Pierotti: ‘‘Ci prendiamo cura anche dell'energia”
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di Davide Canevari



Energia protagonista anche in corsia. Affermare che la medicina moderna (fin dalle fasi embrionali della ricerca sperimentale) non esisterebbe senza un adeguato e crescente apporto di fonti energetiche potrebbe apparire una banalità degna di Monsieur de La Palice. E quale altra attività moderna oggi potrebbe funzionare altrimenti? Vero!
Però, quando entra in gioco la salute, la questione diventa per certi versi più complessa. Dall’opinione pubblica e dai mass media l’energia – specie se generata da fonti tradizionali – è frequentemente descritta come invasiva per l’ambiente e dannosa per l’organismo umano. Alcune opzioni, in primis nucleare e carbone, sono spesso (e non di rado superficialmente) associate direttamente all’insorgenza di tumori. E lo stesso vale per le linee di trasmissione. Nuova Energia ha incontrato Marco Pierotti direttore scientifico della Fondazione IRCCS – Istituto Nazionale dei Tumori, per trarre un primo bilancio del possibile rapporto tra energia e medicina.



Dottor Pierotti, per una realtà complessa come l’Istituto dei Tumori, quanto è importante oggi l’energia?
**Da un punto di vista strettamente economico non è una voce di spesa predominante. A fronte di un bilancio annuale dell’Istituto – come spesa corrente al netto degli ammortamenti – pari a 207 milioni di euro, la bolletta dell’ultimo anno è stata di soli 5.375.000 euro. Energia elettrica e gas naturale hanno comportato una spesa pari a 2.250.000 euro ciascuno. Quindi, tutto sommato, l’energia rappresenta una frazione rispetto, ad esempio, alla spesa farmaceutica che per un ospedale come il nostro è la vera voce di costo. Però...


Però?
**Sempre di più le nuove terapie si basano anche sulla disponibilità di fonti energetiche dedicate. A Pavia, ad esempio, è in funzione da alcuni mesi un nuovo centro di adroterapia (nel quale come IRCCS siamo soci) che ha richiesto la realizzazione di una linea elettrica dedicata per poter alimentare il ciclotrone. Allo stesso tempo, uno dei filoni di ricerca più promettenti per la cura di alcune patologie è addirittura basato sull’uso dei fotoni. Giusto per fare un esempio ulteriore, pensiamo anche ad un’apparecchiatura di radioterapia come quelle comunemante usate anche nel nostro Istituto. L’acceleratore lineare ha una potenza di 15/30 kVA a cui si sommano 20 kVA per i supporti tecnologici.


Torniamo a leggere la bolletta dell’Istituto. Ci può fornire qualche dettaglio sulla tipologia dei vostri consumi?
**Il gas naturale (da 2 a 2,1 milioni di metri cubi/anno) serve essenzialmente per il riscaldamento e in parte minore per la produzione di vapore (sterilizzazione e cucine). L’energia elettrica è consumata prioritariamente dalle apparecchiature elettromedicali e di ricerca (sono oltre 6.000 quelle in esercizio presso l’IRCCS), per l’ospitalità dei pazienti, per l’illuminazione, gli impianti di condizionamento e la catena del freddo.
Tra le aree maggiormente energivore si segnalano le degenze speciali, per gli elevati ricambi/ora dell’aria di condizionamento; e per le stesse ragioni alcune diagnostiche e i reparti operatori. Tra le peculiarità del nostro Istituto vanno ricordate anche le aree di laboratorio. Qui infatti gli standard di garanzia della produzione sono ottenuti anche grazie all’uso intensivo di lavorazioni sottocappa. Le cappe più recenti operano con 1.000-1.100 metri cubi/ora per posto operatore, fino a 1.500 metri cubi per posto operatore nelle cappe di anatomia. Un discorso particolare va fatto per la catena del freddo, e in particolare per la criogenia, per l’estendersi delle biobanche di cellule e tessuti, che nel nostro caso ha raggiunto una significativa percentuale di spesa rispetto all’intera bolletta energetica. L’azoto liquido ha infatti un costo complessivo pari a 540 mila euro. Nella sede di Via Venezian, ad esempio, sono installati 65 frigoriferi e frigofarmaci, 72 congelatori, 21 contenitori di azoto crio con taglia da 300 litri. In Via Amadeo ci sono 79 frigoriferi, 82 congelatori e 21 contenitori per azoto crio con taglia a 300 litri e superiore.

             
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Energy does play a leading role in medicine, too, as confirmed by Marco Pierotti, scientific head manager at the Fondazione IRCCS - Milan’s National Cancer Institute, an internationally renowned centre of excellence in the field. A quick look at some data will confirm such a role, first and foremost last year’s electricity and gas consumption costs, accounting for 2.250.000 Euros, respectively. A further 540 thousand Euros were spent on liquid nitrogen used for cryogenic applications and 335 thousands for well water.

