
L’Italia è il Paese dove oggi più che mai si sente il bisogno di un serio riordino nel settore delle acque. Un riordino non solo normativo, ma fatto di scelte politiche condivise sull’uso delle acque. Anche perché l’emergenza idrica è dietro l’angolo e non c’è spazio per soluzioni pasticciate.
Secondo l’Autorità per le risorse idriche e i rifiuti, che il 26 luglio scorso ha presentato al Parlamento la Relazione Annuale sui servizi idrici, le precipitazioni atmosferiche sul territorio nazionale sono diminuite del 10 per cento nel decennio 1994-2004 e la portata di molti dei principali fiumi italiani ha subito un decremento di circa il 20 per cento. Nei bacini del Nord, in particolare nei bacini del Po e dell’Adige, nel 2005 si sono registrate precipitazioni ancora inferiori e le portate dei due fiumi sono state quindi al di sotto delle medie pluriennali. Sempre secondo l’Autorità, la tendenza alla diminuzione delle piogge potrebbe causare in Italia episodi di siccità sempre più frequenti e prolungati.
Eppure, secondo Terna tra il 1994 e il 2004 la produzione di energia totale lorda da centrali idro si porta dai 47.731 GWh del 1994 ai 49.908 GWh del 2004, passando per due massimi storici di produzione: i 51.777 GWh del 1999 e i 53.926 del 2001. Mai prodotta tanta elettricità in questi anni dal parco idroelettrico italiano!
La stessa siccità del 2006, patita soprattutto nel Nord del Paese, è un caso paradigmatico. E indica proprio che è necessario cambiare registro, affinando e migliorando la gestione e scegliendo più accuratamente cosa fare dell’acqua.
Mentre a fine luglio il Po segnava un preoccupante record (- 7,46 metri sotto lo zero idrometrico a Ponte Lago Scuro, nel ferrarese) e il Governo emanava il 26 dello stesso mese un decreto titolato significativamente:
“Dichiarazione dello stato di emergenza nei territori interessati dalla crisi idrica che sta determinando una situazione di grave pregiudizio agli interessi nazionali”, la produzione di energia elettrica da fonte idro nel Paese era più elevata rispetto al 2005.
Secondo un comunicato stampa di Terna del 9 agosto, in Italia nel luglio 2006 si produceva il 12,7 per cento in più di energia elettrica da centrali idro rispetto allo stesso mese del 2005. Addirittura nel mese di agosto l’incremento di energia elettrica prodotta rispetto allo stesso periodo del 2005 è stato pari, sempre secondo Terna, al 16,5 per cento.
Va detto che il 2005, anno al quale sono riferiti questi incrementi su base mensile, vede complessivamente una produzione totale di energia da centrali idro di soli 42.926,9 GWh. Segnando complessivamente, rispetto al 2004, un calo secco del 14 per cento.
Un fatto fisiologico, se si pensa che, secondo l’Autorità per le risorse idriche l’inverno 2004-2005 è stato critico per il Nord Italia per scarsità di piogge come dimostrano le portate di alcuni dei principali fiumi italiani. Nel luglio del 2005 la portata del Po è stata di 341 metri cubi al secondo mentre nei dieci anni precedenti la media nello stesso mese è stata più del doppio, 990,9 metri cubi al secondo. La portata dell’Adige, sempre nel luglio del 2005, è stata di 125,80 metri cubi al secondo contro 224,77 dei 10 anni precedenti.
Insomma, mentre nell’estate 2006 il Po è sotto zero e supera i record negativi del 2003, sembra proprio che le centrali idroelettriche italiane siano state in netta ripresa produttiva, una sorta di rimbalzo tecnico. E con alle spalle un inverno 2005 -2006 “con bacini saturi fino a primavera 2006”, segnalano al Cirf, il Centro italiano per la riqualificazione fluviale con sede a Mestre, resta da capire dove sia finita l’acqua, vista la situazione del Po.
Un primo elemento lo fornisce una nota del 30 giugno dell’Associazione nazionale bonifiche e irrigazioni; ecco cosa dichiara il presidente Massimo Gargano. “È molto preoccupante che l’assessore all’Ambiente della Regione Veneto denunci che i concordati rilasci dai bacini idroelettrici lombardi non portino alcun beneficio all’asta del Po, giacché le erogazioni dai grandi laghi alpini verso la valle padana non solo non sarebbero aumentate, ma addirittura diminuite”. Interessi particolari - denunciava ancora il presidente dell’Anbi - stanno pregiudicando un bene collettivo, quale il territorio e il suo ambiente. Possibile che l’acqua sia stata rilasciata in ritardo? Forse.
