Marzo 2007, il terrore corre sul tubo

di Federico Santi

12 marzo 2007. Mattina presto. Guanti, sciarpa, cappello di lana, cappotto lungo. Il vento gelido sferza le guance dei passanti. Il ghiaccio sul parabrezza dell’auto in sosta si schiude lentamente sotto il soffio d’aria calda del motore acceso. Un inverno così freddo non si sentiva da anni. Il più freddo degli ultimi 50 anni, si dice. I soliti commenti sul clima impazzito. Dietro i vetri appannati la città si sveglia, esce dal torpore del calduccio notturno, artificiale, secco. Anche stanotte il riscaldamento è rimasto acceso per ore. Le vie della città si riempiono di traffico. Col maltempo, la coda è più lunga del solito. Alla radio una notizia importante, insolita, incredibile. È finito il gas. Non c’è più metano. I tubi sono vuoti, depressi.

La produzione nazionale di gas è diminuita del 10 per cento, rispetto all’anno scorso. Il sistema si regge sempre più sulle importazioni dai quattro grandi gasdotti (da Russia, Nord Europa, Algeria e Libia) e dal piccolo terminale LNG di Panigaglia. La richiesta di gas naturale è cresciuta oltre il previsto. Col freddo che ha fatto, la domanda per il riscaldamento e per il settore termoelettrico (che in certi giorni si è messo pure ad esportare elettricità verso la Francia) è schizzata verso l’alto, oltre ogni previsione. Le riserve accumulate nei periodi di minore fabbisogno sono insufficienti. All’inizio di febbraio tutto lo stoccaggio commerciale, 8 miliardi di metri cubi, era già esaurito e si è cominciato ad intaccare lo stoccaggio strategico: sono cinque miliardi di metri cubi in tutto e in un mese ne sono già stati usati tre. Il sistema ha sfiorato più volte la crisi di punta, è un miracolo che abbia retto finora. Domenica 11 marzo 2007, sessantaseiesimo mesiversario dall’attentato che ha cambiato la Storia, il gasdotto Transmed è saltato in aria. Cariche esplosive piazzate con rigore scientifico. La paura dei terroristi islamici impedirà al governo algerino un ripristino tempestivo della conduttura e delle stazioni di pompaggio danneggiate. La crisi del sistema-gas in Italia non è casuale: è un effetto voluto, fortemente voluto. È un atto di terrore. Terrore soft, senza vittime. È ricatto. Il mondo islamico tiene in scacco il sistema energetico italiano. Un tubo in meno ed è il dramma. Come se non bastasse, l’Ucraina sta succhiando troppo gas dalla condotta che collega la Russia con l’Italia. Se fa freddo da noi, figuriamoci nella povera Ucraina. Gazprom e Putin hanno già minacciato di chiudere i rubinetti. Se succedesse, l’Italia si fermerebbe del tutto. Già escono di produzione intere fabbriche, poco importa che abbiano contratti interrompibili o no: non c’è abbastanza gas per tutti, il sistema di distribuzione è in crisi. Nelle scuole, negli uffici, nelle case si sta col cappotto indosso. Code interminabili in ristoranti e pizzerie, in casa non si può cucinare.

Ma la paura più grande è il black-out. Tutti quelli che hanno una stufa elettrica, un fornello elettrico, un condizionatore a pompa di calore, ne fanno uso. La domanda di elettricità sale più del previsto, mentre il combustibile comincia a scarseggiare. Due terzi del parco termoelettrico italiano sono a gas naturale e sostituirlo in quattro e quattr’otto è impossibile. Gli impianti che possono andare ad olio combustibile, anche in deroga a tutte le normative ambientali, funzionano a manetta già da settimane per fronteggiare le carenze del sistema gas. La produzione idroelettrica è scarsa, l’anno è stato molto secco e le riserve sono poche. Le linee di importazione di elettricità dall’estero sono al massimo e già la Francia scalpita, perché il freddo fa aumentare anche lì i consumi e i prezzi dell’elettricità. Dietro l’angolo c’è la tragedia. Senza gas, un lungo black-out metterebbe in ginocchio la nazione. Altro che attentato terroristico! Con la nazione al buio, le vittime non si conterebbero: omicidi, furti, aggressioni, incidenti stradali e domestici, ospedali malfunzionanti. Una tragedia epocale. Stavolta il terrorismo ha scelto con cura meticolosa il più efficiente degli attentati possibili: qualche esplosioncella in Algeria, al momento buono, e l’Italia è del gatto. All’improvviso, la luce si spegne. Buio assoluto. Un attimo di puro terrore.