“Innovative therapies – points out Pierotti – depend increasingly on the availability of cutting edge energy procurement. For instance, a new centre for medical care IRCCS holds stakes in became operational a few months ago in Pavia, which required a dedicated power line to be set up to power its cyclotron. At the same time, one of the most promising pieces of research into treating some types of diseases even involves using photons”.

During our interview, some hints were also given on energy efficiency: “The solutions that are currently implemented in the housing sector, like high level thermal insulation, proper orientation, the installation of thermosolar and PV modules, heat pumps, groundwater heat recovery, highperformance heaters etc., all point towards energy self-sufficiency. The same principle will have to be applied to hospitals that are soon to be built, and, namely, to the new IRCCS hub that is about to be established”.

Lastly, some insights on the link between energy, environment and oncology. “There is no such thing as zero risk – states Pierotti – and risk factors are part of our everyday life. We all know the extent to which fine particles are an health issue. Yet, hospitals themselves (especially healthcare facilities like ours) are a source of particulates. Household kitchens are also one of the main sources of PM10, if poorly maintained or simply too old. But, well, no one would ever consider shutting down hospitals or banning home cooking just because of that”.*

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Un’altra importante voce di costo riguarda l’acqua di pozzo...
**Sì, altri 335 mila euro di spesa sono imputabili proprio all’acqua di pozzo. Trova applicazione nella condensazione di alcuni gruppi frigoriferi a servizio del condizionamento di Venezian 1. Attualmente abbiamo in funzione un gruppo da 1.300 kW e teniamo un gruppo da 1.000 kW sostanzialmente di scorta. Quelli che ho citato sono i costi della bolletta di smaltimento nella fognatura civica dei circa 1-1,4 milioni di metri cubi/anno consumati.


Parliamo di efficienza energetica. Quanto può essere concretamente applicata in una realtà complessa come quella di un ospedale o di una struttura di ricerca in campo medico?
**Le soluzioni attuali applicate agli edifici residenziali (elevato isolamento, opportuno orientamento, installazione di pannelli solari termici e fotovoltaici, utilizzo di pompe di calore, contributo termico dell’acqua di falda, caldaie ad alto rendimento, eccetera) tendono all’autosufficienza energetica. E questo può e vuole essere un traguardo raggiungibile anche per le nuove degenze ospedaliere.
Il cambio di sede del nostro Istituto, previsto nei prossimi anni, è una questione di spazio e di approccio. Oggi le regole di ingaggio con una malattia come il cancro si sono profondamente evolute rispetto ai decenni passati, e di conseguenza è mutata l’architettura ideale di una struttura ospedaliera. Il vecchio nosocomio non era più in grado di rispondere con la massima efficacia a queste esigenze e a una visione più moderna della medicina. Ma è anche una questione energetica. Il nuovo polo sarà concepito con un’estrema cura per gli aspetti energetici, sia in termini di autoproduzione, sia di efficienza.


Soluzioni che, ovviamente, non era possibile adottare – se non a costi molto elevati – nella sede storica attuale...
**È così. La nostra degenza (il Blocco 1 è stato attivato nella seconda metà degli anni Sessanta e i blocchi 2 e 3 nella metà anni Settanta e Ottanta) risente dell’epoca di progettazione e costruzione. Ad esempio una delle linee guida originarie dell’Istituto fu di utilizzare impianti di condizionamento a tutta aria esterna senza riciclo, per garantire condizioni di salubrità dell’aria. Ricordiamo che a quei tempi il costo del petrolio era inferiore ai 2 dollari il barile! Specie per il Blocco 1 i concetti di isolamento termico erano piuttosto lontani da quelli attualmente attuati dalla bioarchitettura. Le degenze del Blocco 1 – salvo le aree dei piani settimo e ottavo che hanno beneficiato di un’ampia ristrutturazione – non hanno ad esempio i doppi vetri. I margini di miglioramento – e quindi di riduzione dei consumi attuali – sono quindi molto elevati. Proprio la decisione di andare verso la realizzazione di una nuova sede ha però impedito di prendere in considerazione interventi di recupero energetico con tempi di ritorno superiori ai 6 anni. Penso, ad esempio, alla realizzazione di una centrale di cogenerazione di energia elettrica e calore, o agli investimenti nel solare termico o fotovoltaico.


È pur vero che in questo campo ci sono comunque soluzioni tecnologiche con tempi di ritorno decisamente più ridotti...
**E queste sono state concretamente prese in considerazione. Per tutte le ultime realizzazioni di gruppi di ventilazione delle Unità di Trattamento Aria, ad esempio, sono stati utilizzati gruppi inverter per regolare le potenze delle macchine alle richieste degli organi di regolazione dei parametri (tipo, le temperature ambienti, il controllo di pressioni positive o negative). Abbiamo anche lavorato sul recupero di calore tramite scambiatori aria/aria.