“La causa della preoccupante crisi idrica dell’estate 2006 va ricercata principalmente in un’errata gestione delle acque più che nella mancanza di piogge”, aggiunge Giuseppe Baldo, direttore del Cirf.
Secondo Baldo “per molti anni le politiche idriche, in materia di utilizzazioni, si sono orientate esclusivamente al soddisfacimento dei fabbisogni senza mettere in discussione l’opportunità di tali scelte, puntando principalmente ad aumentare la fornitura idrica per i diversi usi: agricoltura, industria, settore energetico, settore civile; assecondando quindi comportamenti e scelte tecniche sempre più idroesigenti”.
Sul banco degli imputati, quanto a consumi idrici, viene posto in primis il settore agricolo, che assorbe il 70 per cento degli utilizzi delle acque in Italia. Ma il mondo agricolo batte cassa e lamenta danni. Ai primi di agosto il ministro per le Politiche agricole Paolo De Castro incontrava il presidente dell’Anbi. Quest’ultimo ribadiva la necessità di considerare prioritario, per il governo, il concreto avvio del Piano Irriguo Nazionale, almeno in una prima tranche da 650 milioni di euro, per contrastare il ripetersi di emergenze idriche come quella registrata anche quest’anno nel Nord Italia De Castro esprimeva convinta condivisione della posizione dell’Anbi, assicurando massima disponibilità a sostenerla nelle opportune sedi governative.
Forse prima di avviare investimenti così consistenti occorrerebbe però puntare su una razionalizzazione del sistema. Giulio Conte, presidente Cirf, commenta: “Causa della situazione attuale è anche l’irrazionale convinzione che vede la disponibilità d’acqua per irrigare come un “diritto” al di là di qualsiasi considerazione non solo di tipo ambientale, ma anche semplicemente economica. Si pensi che l’irrigazione in pieno campo genera un valore aggiunto al massimo di non più di 0,20 euro per metro cubo – sottolinea Conte - ma per fornire quel metro cubo d’acqua, il contribuente arriva a sborsare fino a 5 euro”.
In più l’agricoltura, nella maggior parte dei casi, non attua nessuna politica di risparmio idrico: “In Italia, sulla scelta di un adeguato impianto irriguo (ad esempio a goccia piuttosto che per aspersione) – o la pratica di tutti quegli accorgimenti colturali che, andando a diminuire la perdita di acqua per evaporazione, limitano il fabbisogno idrico delle colture, siamo ancora all’anno zero”, insiste Conte. Le conseguenze più gravi di queste cattive abitudini, secondo il Cirf, le paga l’ecosistema fluviale nel quale, nei periodi estivi di crisi, viene a mancare il deflusso minimo vitale, ovvero la minima portata idrica tale da garantire la vita dell’ecosistema acquatico.
Tutto risolto? Trovato il colpevole? Neanche per sogno. Secondo l’Anbi: “L’esempio dell’Emilia Romagna è illuminante perché, nonostante una situazione idrica fortemente critica, il sistema Bonifica riesce a dare risposte all’emergenza, ottimizzando l’uso dell’acqua disponibile, attivando azioni di solidarietà e interconnessione tra Consorzi. A fini irrigui, industriali e ambientali si prevede che, a fine stagione, saranno distribuiti oltre 1,3 miliardi di metri cubi d’acqua, su oltre 288.000 ettari, servendo 53.282 aziende agricole. Ciò nonostante - aggiunge la nota dell’Anbi - può già calcolarsi perduto circa il 30 per cento della produzione agricola con evidenti danni al sistema economico”.
Insomma, gli agricoltori proprio non ci stanno a passare per spreconi. Del resto anche le società elettriche cercano di passare per vittime. Durante la preparazione di questo servizio, Nuova Energia ha sentito gli uffici stampa delle principali aziende interessate al comparto idroelettrico. Ha risposto solo l’Enel, lamentando una importante perdita di produzione nella centrale idroelettrica a fluenza di Isola Serafini, sul Po, la più grande d’Italia. Non si hanno notizie, pure richieste e magari a campione, su eventuali perdite negli altri 499 impianti Enel.
È ovvio ed evidente che più che cercare il ladro dell’acqua occorre rivedere profondamente il sistema. L’alternativa sarebbe solo il ripetersi di scene raccapriccianti, come quelle di questa estate 2006, senza per altro un quadro chiaro delle responsabilità.
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