Poi apro gli occhi. Guardo l’orologio: le 3 del mattino. Ho sognato. Fradicio di sudore, osservo mia moglie che dorme tranquilla, nel tepore artificiale, secco, del riscaldamento acceso. Il led della TV è rosso. La radiosveglia illumina giallognola le ombre della camera. Era solo un incubo. Penso troppo all’energia, il mio subconscio si vendica di notte.
Chissà che direbbe Freud.

L’energia, ancora una volta, c’è. Il gas non manca. Accendo il fornello e metto su il caffé, mentre faccio due conti: sono curioso di sapere se, come talvolta capita, l’incubo non è lontano dalla realtà. Non mi è difficile, da poco sono intervenuto ad un convegno dell’Aiee sull’emergenza-gas, ho tutto il materiale che serve, compreso un interessante studio del Cesi Ricerca che invito a leggere (www.ricercadisistema.it).

La questione è la seguente: se farà freddo (come l’anno scorso), se non pioverà abbastanza (come l’anno scorso), se l’importazione di elettricità sarà ridotta (come l’anno scorso) la domanda invernale di gas, dal primo novembre al 31 marzo, potrà sfiorare i 54 miliardi di metri cubi. Se invece l’inverno sarà non troppo freddo e l’anno sarà stato abbastanza piovoso, il livello della domanda invernale di gas dovrebbe attestarsi sui 50 miliardi di metri cubi, 4 miliardi di metri cubi in meno. La massima quantità di gas naturale disponibile sarà comunque meno di 43 miliardi di metri cubi, di cui 4 di produzione nazionale e il resto di importazione. Vale a dire che si dovrà ricorrere agli stoccaggi per 11 miliardi di metri cubi di gas naturale (8 nel caso di inverno non freddo). Poiché gli stoccaggi commerciali constano in tutto di 8 miliardi di metri cubi, si dovrà ricorrere agli stoccaggi strategici per 3 miliardi di metri cubi su 5 disponibili: il 60 per cento! In realtà, tale livello di svuotamento degli stoccaggi strategici non è tecnicamente raggiungibile, perché man mano che si svuota lo stoccaggio strategico diminuisce la capacità di erogazione e il sistema va in crisi di punta. Ciò senza che intervengano fattori geopolitici esterni.

Ovviamente, il ministero per lo Sviluppo economico sta emanando una serie di azioni di emergenza per evitare la crisi sopravveniente, oltre alla massimizzazione delle importazioni già definita: ricorso all’olio combustibile anche in deroga ambientale (sempre che le opposizioni locali lo permettano); uso accentuato dei contratti interrompibili; controllo della domanda per riscaldamento; aumento delle tariffe di trasporto gas in caso di emergenza, et cetera. È bene ricordarsi che nell’inverno scorso le misure governative di emergenza hanno evitato che il prelievo degli stoccaggi strategici arrivasse a tre miliardi di metri cubi, limitandolo a poco più di un miliardo ed evitando crisi del sistema alla punta.

Ma nel caso (da incubo) di una interruzione prolungata delle forniture algerine alla fine di febbraio o all’inizio di marzo del 2007, quando cioè il sistema per tenersi in piedi avrà bisogno dello stoccaggio strategico, verrebbero a mancare 85 milioni di metri cubi di gas al giorno, quasi un terzo della capacità nazionale di importazione. In questa situazione sarebbe difficilissimo, se non impossibile, evitare una situazione di crisi. C’è semmai da chiedersi di che entità sarebbero gli effetti di una crisi, in tal caso inevitabile, e soprattutto c’è da capire se e in che misura verrebbe intaccato il sistema termoelettrico. In questo scenario apocalittico di un attacco terroristico al sistema-gas italiano perpetrato in terra straniera – terra islamica – un eventuale contrasto russo-ucraino peggiorerebbe ulteriormente la situazione e potrebbe anche rappresentare la proverbiale goccia che fa traboccare il vaso.