E veniamo all’altro aspetto della questione. Il presunto legame forte tra la produzione di energia e l’insorgenza di tumori.
**Anche in questo campo bisogna superare le posizioni un po’ talebane affrontando il discorso in un’ottica più generale. Il rischio zero non esiste, in nessuna attività. E quando si parla di rischio non siamo nel campo del bianco o del nero, bensì delle sfumature del grigio. Esistono cioè dati statistici... che sono poi dei numeri. E questi numeri possono essere letti in maniera diversa a seconda del soggetto che li interpreta.


Ci faccia un esempio.
**La statistica potrebbe rilevare che una data attività comporta un aumento del rischio tumorale nell’ordine di 1 caso ogni 100 mila abitanti. Quel caso c’è, e stiamo parlando di persone non di numeri. Ma a quel punto andrebbe anche aggiunto che siamo nella stessa fascia di rischio che può comportare l’assunzione di tre tazzine di caffè al giorno... Ecco perché i numeri devono essere letti correttamente, usando la scala del grigio.


Proviamo allora a rileggere il mondo dell’energia usando questa scala.
**L'opinione pubblica esprime (a volte ma non sempre) opinioni coerenti con lo stato delle conoscenze scientifiche. Effettivamente più fonti di produzione di energia cosiddette tradizionali sono state associate dalla ricerca a rischi per la salute, e in particolare a rischi ambientali di tipo oncologico. La stessa IARC (International Agency for Research on Cancer) indica nel dettaglio una serie di possibili cause di eccesso di occorrenza di casi per esposizione di tipo ambientale. Vale la pena evidenziare questa ultima frase. Si sta qui affermando che una determinata sostanza o attività umana può provocare un eccesso di casi rispetto alla media, non che è la causa diretta di un singolo caso riscontrato. E la cosa è differente.


A livello di singola fonte...
**Per quanto concerne il rischio associato alla produzione di energia atomica la nostra società attraverso l’esito del referendum ha deciso di non assumerlo come indispensabile. Analogamente, per la produzione energetica da petrolio o da altri combustibili, si possono trovare soluzioni che possano permettere la produzione energetica e nel contempo evitare che la popolazione ne subisca effetti sulla salute: molto spesso si tratta di evitare che sorgano centri abitati in prossimità delle centrali di produzione energetica. Per quanto riguarda le rinnovabili, la produzione di energia elettrica, in particolare da eolico e solare, non pare associata a rischi di tipo oncologico e potrebbe essere estesa per garantire almeno parzialmente i bisogni energetici di molte strutture. Inclusi gli ospedali.


Va però detto che lo sviluppo della generazione distribuita da fonti rinnovabili potrebbe richiedere la realizzazione di nuove linee elettriche, e questo apre un altro fronte...
**Verissimo, quello dei rischi ambientali di tipo oncologico associati all’esposizione alle linee di trasmissione elettrica. In questo caso, considerando che si tratta plausibilmente di fattori a limitato potere cancerogeno per la sola fascia infantile della popolazione, la soluzione potrebbe essere quella di escludere che nella prossimità delle linee vi sia presenza di abitazioni e sopratutto escludere che vi siano strutture per l’infanzia. In alternativa, si potrebbe provvedere al loro interramento protetto.
Si tratta quindi di valutare, per ogni singola fonte, il rischio associato; si tratta poi di discutere se, data la natura di quel rischio associato, è necessario che la società lo assuma come indispensabile per sostenere il proprio sviluppo (includendo le necessità per la gestione di un grande ospedale per la ricerca), oppure come si possa convivere con esso.


Ma perché mai si dovrebbe convivere con un rischio?
**Perché, come ho già detto, il rischio zero non esiste e con fattori di rischio conviviamo quotidianamente. Tutti noi sappiamo quanto le polveri sottili rappresentino un problema sanitario. Ma anche gli stessi ospedali (e in particolare una struttura come la nostra) sono una fonte di polveri sottili. Le cucine domestiche, a loro volta, sono uno dei principali produttori di PM10, specie se poco mantenute o obsolete. Eppure, a nessuno verrebbe in mente di chiudere gli ospedali o di impedire alle famiglie di cucinare, per questa ragione.
Ancora, si parla sempre di più nanotecnologie come di una delle linee di sviluppo tecnologico futuro, anche in campo medico. Eppure le nanoparticelle, proprio per la loro dimensione, costituiscono un rischio oncologico per i polmoni, e la stessa UE ha già istituito una Commissione di studio sul cosiddetto nanorischio.