In sostanza, la realtà è da incubo. Il mio subconscio lo sa e non mi lascia dormire sonni tranquilli. Non dico che gli uomini del terrore siano pronti e interessati a far succedere un cataclisma nel sistema gas italiano (peraltro, spero che non leggano Nuova Energia…). Tuttavia, la relativa facilità di gettare nella disperazione questo nostro sistema in bilico - i moderni direbbero “border-line” - potrebbe indurre pericolosamente in tentazione. Ecco perché certamente è importante prevenire, ma altrettanto importante è prepararsi a curare, ad affrontare al meglio l’eventualità di una crisi anche di entità drammatica.

Da ultimo, due parole sulle responsabilità di un sistema così vicino al collasso. Intanto, la storia: l’ex-monopolista aveva un sistema ritagliato sulle sue esigenze, con stoccaggi mirati alla modulazione della domanda per riscaldamento e senza troppe preoccupazioni per i consumi del settore termoelettrico. Viceversa, con la liberalizzazione dei due settori il gas ha preso piede ed è diventato l’elemento cruciale di tutto il sistema energetico italiano, collegandosi ormai indissolubilmente al mercato elettrico. Negli anni successivi alla liberalizzazione, la presenza ingombrante dell’incumbent e l’incertezza del quadro regolatorio hanno impedito la tempestiva realizzazione di nuove infrastrutture di importazione, e dunque la differenziazione dei Paesi fornitori. La domanda di gas è cresciuta continuamente e rapidamente, mentre le infrastrutture non sono cresciute abbastanza da lasciare quel certo margine di over-capacity necessario in tutti i mercati liberalizzati e più che mai in quelli energetici. Identico discorso vale per la capacità di stoccaggio, fattore ancora più critico. Se alle difficoltà di governance del sistema si aggiungono le opposizioni locali ai progetti infrastrutturali, ecco che il sistema si ingessa fino ad arrivare sull’orlo di un precipizio.

Non vi è dubbio che di qui al 2010 debbano realizzarsi almeno i progetti di espansione dei gasdotti esistenti e la realizzazione del terminale LNG di Rovigo, già in costruzione. Se così non sarà, sarà crisi certa. E non è detto che basti. Peraltro, sono sul tavolo fin troppe nuove iniziative: se si sommano, si ottengono 100 miliardi di metri cubi di nuova capacità di importazione! Ovviamente, è carta. Spetterà alla politica e al mercato decidere cosa realizzare e dove. Ma questa decisione va presa in fretta. C’è una fretta del diavolo. Devono essere realizzate tante nuove infrastrutture e in tempi brevissimi. Questo è l’obiettivo vitale. Ci vuole un quadro regolatorio “sblocca-terminali”, o “sblocca-tubi”, o “sblocca-stoccaggi”, o, meglio ancora, tutti e tre insieme. E deve essere tracciato in fretta. Inoltre, bisogna che lo Stato decida: l’Eni da un lato consente all’Italia di vivere, dall’altro le impedisce di crescere. O si torna ad un sistema statale (Bruxelles e resto del mondo permettendo) o si abbandona definitivamente il controllo pubblico delle compagnie energetiche, dedicandosi alla regolazione e lasciando che le forze di mercato guidino i sistemi verso lo sviluppo. L’energia non può sopportare vergognose incertezze come quelle che hanno interessato il caso Telecom: non è solo questione di soldi, l’energia è la vita stessa dei cittadini. L’energia che costa molto è un problema che si risolve. L’energia che non c’è è un problema che non si risolve. Se manca l’energia, il Paese è morto. In un modo o nell’altro, il Governo deve agire. Il nostro sistema gas deve uscire rapidamente dalla situazione di pericolo in cui si trova e nella quale sta gettando anche il sistema elettrico. Dobbiamo tornare a dormire sonni tranquilli, al più con una puntina di preoccupazione per il gas che c’è, non per il gas che manca. Come quel geniaccio di Giorgio Gaber (“O mamma!”, monologo del 1973 di Gaber-Luporini): “E quando sei a letto, alla sera, tutto spento, stai per addormentarti. Ti viene un dubbio. Il gas. Avrò spento il gas? Meglio andare a vedere”.